La televisione in Italia: accenni al suo sviluppo

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Breve accenno agli sviluppi della televisione in ambito italiano

Un breve accenno alla storia della televisione in Italia per cercare di comprendere e riflettere sull’impatto che ebbe nella società.

Gli esordi

I primi sviluppi della televisione italiana avvennero negli anni Trenta, a seguito di una serie di studi promossi dall’Eiar e da alcune aziende. Il primo vero trasmettitore venne costruito a Roma, nel 1938, e nel dicembre dello stesso anno l’Eiar annunciò l’inizio delle trasmissioni nella capitale e a Milano. In questi primi anni l’indirizzo delle trasmissioni, di circa due o tre ore al giorno, risultava essere un mix di radio e cinema. A Milano tra il 1939 e il 1940 gli esperimenti continuarono a susseguirsi e le novità introdotte vennero subito colte. Nel 1941 si contavano trentuno impianti trasmittenti radiofonici. La guerra interruppe però il cammino fino a quel momento intrapreso dall’Italia, che rimaneva, in parte, più arretrata.

Terminato il conflitto la Rai, nata nel 1944, tornò alle sperimentazioni. A inizi anni Cinquanta l’attività cominciò ad essere potenziata, i televisori erano, tuttavia, ancora pochi, e posseduti da un numero ridotto di italiani. Il 3 gennaio 1954 vennero inaugurate le trasmissioni ufficiali. In questi anni la gestione Rai, che rispecchiava i nuovi equilibri politici, voleva fare della televisione uno strumento controllato ma allo stesso tempo fruibile dalla maggior parte della popolazione.

I programmi avrebbero dovuto rispettare i principi morali ma essere anche uno strumento per divulgare tali principi. In particolare, i temi riguardanti il male, la famiglia e la sfera del pudore, dovevano essere rappresentati in un modo specifico. La televisione, in questi anni, veniva utilizzata come mezzo per raggiungere tutti i ceti sociali. Di interesse, infatti, è sottolineare la presenza di programmi indirizzati all’istruzione e alla scuola. Per quanto riguardava invece l’informazione, centrale divenne il telegiornale.

La televisione negli anni Sessanta

Nel 1961 divenne dirigente Rai il giornalista Ettore Bernabei, che vi rimase fino al 1975. Egli si trovò ad agire in una situazione politico sociale mutata. Era consapevole della necessità di tenere in considerazione voci differenti al fine di garantire un dialogo su varie questioni. Bernabei adeguò di conseguenza anche la programmazione: il telegiornale, ad esempio, venne affidato ad Enzo Biagi che rivoluzionò la scaletta. Inaugurò, inoltre, il format del programma di approfondimento.

Il 4 novembre 1961 iniziarono le trasmissioni del Secondo canale, limitato a due ore e ad alcune regioni. La volontà era di arricchire la programmazione e raggiungere un pubblico sempre più ampio. Mentre proseguivano i programmi dedicati all’istruzione, sorgevano dibattiti sull’uso della televisione in ambito scolastico. Le ricadute sulla popolazione delle trasmissioni per l’apprendimento furono comunque valutate in maniera positiva. In questi anni venne, inoltre, aggiornata anche l’offerta culturale, per la popolazione considerata più colta.

Una grande attenzione venne rivolta anche ai programmi di intrattenimento. Il varietà cominciò a guardare a formule più moderne e ad avvalersi di professionisti quali Franca Valeri, Raimondo Vianello, Sandra Mondaini e altri nomi noti. Un genere che in particolar modo connotò la televisione italiana fu il teleromanzo, raggiungendo un successo notevole. Si ampliò anche l’offerta destinata ai ragazzi, divisi per fasce di età: formazione ed evasione divennero le parole d’ordine. Negli anni Sessanta, anni di cambiamenti, la televisione divenne simbolo di benessere ma allo stesso tempo cominciarono gli studi sociologici sugli effetti del fenomeno. Un problema rilevante era l’uso che se ne faceva e il rapporto con lo Stato.

La televisione privata

Negli anni Settanta, in linea con il contesto politico, si giunse a un periodo complesso.  Nel 1971 nacque Telebiella, considerata la prima televisione privata. Un decreto del 1973 costrinse alla chiusura la rete ma, nel 1974, una sentenza della Corte costituzionale legalizzò le radio e le televisioni private in ambito locale. Le televisioni pubbliche vissero una fase di difficoltà, di conseguenza emerse una spinta alla privatizzazione dei servizi radiotelevisivi. Le emittenti private, vere e proprio imprese commerciali, suscitavano l’interesse degli spettatori per la programmazione estesa.

Silvio Berlusconi si inserì in questo panorama. Nel 1976 rilevò TeleMilano, una delle emittenti private milanesi. Nel 1978 fondò Fininvest, più importante polo privato italiano nel settore televisivo. Berlusconi voleva coprire gli spazi di programma lasciati scoperti dalla Rai e puntare sull’intrattenimento: film, telefilm americani, cartoni animati, fiction. Anche il calcio divenne un punto di riferimento. Berlusconi aveva un’idea chiara di come fare televisione commerciale. Nel 1984 Fininvest aveva tre reti: Canale 5, Retequattro e Italia 1. Queste reti distribuivano programmi facili, spensierati, e chiaramente gratuiti: lo scopo non era più educare. Gli anni Ottanta furono un periodo di concorrenza sul terreno dei programmi per Rai e Fininvest.

Riflessioni sul ruolo della televisione nella società

  È interessante riportare le considerazioni dello storico Paul Ginsborg. Negli anni Sessanta, come già evidenziato, la televisione giocò un ruolo educativo importante nel portare informazioni a differenti fasce della popolazione. Secondo Ginsborg, però, il mezzo di comunicazione in mano ai “membri dell’oligarchia televisiva globale” (P. Ginsborg, Berlusconi, p. 26) non è al sicuro. I programmi risultano diseducativi. L’identità individuale si forma all’interno di contesti di messaggi pubblicitari, il consumismo risulta rilevante nella creazione di “una cultura televisiva consensuale di massa” ( P. Ginsborg, Berlusconi, p.30). Il consumo avviene però in modo “sottile e cumulativo[…].

Gli spot, i varietà e la fiction della televisione italiana mandano in onda una blanda ma ininterrotta versione di quella che dovrebbe essere la vita familiare.” (P. Ginsborg, Berlusconi, pp. 30-31). Se la televisione degli esordi puntò particolarmente su una programmazione educativa, la televisione privata si soffermò in modo maggiore sull’evasione. Attraverso questi brevi spunti di riflessione è necessario provare a domandarsi che ruolo svolga oggi la televisione in una società sempre più dominata dai social.

Silvia Brera per Questione Civile

Bibliografia e Sitografia:

  • I. Piazzoni, Storia delle televisioni in Italia. Dagli esordi alle web tv, Carocci, Roma 2014;
  • P. Ginsborg, Berlusconi. Ambizioni patrimoniali in una democrazia mediatica, Einaudi, Torino 2003;
  • G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-2011, Il Mulino, Bologna 2012.
  • Treccani.it
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