CHE SENSO HA?

CIARLESTRONIANA

Era brillosto, e i tospi agìluti

Facean girelli nella civa;

Tutti i paprussi erano mélacri,

Ed il trugòn striniva.

“Ma bada al Ciarlestrone, o figlio!

Con fauci e denti ti riserra.

Del Giuggio uccèl bada all’artiglio,

E al frumio Bandafferra!”

Il figlio impugna il brando vòrpido,

In cerca del mansone va;

E giunto dei Tontoni all’albero

Fermo e perplesso sta.

Qui mentre sosta in pensier trudici

L’Occhiodibragia Ciarlestrone

Si sonfla nella selva fulgida,

Sbollando nell’azione!

Un, dué! Un, dué! E poi daccapo,

Il brando vòrpido schidiatta

Morto il nemico, col suo capo

Galonfa alla ritratta.

“Il Ciarlestrone hai schiantato?

Qua che t’abbracci, o coraggioso!

Callò! Callài! Giorno fregiato!”

Quei stripetò, gioioso.

Era brillosto, e i tospi agìluti

Facean girelli nella civa;

Tutti i paprussi erano mélacri,

Ed il trugòn striniva.

Ok, forse non è tutto chiaro e limpido nella singolarità delle sue parole ad una prima lettura (e forse neanche ad una seconda o una terza…), benché un senso generale lo si riesca ad evincere.

Questa è la traduzione (condotta da Masolino D’Amico) di Jabberwocky, mirabile esempio di poesia di nonsense presente in Attraverso lo Specchio e Quello che Alice vi trovò, praticamente la seconda parte di Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Quello che è più certo è che, con Alice, “[i]n qualche modo è come se mi riempisse la testa di idee… solo che non so di preciso quali!” (cit. tratta dall’edizione annotata da Martin Gardner ed edita BUR, Rizzoli; p. 185). E da questo riempimento di idee, di sussulti, di collegamenti, emerge la domanda: ma che senso ha? 

Ecco, forse non capiremo mai il senso di una poesia di nonsense (ma è davvero necessario capirlo?), però avremo una nuvola vorticosa di pensieri che ci frullano nella testa e una domanda in più circa ciò che si rivolge direttamente alla cosa stessa: il senso.

Si parlerà allora di senso e dei molteplici sensi attraverso i quali non si possa riferire il senso di una cosa. È giusto fare una precisazione: riferirci al senso ci porta di già al di fuori del senso, in quanto ci lascia sul terreno del riferimento, della significazione, dell’ostensione.

Per questo, la domanda sul senso trova la risposta in un riferimento al senso che decade così in un senso-riferito, che fa del senso il suo trascendentale primario, caotico ma debordante di idee e del senso-riferito una soluzione parziale, una dissoluzione solamente detta (Lacan).

Ma in quanti sensi si può dire il senso? Meglio, in quanti riferimenti possiamo dire il senso? Ne individuiamo almeno due (che poi sono molti di più…): senso-ontologia e senso-direzione.

1) Per senso-ontologia intendiamo quella struttura problematico-ideale che ben ha evidenziato Alice esprimendo le sue perplessità alla lettura della Jabberwocky (e la perplessità è e(qui)vocata dalla complicazione terminologica della perplicazione deleuziana: se in Differenza e Ripetizione con questo termine si esprime il piegarsi – dal latino plico – dell’idea in sé stessa, ovvero l’inviluppare i riferimenti nell’Idea virtuale, la perplessità è riflesso nel pensatore che deve pensare l’impensabile): quell’insieme di idee di per sé distinte (sono pur sempre idee), ma oscure, come quando di notte si riesce a distinguere gli oggetti, ma non a delimitarne e coglierne precisamente la forma (incontri ravvicinati del terzo tipo con gli spigoli docunt).

