Le eresie all’interno del cristianesimo medievale

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Storia di movimenti religiosi cristiani combattuti come eresie nel Medioevo

L’unità religiosa ha costituito una base culturale comune nella storia dell’area mediterranea ed europea, ma al suo interno non sono mancati dissensi spesso marchiati come eresie. Il Medioevo è tradizionalmente raccontato come il lungo periodo dominato dalla presenza di un Dio che pervade ogni aspetto della vita umana, ma che è, soprattutto, un unico Dio per molti. Tutto ciò non è bastato a far sì che non venissero perpetuate persecuzioni da cristiani contro cristiani. Anzi, esse hanno caratterizzato sin dalle origini la storia di questa religione in modi e tempi diversi.

Il primo punto da affrontare è, infatti, quello della periodizzazione: il Medioevo racchiude un lasso temporale ampissimo, per questo è impossibile trattarlo applicando le stesse categorie per dieci secoli. Il VI secolo d.C. presenta un quadro completamento diverso da quello dell’XI. Nel primo, il cristianesimo è ancora in fase di affermazione e diffusione: ne sono un esempio le missioni evangelizzatrici nelle isole britanniche. Al principio dell’anno Mille, invece, l’unità cristiana è ormai l’elemento distintivo dell’Europa e dei regni che si stanno formando. Le persecuzioni e le eresie hanno dunque un profilo diverso in base al periodo in cui si collocano, lungo secoli che hanno visto il nascere e il costituirsi l’unione fondante l’identità europea moderna.

Le prime eresie

La diffusione della religione cristiana in una vasta area comportò da subito la nascita di diverse interpretazioni della nuova fede. È importante, dunque, dare uno sguardo a quanto accaduto nella tarda antichità, prima di entrare nel vivo del Medioevo. I primi secoli del Cristianesimo furono caratterizzati da scontri interni legati sia a questioni teologiche che di gestione della nascente istituzione ecclesiastica. Queste dispute trovarono un’area di sviluppo nella parte orientale dell’impero, verso cui si era spostato il baricentro polito e culturale.

Per questo tra IV e V secolo d.C. furono convocati vari concili con l’obiettivo di combattere le eresie che avevano attecchito e avuto seguito.

Il primo, quello di Nicea, fu indetto dallo stesso imperatore Costantino contro l’arianesimo: il prete Ario vissuto tra III e IV secolo, sosteneva che la natura di Cristo fosse solo umana e non divina come quella del Padre. Questo concilio rappresentò un punto di svolta importante: l’imperatore assunse il ruolo di arbitro nelle dispute religiose, fornendo un modello per gli sviluppi futuri del potere imperiale e del suo rapporto con la Chiesa. Inoltre, venne stabilito il testo del Credo che ancora oggi recitiamo durante la messa, manifesto della fede cristiana cattolica.

Seguirono altri concili: nel 431 si svolse a Efeso quello contro l’eresia nestoriana e nel 451 a Calcedonia contro il monofisismo. Entrambe discordavano dall’ ortodossia stabilita a Nicea sul dogma della Trinità, contemporaneamente una e trina. Nestorio, patriarca di Costantinopoli, sosteneva la compresenza di due persone, una divina e una umana, in Cristo; la teoria monofisita sosteneva che Cristo avesse solo natura divina.

Ovviamente reprimere dall’alto un fenomeno endemico non significa automaticamente porvi fine. Queste confessioni continuarono a circolare, come dimostra l’adesione al cristianesimo, nella forma ariana, di alcuni popoli germanici. Solo nei secoli successivi (dal V d.C. in poi) si convertirono al cattolicesimo.

La chiesa occidentale nei primi secoli del Mille

La proliferazione di più eresie non fermò l’affermarsi del cristianesimo durante l’Alto medioevo: questi furono i secoli in cui la chiesa e le sue istituzioni si formarono e definirono. Senza la pretesa dell’esaustività, lo sguardo è ora rivolto alla pars Occidentis dell’impero, che ebbe una storia diversa rispetto all’area bizantina. 

