Il cibo e le nostre relazioni

Food and the city. La relazione con il cibo ha sostituito le relazioni?

Nella nostra quotidianità il cibo figura prepotentemente nelle conversazioni.

“Questa cosa dell’adrenalina da ristorante mi turba, mi sembra l’unica fonte di gioia di certi amici che, quando meno te l’aspetti, iniziano a disquisire estasiati di formaggi di grotta e metodi di vinificazione avveniristici.”

Il messaggio inviatomi dal mio capo nel bel mezzo di una cena mi ha fatto riflettere. Come cuoca ero a dir poco penosa, in compenso avevo una libreria dedicata solo a libri di cucina e seguivo tutte le trasmissioni sul tema.

Perché tutto questo interesse? Quando le persone non mangiano, discutono di cucina. Avevo assistito a dibattiti del tipo “dimmi come mangi e ti dirò chi sei”, oppure “dimmi come cucini e ti dirò chi sei”. Dall’amica che sostiene che, se un uomo ad un appuntamento ordina bresaola e rucola va scartato perché privo di sentimenti, a quello che confronta l’amica che fa la peperonata cruda con quella che brucia la tarte tatin, per definirne la personalità.

Il cibo ci definisce più di quanto non facciano le relazioni? È per questo che abbiamo una relazione con il cibo anziché con i nostri simili?

Oggi che le regole sono tornate severe come nelle Sacre Scritture, siamo molto più attenti di un tempo a ciò che c’è nel piatto: che sia etico, biologico, a filiera controllata. C’è tuttavia un evidente contrasto: in Italia l’acquisto di biologico è cresciuto negli ultimi dieci anni del 217% ma il 20% delle persone acquista alimenti precotti (Censis, 2010).

Nella Torah è scritto “Non cuocerai il capretto nel latte di sua madre” (Es. XXIII, 13 – XXXIV, 26: Deut. XIV, 21) creando una precisa regola che detta oggi persino l’arredamento delle case degli ebrei osservanti, in cui contenitori, lavandini e oggetti per latticini e carni sono rigorosamente separati.

Il tabù in cucina ha origini antiche, dunque, ma, a quanto pare, è tornato di moda. Vegani, vegetariani e seguaci del macrobiotico dettano i nuovi comandamenti della buona tavola e i divieti, che fino a pochi anni fa applicavamo al sesso e alle relazioni, oggi li applichiamo al cibo.

Forse per questo c’è un sottile piacere nel rompere tali regole. La scappatella con l’amante, oggi, è il foie gras politicamente scorretto o la lasagna già pronta e piena di glutammato. In fin dei conti l’amante è un modo per consolarsi, rifugiarsi, avere quello che si trova in una relazione. E allora mentre ci professiamo a favore delle uova di gallina prese da galline che ascoltano musica classica, capita talvolta che ci infiliamo in un fast food mangiando crocchette di pollo fritte in un olio plurisecolare, derivanti da polli che non abbiamo la minima idea di come siano stati cresciuti. E neppure ci interessa peraltro. Non ci interessa tanto il “come” in cucina, allo stesso modo non ci interessa capire da dove derivi il sex appeal nei movimenti di una spogliarellista. Abbiamo perfino coniato il termine foodporn per avvicinare i due mondi.

Il cibo è il nuovo sesso? Se lo è chiesto la scrittrice Mary Eberstadt nel suo saggio ed è approdata ad alcune riflessioni interessanti sul cambiamento generazionale del rapporto tra cibo e relazioni: le vecchie generazioni hanno un rapporto disinvolto nei confronti del cibo, senza particolari riflessioni su tematiche di salute o sostenibilità, ma tendono ad essere puritane nei confronti di concetti quali amore e sesso. L’opposto di quanto avviene nei millenials, che vivono una sessualità libera ma sono pieni di tabù sul cibo.

Forse tutte queste teorizzazioni sul cibo sono la nuova pornografia allora, ci piace guardare e parlare di cucina, ma poi, quando siamo soli al nostro desco, non sappiamo destreggiarci.

Cibo e relazioni condividono le stesse parole e lo stesso approccio? Gli stessi pattern? Corteggiamo un ristorante, uno chef, prepariamo l’incontro con cura, spesso anche studiando e informandoci sulle tendenze, sui gusti dello chef, su ciò che vuole esprimere. Quasi come in una app di appuntamenti, controlliamo che la personalità di ristorante e ristoratore si “abbini” con la nostra. Spesso sublimiamo le nostre tendenze sadiche o masochistiche in un pranzo al ristorante: fustighiamo chef e personale, cucina e materie prime oppure ci lasciamo maltrattare, mettere all’angolo e giudicare con superiorità come novellini alla prima esperienza.

E ci piace pagare per tutto questo.

Oppure forse non siamo più in grado di trarre piacere dalle persone e allora ecco che tutto il food assurge al ruolo di comfort food. Il nutrimento relazionale è diventato mero nutrimento fisico.

Anoressici nelle relazioni, siamo bulimici con il mondo della cucina. Un tempo ci si invitava a pranzo per parlare, per gioire, per condividere. Oggi ci serviamo degli inviti per stupire, abbagliare, forse mistificare. Ricevere a casa, andare al ristorante, creare piatti elaborati sono la nostra nuova coperta di Linus.

Secondo lo studio del 2016 “Eaters digest”, condotto da Havas e Market Probe e che prende in considerazione 12 mila intervistati di 37 Paesi, tra cui l’Italia,  il 42% delle donne ritiene «una cena in un eccellente ristorante» meglio di un appuntamento tra le lenzuola. Per il 31% le due opzioni si equivalgono.  Secondo lo stesso studio, il 46% degli uomini dichiara che mangiare è piacevole quanto fare sesso. E uno su 4 sceglierebbe la famosa cena al posto della notte di passione (Fonte: corriere.it, 2016, “Quando il cibo è meglio del sesso”).

Se il peccato originale nella Bibbia consisteva nel mangiare una mela, oggi forse Eva dovrebbe impegnarsi in una complessa tarte tatin ai tre caramelli con coulis di vaniglia del Madagascar per schiodare Adamo dalla trasmissione di Benedetta Parodi. Forse Dio, a quel punto, darebbe il bonus salvezza salverebbe Adamo ed Eva da un’eliminazione. Salomé avrebbe chiesto una testina di vitello con salsa verde e bagna cauda come premio la sua danza sensuale.

E sarebbero vissuti tutti satolli e contenti.

Dal Pranzo di Babette, al Pranzo di ferragosto, al pranzo della domenica siamo finiti ad una triste (Grande) abbuffata, solo teorica, di cibo.

Se Candice Bushnell, autrice di Sex and the city, ha appena pubblicato il libro “C’è ancora sesso in città?”, forse non siamo gli unici a chiederci se dal “sesso e la città” siamo passati alla cena dei cretini. Inconsapevoli di essere l’ospite d’onore.

Viviana Capurso per Questione Civile – XXI

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