Prospettive diagnostiche e terapeutiche del linfoma di Hodgkin: dalla poli-chemioterapia agli anticorpi monoclonali
Il linfoma di Hodgkin è un tumore del sistema linfatico che origina dai linfociti B. Questi ultimi sono una tipologia di globuli bianchi presenti nel sangue, nel midollo osseo, nelle stazioni linfonodali, nella milza e in altri organi del sistema linfatico.
Molto spesso si sviluppa all’interno dei linfonodi, disposti prevalentemente nella parte superiore del corpo, i quali svolgono un ruolo fondamentale nella difesa immunitaria. Infatti in condizioni fisiologiche, in presenza di un’infezione o uno stato infiammatorio, i linfonodi aumentano di volume e inducono la proliferazione dei linfociti B e di altre cellule immunitarie che raggiungono il sito del danno cellulare.
Si ricorda che ciò che lo caratterizza rispetto agli altri linfomi, i quali rientrano sotto il nome collettivo di linfomi non Hodgkin, è la presenza da un punto di vista anatomopatologico di alcune cellule giganti e binucleate, chiamate cellule di Reed-Sternberg (RS) insieme alle cellule di Hodgkin.
L’incidenza e i fattori di rischio
Il linfoma di Hodgkin colpisce circa 4 persone ogni 100.000 abitanti. Tra i linfomi è il tumore più comune nella fascia di età di 20 ai 30 anni e in generale i casi di linfoma di Hodgkin rappresentano circa il 10-15% di tutti i casi di linfoma.
Alcune fasce della popolazione sono maggiormente a rischio di sviluppare questa malattia. Tra queste troviamo prevalentemente le persone di età giovanile compresa tra i 20 anni e i 30 anni e i pazienti di età superiore ai 60 anni; un aumento lieve del rischio di sviluppare il linfoma di Hodgkin è stato evidenziato inoltre nel sesso maschile. D’altro lato, pur essendo rilevante la storia familiare, è stato dimostrato che i fattori ambientali sono più determinanti nell’insorgenza della neoplasia rispetto ai fattori genetici.
Un ruolo molto significativo, specialmente nel sottotipo di linfoma di Hodgkin a cellularità mista, è dato dalle infezioni pregresse. In particolare si ritiene che un terzo dei casi sia legato all’infezione da virus di Epstein-Barr (EBV), responsabile della mononucleosi infettiva. Questo virus è infatti contratto prevalentemente in età pediatrica e la sua riattivazione e successiva evoluzione del linfocita B in cellula neoplastica dopo circa dieci anni spiegherebbe la prevalenza del linfoma nelle persone di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
Inoltre un’altra condizione predisponente il linfoma di Hodgkin è lo stato di immunodepressione, che è tipica di pazienti che hanno eseguito un trapianto d’organo o che hanno contratto un’infezione da HIV. Infine è stata studiata anche l’importanza dei fattori geografici dal momento che il linfoma di Hodgkin ha una maggiore incidenza nei paesi del nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada rispetto ai Paesi asiatici.
I due tipi principali di linfoma di Hodgkin
Il linfoma di Hodgkin viene distinto in due tipi principali:
- Il linfoma di Hodgkin classico, caratterizza il 95% dei casi. Questo tipo è a sua volta classificato in quattro sottotipi: linfoma sclero-nodulare, a cellularità mista, ricco in linfociti, a deplezione linfocitaria;
- Il linfoma di Hodgkin nodulare a predominanza linfocitaria, nel 5% dei casi.
I sintomi del linfoma di Hodgkin
Nella gran parte dei casi, il primo sintomo del linfoma di Hodgkin è l’ingrossamento dei linfonodi, ovvero una linfoadenopatia specialmente della regione latero cervicale. È bene ricordare che l’ingrossamento delle stazioni linfonodali non è sempre correlato alla diagnosi di linfoma, infatti solo nel 15% dei casi la linfoadenopatia è causata da una neoplasia, mentre per più dell’80% è ricollegabile ad altre malattie benigne, per cui è molto importante fare un’attenta diagnosi differenziale. Altri sintomi più generici del linfoma di Hodgkin comprendono la febbre, la sudorazione notturna, una perdita significativa di peso corporeo e il prurito.
Alcuni sintomi meno specifici, che però non sono trascurabili al momento della diagnosi, includono l’astenia e la perdita di appetito. Se la malattia riguarda i linfonodi mediastinici si possono manifestare anche la tosse, le difficoltà respiratorie e il dolore al petto.
Le prospettive diagnostiche
In presenza di sintomi che possono far sospettare a un linfoma di Hodgkin, è fondamentale rivolgersi al medico per eseguire un’accurata anamnesi e un esame obiettivo. L’esame che permette al clinico di arrivare alla diagnosi resta la biopsia linfonodale, una procedura che consiste nel prelevare un campione di tessuto da un linfonodo per analizzarlo al microscopio. Una volta ottenuta la diagnosi istologica, occorre effettuare la stadiazione della malattia per valutarne l’estensione.