La caduta dell’Impero Romano d’Occidente comportò il progressivo indebolimento delle strutture politiche e di controllo del territorio. La chiesa romana dovette far fronte di per sé ai vari pericoli che si presentavano. Le istituzioni ecclesiastiche, in primis il papato, assunsero ruoli e responsabilità di tipo politico, in assenza del potere imperiale e nella frammentazione generale dei cosiddetti regni romano-germanici.

Con la rinascita dell’impero, sotto la guida di Carlo Magno, le cose si fecero più complicate. I rapporti tra i due grandi poteri universali furono segnati da alti e bassi, in cui l’uno cercava di prevalere sull’altro. Lo scontro raggiunse il culmine nell’XI secolo, con papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico III e la questione relativa all’investitura dei vescovi, che ricoprivano anche un ruolo politico nell’impero.  A chi spettava eleggerli? Al papa o all’imperatore?

Il punto era sempre lo stesso, definire i confini del potere dell’uno e dell’altro. I riformisti, quali Gregorio VII, avevano come obiettivo quello di eliminare qualsiasi influenza laica dalla chiesa, compresa quella dell’imperatore, per renderla un potere al di sopra di tutto.

La faida durò a lungo, fino a quando nel 1122 venne firmato il concordato di Worms da papa Callisto II e l’imperatore Enrico V. Fondamentalmente, quest’ultimo esercitava un controllo diretto sulle investiture dei vescovi solo in Germania ormai.  La chiesa, insomma, prendeva le sembianze di un potere temporale che la stava allontanando dalla cura animarum, dalla sua funzione spirituale. Contro questa deriva si scagliarono i movimenti sviluppatisi a partire dalla seconda metà del XI secolo.

I movimenti religiosi pauperistici e gli ordini monastici

Di fronte a una chiesa sempre più somigliante a un potere politico, fortemente legata alla mondanità, molti furono i contestatori che miravano a un ritorno alla povertà professata da Cristo.

Mentre era in corso lo scontro tra papato e impero, nella seconda metà del XI secolo, a Milano prese piede il movimento patarino. I patari (forse dal patée cioè straccioni) si scagliavano contro la corruzione della chiesa, accumulatrice di ricchezze e lontana dai poveri. Fiduciosi nell’attività dei riformisti in seno alla chiesa di Roma, come Gregorio VII, gli fu ben presto chiaro che l’obiettivo dei vari papi che si succedettero non fosse un ritorno al messaggio evangelico. Puntavano, piuttosto, a rendere il pontificato un potere non sottomesso a nessun altro e con una propria gerarchia. Il passaggio, nel XII secolo, all’eresia fu inevitabile: era il modo in cui la chiesa cercava di tutelare i propri interessi.

I patari non furono l’unica espressione di dissensi interni, ma altre voci si levarono a favore di una vita votata alla spiritualità. Il monaco e vescovo camaldolese Pier Damiani (1007-1072) fu uno dei sostenitori della fuga dal mondo, intesa come allontanamento dai piaceri terreni e l’idea di una vita ascetica. Pur rientrando nei ranghi ecclesiastici, comprese che all’interno di essi questo non avveniva.

Importante fu, inoltre, il ruolo degli ordini monastici come quello certosino o camaldolese, i cui membri svolgevano spesso il compito di predicatori. Lo stesso Pier Damiani riteneva che i monaci, essendo i più vicini al popolo, dovessero avere questa funzione pastorale. Anche qui la chiesa intervenne per tenere sotto controllo quanto avveniva negli strati più bassi della società. Il concilio lateranense del 1123 ridimensionò il ruolo dei monaci, i quali dovevano essere sottoposti ai vescovi per esercitare qualsiasi liturgia o omelia.

L’eresia catara

Tra il XI e il XII secolo assistiamo, dunque, all’affermazione definitiva dell’egemonia della chiesa romana in Occidente. Questi sono gli anni delle prime crociate, a dimostrazione di come l’elemento religioso guidasse anche l’azione politica, spesso sottomessa al papato.

