Woodrow Wilson e gli anni della sua presidenza USA

Woodrow Wilson

Gli anni della presidenza USA di Woodrow Wilson: vita, politica, guerra

Woodrow Wilson fu il ventottesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, dal 1913 al 1921. Sotto la sua presidenza gli USA entrarono nella Prima Guerra mondiale.

Vita di Woodrow Wilson

Woodrow Wilson, leader del Progressive Movement, fu il ventottesimo Presidente degli Stati Uniti (1913-1921). Nacque a Staunton, in Virginia, nel 1856, da una famiglia presbiteriana. Studiò presso l’Università di Princeton e divenne, in seguito, professore di diritto ed economia politica e, nel 1902, preside.

Nel 1910 fu eletto governatore del New Jersey e, nel 1912, vinse le elezioni presidenziali, come candidato democratico. Colpito da un ictus nel 1919, morì qualche anno dopo, nel 1924, a Washington.

Politica e pensiero di Woodrow Wilson

Nel 1908 Roosevelt non aveva voluto ripresentarsi alle elezioni, lasciando campo libero all’amico William H. Taft, chiamato a proseguire l’eredità progressista. Decise di ripresentarsi nelle elezioni del 1912, con alcune novità in programma, ma fu sconfitto dal candidato democratico Woodrow Wilson.

Il pensiero politico di Wilson non poggiava soltanto sulla tradizione anglosassone, ma erano presenti anche aspetti della tradizione statalista continentale europea. Procedette, infatti, verso un’europeizzazione dello Stato e della cultura politica. Rilevanti nel suo pensiero erano il ruolo dell’amministrazione e della leadership. In “Lo studio sull’amministrazione”, egli dichiarava superato il sistema della separazione dei poteri, e sosteneva la separazione tra amministrazione e politica. In tal modo, la direzione dello Stato sarebbe stata affidata a una classe di esperti, e non a vecchi politici legati ai propri interessi personali.

Wilson, in tale prospettiva, era favorevole a una connessione più stretta tra politica e opinione pubblica e, in questo contesto, il leader aveva il compito di plasmare l’opinione pubblica e convincerla della bontà delle scelte delle élite.

Appoggiò il sistema della segregazione, nonostante la sua linea progressista, e non smise di esaltare le libertà locali e il decentramento. Tutto questo in ottica di compiacere l’elettorato del Sud, risultato fondamentale per la sua vittoria.

Nel 1913 venne istituita la Federal Reserve, la nuova banca centrale con potere sulle banche private. Wilson, inoltre, con una nuova legge nel 1916, stabilì dei limiti per il lavoro minorile, fissò otto ore lavorative per i lavoratori di ferrovia, e tutelò con indennizzi, per infortuni e malattie, i dipendenti federali. Grazie a queste leggi e allo slogan “he kept us out of war” Wilson vinse per poco la rielezione. Qualche tempo dopo l’America sarebbe entrata in guerra.

L’entrata in guerra degli USA

L’intervento degli USA nella Prima guerra mondiale, nell’aprile del 1917, fu forse l’aspetto più importante degli anni della presidenza Wilson.

L’opinione pubblica era marcatamente isolazionista e il Presidente assecondava questa visione: la guerra era una questione europea.

A fine maggio del 1915 Wilson si scontrò con la Germania sul siluramento di piroscafi dovuto alla guerra sottomarina tedesca: chiedeva un indennizzo per le vittime americane, morte a bordo del Transatlantico Lusitania.

Ritenendo gli interessi economici del Paese minacciati dall’ipotesi di una vittoria tedesca, Wilson fece inversione di rotta e giustificò l’intervento nel conflitto. Sia prima che dopo tale decisione, era coerente nell’affermare il primato mondiale degli USA, e il loro compito di diventare guida per il mondo.

Nel discorso di preparazione all’entrata in guerra affermava: “[…] Noi non siamo altro se non i campioni dei diritti dell’umanità”. Credeva nella “missione” statunitense: l’America come uno strumento nelle mani della Provvidenza, al servizio dell’umanità.

I suoi ideali ispirarono i Quattordici punti, concepiti come base di futura pace. Wilson li presentò al Congresso il 18 giugno del 1918. Gli USA rinunciavano al desiderio di conquista per proporre una pace giusta e duratura. I punti prevedevano la rimozione delle barriere al libero commercio, la riduzione degli armamenti nazionali al minimo indispensabile. Risultavano prioritari gli interessi dei popoli nella determinazione della sovranità nazionale. Il quattordicesimo punto poneva le basi di una Società delle nazioni.

Il suo programma fu diffuso e gli valse la “nomina” di eroe democratico. In realtà aveva imposto la centralità del ruolo degli USA, operando una rivoluzione, che avrebbe condizionato le relazioni internazionali future.

Propaganda

Durante il conflitto gli Stati Uniti fecero uso delle tecniche di propaganda. Venne creato il Commitee on Public information, un’agenzia di propaganda che, tra l’altro, incitava all’odio verso la popolazione di origine tedesca, bersaglio principale. L’ostilità verso i cittadini tedeschi, e verso tutto ciò che richiamava la Germania, fu notevole. La lingua tedesca venne bandita dalle scuole, Beethoven fu proibito a Boston, i crauti furono ribattezzati “cavoli della libertà.”

Molti intellettuali progressisti giudicarono positivamente il conflitto. Randolph Bourne, ad esempio, descrisse la guerra come “la salute dello Stato;” il conflitto però, a suo avviso, avrebbe indebolito la democrazia americana. In effetti divenne reato pubblicare frasi sleali sul governo, sulla Costituzione e sull’esercito, oltre che ostacolare il reclutamento. Tornò all’apice la “caccia” all’elemento non americano, ricorrente nella storia della politica Usa: in particolare si ricordano gli attacchi al socialismo statunitense.

Dalla conferenza di pace alla fine della presidenza di Woodrow Wilson

Nella conferenza di pace di Versailles, nel gennaio 1919, a differenza di quanto si auspicava nei Quattordici punti, le potenze vincitrici europee non erano favorevoli a una “pace senza vincitori”. Di fronte alle richieste territoriali dell’Italia (Istria, Fiume e parte della Dalmazia) Wilson si rivolse direttamente agli italiani. Poiché erano stati riconosciuti i confini naturali, l’Italia non doveva avanzare richieste ulteriori, in disaccordo con i principi americani. A seguito di questo intervento, il suo mito, diffuso in Italia, crollò.

Ben presto Wilson dovette affrontare una generale diffidenza in patria, in particolare il Senato, nel marzo 1920, non ratificò l’adesione degli USA alla Società delle nazioni. Era la fine dei progetti wilsoniani.  Tra i suoi oppositori spiccano i senatori William E. Borah e Henry Cabot Lodge; secondo quest’ultimo gli Stati Uniti non dovevano vigilare sul Vecchio mondo. Persa la battaglia in Senato, avrebbe potuto tentare le elezioni del 1921, ma era quasi impossibile, anche per le sue condizioni di salute precarie. Alla morte di Wilson gli Stati Uniti erano ormai entrati in una nuova fase.

Silvia Brera per Questione Civile

Bibliografia

Giovanni Borgognone, Storia degli Stati Uniti pp. 145-162

Whitehouse.gov

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