Ne individueremo tre tipologie:

  • doppio senso: dispositivo comico per eccellenza, il riferimento si fa incerto, ondeggia tra due (o più) possibilità, affermate e negate (una delle due o di quelle in gioco). Il riferimento si ritira e la cosa significata si carica di una sovrapposizione che la trascina tra opzioni differenti. Il riferimento scivola, ma la cosa no, ed è la cosa cui noi dobbiamo dare senso: per questo è ad un primo livello ontologico. È al livello delle soluzioni, risolubile nella decisione su quale riferimento fare riferimento (è una battuta; non è una battuta);
  • parasenso: il riferimento non esaurisce per nulla il problema sopravanzato che anzi si complica (si ripiega sempre più in se stesso). È un parasenso nell’accezione comune con la quale si utilizza il termine para-normale: riempie la testa di idee le cui soluzioni altro non fanno che aprire ulteriori problemi e domande. Il parasenso trova la sua espressione nel paradosso, che nella sua semplice insolubilità scoperchia un orizzonte trascendentale nel presentare una molteplicità di serie;
  • nonsense: massimo punto di virtualità. Tutto è così ben compresso in esso che difficilmente si riesce a trovare una soluzione. È posto al terzo livello perché, rispetto al parasenso si pone ad un livello trascendentale ulteriore. Prendiamo ad esempio la poesia di Edward Lear, The Shady Side of Sunnyside. Il parasenso è il trascendentale della doppia lettura possibile: a) Sunnyside è una proprietà e, come tutte le proprietà che si rispettano, ha anche un lato ombroso (shady side), ma b) è universalmente risaputo che ogni buon lato soleggiato (sunnyside) abbia, per essenza, un lato ombreggiato (shady side). Ma ciò che fonda il parasenso e che permette alle due serie menzionate a) e b) di essere due serie è proprio quel fondo che sfonda il senso – buono o comune che sia – e che inviluppa in sé tutti i sensi e riferimenti che affollano la testolina di Alice: ovvero la Cosa mostruosa (e infatti nell’iconografia il Jabberwock è un drago!).

2) Per senso-direzioneintendiamo l’operatività con la quale approcciarsi al senso-ontologia, le diverse dinamiche epistemologiche grazie alle quali rendere ragione della profondità di un senso irriducibile alla soluzione. Il senso-direzione è la strategia risolutiva, l’insieme della attività di costruzione di una tattica di evasione dal problema. Anche qui ne menzioneremo tre:

  • senso unico: disposizione logicistica che individua in una ricaduta formalistica la risoluzione della problematica. Emblematico di tale approccio è il tentativo di portare a esaustione il paradosso: coglierne un aspetto finale in modo da disinnescarne una volta per tutte le incongruenze. Così operando, per quanto si possa giungere alla fine della questione, se ne dimentica la fecondità dell’inesauribilità. La divisione non produce più resto;
  • senso doppio: si ricerca la soluzione del problema per una finalità pragmatica. Scopo di una lettura che fa della filosofia una branca dell’ingegneria (Quine per esempio), si adopera esclusivamente per fornire applicativi di consumo. Se da un lato precipita l’ideale in una realizzazione attuale, ed eleva l’attuale, ovvero ciò che ha prodotto, a oggetto perno, è altresì necessario riconoscere la marcia che ha impresso al mondo e la capacità di guidare visioni del mondo a realizzarsi;
  • senso vietato: l’esclusione delle varie visioni del mondo ognuna a modo suo egemonica. Se il senso vietato impedisce la marcia in una direzione e diventa parola politicamente forte, o fortissima (prendendo spunto di Ricoeur), se impedisce il confronto tra le metodologie e si sclerotizza in una metodica autoreferente si perde la stratificazione della complessità che necessita sempre attente analisi ma anche ulteriori sintesi. Se, di contro, il divieto (di accesso, di transito, di sosta) si colora del simbolico (pensiamo al registro lacaniano), allora si apre uno squarcio che non avvizzisce il problema, ma ci rimanda direttamente ad esso, in seno al senso-ontologia.

Finiamo come abbiamo iniziato: tutto questo, allora, che senso ha?

Simone Vaccaro per Questione Civile – XXI

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