Nonostante tutto, continuarono a diffondersi delle visioni divergenti ispirate a un maggior rigorismo e fautrici di una riforma morale. Tra queste si colloca l’esperienza dei catari, dal greco katharos, cioè puro. Essi si rifacevano alla teoria manichea del dualismo tra bene e male, allontanandosi in questo dalla concezione cristiana, poiché pensavano che Dio non potesse concepire il male. Di conseguenza non ritenevano possibile il libero arbitrio e credevano nella metempsicosi, la trasmigrazione delle anime dopo la morte, probabile retaggio orientale come il manicheismo.

I catari seguivano anche uno stile di vita all’insegna della privazione, per combattere le tentazioni della carne, materia imperfetta in cui l’anima era intrappolata. Pur allontanandosi dal cristianesimo per alcuni aspetti, per altri, come la pratica della castità, erano molto vicini.

La loro dottrina si sviluppò nel corso del XII secolo nel sud della Francia, trovando un centro importante nella città di Albi; da qui il motivo per cui sono noti anche come albigesi. Nella città della regione storica della Linguadoca, si riunivano in una chiesa con una propria organizzazione interna, riscuotendo un certo seguito. Non si trattò semplicemente di un movimento popolare, ma vi aderirono anche le élites locali, divenendo un possibile elemento di contrasto all’influenza e al controllo della chiesa di Roma. 

Le azioni repressive, infatti, non tardarono ad arrivare: già con il concilio di Tolosa nel 1119 i catari vennero scomunicati. Seguirono altre misure come la confisca dei beni e la riduzione in schiavitù, per arginarne quanto più possibile la diffusione.

La crociata contro i catari

Le persecuzioni locali continuarono anche grazie a legati papali inviati in loco, ma gli scontri si inasprirono quando uno di essi venne assassinato. Si aprì allora una parentesi di violenza e sangue: nel 1209 papa Innocenzo III bandì una crociata, come quelle indette contro gli infedeli musulmani a Gerusalemme.

Risposero all’appello i signori del nord della Francia, esecutori materiali delle azioni militari in un’area ricca quale era il sud del paese. I motivi economici si celano sempre dietro ogni mobilitazione, massacri e distruzioni rispondono a queste logiche di guadagno.

La repressione durò a lungo: pur uscendo vittoriosa, la Chiesa si era macchiata di una ferocia e crudeltà che sicuramente non la rendevano vicina ai fedeli. Contemporaneamente in quegli anni si stava formando il primo nucleo dell’Inquisizione, con tribunali speciali pensati per combattere le eresie.

Le eresie: il riconoscimento di alcuni, la condanna di altri

Dall’altra parte, con il concilio lateranense del 1215 Innocenzo III aveva cercato anche un’altra strada, non solo quella della repressione. Infatti, vennero approvati gli ordini mendicanti e la predicazione popolare da loro svolta.

Il trattamento riservato ai vari movimenti che nel frattempo crescevano non era sempre lo stesso, tutto dipendeva dal rapporto con la chiesa. Il fatto di essere totalmente fuori dalle gerarchie ecclesiastiche, non essendo inseriti in un ordine monastico riconosciuto, li rendeva incontrollabili dall’alto e quindi facilmente dichiarabili eretici. Così avvenne per Petro Valdo, fondatore nel 1173 dei “Poveri di Lione”, sul quale cadde l’accusa di eresia.

Nel 1210 fu approvato, invece, il modello di vita proposto da Francesco d’Assisi: la sua attività non fu contrassegnata da un’invettiva veemente contro l’istituzione ecclesiastica, riconosciuta e rispettata. Grazie a ciò il movimento francescano ebbe modo di crescere, per poi essere trasformato in un vero e proprio ordine che ancora oggi continua a vivere.

Di episodi simili a quelli raccontati finora ce ne sarebbero molti altri, ma questi bastano a mostrare quanto fosse veramente sottile la linea tra ortodossia ed eresia. Motivi politici e religiosi si intrecciavano tra loro, come d’altronde succede ancora oggi, scatenando guerre con il solo obiettivo di proteggere il potere e gli interessi di alcuni a discapito di altri.

Giulia Di Domenico per Questione Civile

Bibliografia

Cardini, F., Montesano, M., Storia medievale. Seconda edizione,Le Monnier Università, 2019

Montesano, M., Ai margini del Medioevo. Storia culturale dell’alterità, Carocci editore, 2021

Sitografia

www.storicang.it

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