La stadiazione del linfoma consente di definire l’estensione del linfoma valutando quattro possibili stadi in base alle stazioni linfonodali coinvolte e in base alla presenza o meno di un coinvolgimento extra nodale. La stadiazione del linfoma di Hodgkin, a differenza di quanto avviene con i tumori solidi che si basano sulla stadiazione TNM, si basa sulla stadiazione di Ann Arbor che prevede quanto segue:
- Stadio I: è interessata un’area linfonodale o sopra o sotto il diaframma;
- Stadio II: due o più aree linfonodali sono interessate dallo stesso lato del diaframma;
- Stadio III: sono interessate almeno un’area linfonodale sopradiaframmatica e un’area linfonodale sottodiaframmatica contemporaneamente;
- Stadio IV: il linfoma è diffuso in più stazioni linfonodali e interessa anche altri organi come ossa, polmoni e fegato;
Ad ogni stadio I-II-III-IV viene associato il suffisso A o B a seconda dell’assenza o della presenza dei sintomi caratteristici quali la febbre, il prurito, il calo ponderale e la sudorazione notturna.
Sono indispensabili per questo gli esami di diagnostica per immagini, principalmente la tomografia computerizzata (TC) con mezzo di contrasto e la TC-PET con 18 fluoridesossigluocosio. Quest’ultima indagine sta assumendo un’importanza sempre maggiore non solo per effettuare la stadiazione e quindi la diagnosi del linfoma, ma soprattutto per valutare la risposta al trattamento nella fase seguente.
La terapia: il trattamento polichemioterapico e la radioterapia
Il trattamento e la gestione del paziente con linfoma di Hodgkin rappresenta uno dei maggiori successi dell’oncologia moderna. La possibilità di guarigione è al giorno d’oggi molto elevata, specialmente tra i pazienti in giovane età. Infatti l’85% dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin va incontro ad una completa remissione.
Il trattamento si basa sulla poli-chemioterapia e sulla radioterapia. Lo schema di poli-chemioterapia maggiormente utilizzato è stato sviluppato dal ricercatore Gianni Bonadonna e si chiama ABVD poiché è costituito dai seguenti farmaci, da cui sono tratte le iniziali:
- Adriamicina o doxorubicina (A)
- Bleomicina (B)
- Vinblastina (V)
- Dacarbazina (D)
Negli stadi più avanzati della malattia si ricorre a schemi di terapia più aggressivi, mentre la radioterapia è utilizzata come terapia per eradicare dalle cellule neoplastiche le sedi di malattia voluminosa: per questo motivo la malattia viene denominata in inglese bulky disease.
Oggi sappiamo che la PET, eseguita dopo i primi due cicli di trattamento poli-chemioterapico, ha anche un determinante valore prognostico: se la PET risulta negativa, si continuano le terapie e le possibilità di guarigione risultano molto alte.
Nei pazienti invece in cui il trattamento con poli-chemioterapia di prima linea non è sufficiente o il linfoma si ripresenta dopo il trattamento, significa che il paziente ha una refrattarietà alla chemioterapia. In questi casi è possibile ricorrere a trattamenti più intensivi, quali il trapianto di cellule staminali ematopoietiche che può essere un trapianto autologo, quando vengono trapiantate le cellule prelevate dallo stesso paziente o, più raramente, di tipo allogenico se sono trapiantate le cellule provenienti da un donatore.
La nuova frontiera della ricerca: gli anticorpi monoclonali
I progressi della ricerca oncologica hanno permesso di sviluppare nuovi farmaci mirati contro il linfoma di Hodgkin, tra cui il Brentuximab: quest’ultimoè un anticorpo monoclonale che riconosce l’antigene CD30 sulle cellule neoplastiche e che veicola una tossina capace di distruggere le cellule malate in modo selettivo.
Un altro esempio sono i Checkpoint inhibitors, come il Nivolumab e Pembrolizumab, che agiscono inibendo il checkpoint immunitario PD-1, stimolando così le cellule T ad attaccare le cellule tumorali.
Nel caso del linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitaria, vista l’alta espressione della proteina CD20, il trattamento prevede l’utilizzo degli stessi farmaci chemioterapici usati nel linfoma di Hodgkin di tipo classico con l’aggiunta del Rituximab, un anticorpo monoclonale diretto proprio contro l’antigene CD20 del linfocita B. Questa terapia con i chemioterapici e il Rituximab può anche essere associata al trattamento radioterapico.
Dal momento che sia la chemioterapia che la radioterapia possono provocare la sterilità, è estremamente importante proporre ai pazienti giovani, prima di iniziare le cure, il congelamento del liquido seminale negli uomini e di ovociti nelle donne tramite la procedura di crioconservazione. Infatti la crioconservazione è una procedura medica che permette di preservare la fertilità consentendo di conservare i gameti maschili e femminili per un uso futuro, dal momento che le terapie mediche che ne possono compromettere la fertilità.
Giulia Marianello per Questione Civile
Sitografia:
- www.aosp.bo.it
- www.policlinicocampusbiomedico.it