Gina Pane, la madre della performance art

Gina Pane

Gina Pane, artista di rara sensibilità, nonché personalità di spicco della Boby Art del Novecento

“Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro: l’altro. Ecco perché tengo alla Vostra presenza durante le mie azioni”.

Così Gina Pane, protagonista nel secolo scorso della Body Art, concepiva le sue performance più estreme. Parole usate per la sua “Lettre à un(e) inconnu(e)” del 1974. Quasi sconosciuta al di fuori del mondo artistico, è stata rivaluta nel 2005 attraverso la retrospettiva Gina Pane: Terre-Artiste-Ciel, al Centre Georges Pompidou di Parigi, e nel 2012 dal MART di Rovereto. Oggi è considerata una delle più grandi artiste del Novecento. E non solo nell’ambito della Body Art.

“Donne nell’arte“

-N.3

Questo è il terzo numero della Rubrica di Area dal titolo “Donne nell’arte”, appartenente alla Macroarea di Arte ed Archeologia

Cenni su Gina Pane

Nata nel 1939, a Biarritz, italo-francese, Gina Pane trascorse parte della sua infanzia in Italia. Studiò all’Académie des beaux arts di Parigi dal 1961 al 1966. Lì nacque l’interesse per il corpo e la sua fisicità, in ogni dimensione, anche spirituale, sperimentata fino al limite della sofferenza imposta allo stesso corpo, come esperienza mistica. Morì prematuramente a Parigi nel 1990 a causa di un cancro. Nonostante vari artisti avessero provato a raccogliere la sua eredità, a cominciare dalla Abramoviç (per saperne di più, clicca qui), nessuno riuscì a continuare il suo progetto di ascesi. Rendendo se stessa un’icona insuperabile.

I dipinti geometrici e le structures affirmées

La Pane è conosciuta ai più come performer, ma nel corso della sua evoluzione artistica è stata scultrice e pittrice. Agli inizi della sua carriera, realizzò numerosi dipinti geometrici. Dalle opere possiamo vedere quanto fosse un’amante del colore, lo sapeva usare sapientemente e questo si vedrà anche quando metterà in scena, degli oggetti colorati durante il periodo delle partizioni, ottenendo così un ruolo essenziale.

Senza titolo n°31, 1962

Le “Structures affirmées” (1965-1967) sono sculture minimal monocromatiche: con queste, si indirizza sul rapporto uomo-natura confrontandosi con l’esperienza di Giuseppe Penone. Dopo le prime esperienze con la scultura, Gina Pane contribuisce, in questo modo, all’ambiente culturale da cui nasce l’Arte Povera (per un approfondimento clicca qui) con azioni nella natura.

Le installazioni e le azioni nella natura

Alla fine degli anni ’60, la Pane si immerge nella natura: nel 1968 con “Pierres déplacées” ricorre ad un semplicissimo gesto come spostare delle pietre dall’ombra al sole. Un gesto che nella sua semplicità porta con sé una volontà di comunione e armonia con la natura, espressa attraverso questi gesti.  Gesti che la portano a proseguire con altre azioni nella natura. Un’ulteriore opera significativa del suo percorso è “Situazione ideale terra artista cielo”, del 1969: l’artista è in piedi sulla linea dell’orizzonte tra il cielo e la terra. Esprime l’idea che l’artista, lei stessa, deve essere il tramite tra il registro terrestre e quello celeste, tra il terrestre e lo spirituale.

Gina Pane

Le azioni in studio e in pubblico

Dopo le azioni che Gina Pane insegue nella natura, passa ad eseguire delle azioni in pubblico: sale sul palcoscenico e mette in scena il suo corpo attraverso una serie di gesti e segni che ha elaborato nel corso del tempo prima dell’azione. Questo in collaborazione con la sua fotografa Françoise Masson, alla quale lei chiede di fare delle fotografie molto precise. Tutta questa parte preparatoria precede l’azione in pubblico, in cui l’artista va in scena ed esegue una ferita sul proprio corpo.

Gina Pane, Azione sentimentale, 1973, galleria milanese di Luciano Inga Pin

Gina Pane venne notata proprio per la sua performance chiamata “Azione sentimentale”, chiave di volta nella sua espressione artistica. Si vestì di bianco, come una sposa o una vestale, indossando un bouquet di rose rosse, dalle quali staccò tutte le spine conficcandosele poi nel braccio e lasciando colare il sangue. Dopo aver sostituito le rose, prendendone alcune bianche, incise il palmo della sua mano con una lama di rasoio.

Le rose rosse del bouquet diventano bianche. Il vestito bianco si tinge di rosso. Gina Pane introduce nelle sue performance il taglio, la ferita, il sangue. Realizzò, dunque, un’audace performance composta di più parti che illustravano una dimensione cattolica del martirio attraverso l’automutilazione: ferirsi era per lei la concretizzazione di un ideale femminile estetico preimpostato.

Le spine simbolo di un tormento tra la religiosità e la condizione femminile

L’artista è religiosa e la sua è un’arte sacra. Naturalmente la sua visione non era certamente illustrativa, ma fondativa di una spiritualità contemporanea in cui l’arte doveva avere un ruolo determinante. Ha saputo utilizzare in modo simbolico il proprio corpo ispirandosi all’azione del Cristo.

Il corpo umano, perciò, indicato e vissuto come esperienza radicale, come culto ancestrale e inconscio. Come misura dello spazio, luogo spirituale e fisico di un rito primitivo, veicolo di protesta e rivendicazione del diritto ad una esistenza completa di materia spirituale e dignità nel dolore, come “cassa di risonanza dell’intera società, lo specchio di coloro che rifiutano una società consumistica e superficiale”.

Gina Pane

L’azione

A questo punto l’artista s’incide il palmo della mano con una lama di rasoio e il sangue si raccoglie in un piatto. Tutto si compie davanti ad un pubblico di donne: “È a voi che mi rivolgo perché voi siete questa unità del mio lavoro: l’altro. Il corpo ha un ruolo fondamentale nel noi. Se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il mio sangue, è per amore vostro: gli altri. Ecco perché tengo alla presenza delle mie azioni”.

Così esordisce l’artista. Per Gina, dunque, l’arte è amore, donazione, apertura totale alla natura — oltre che agli altri uomini — come madre e sentimento originale. “Oggi rivendico il religioso e tengo al fatto che questa parola sia corretta etimologicamente parlando, rispetto al mio lavoro. Inutile dire che il termine non è legato a nessuna pratica istituzionalizzata ma, al contrario, sono io a fornire gli indirizzi per cui questa dimensione religiosa sia connessa alla vita comune degli esseri umani.” Dichiarò la Pane. Compito arduo, quindi, quello che Gina Pane aveva scelto per sé, che ha costruito tutta la sua poetica attraverso linguaggi differenti, ma con la costante di comunicare amore verso il prossimo, vicinanza, partecipazione.

Gina Pane, Action Autoportrait, 1973

In Action Autoportrait si taglia la lingua facendo sgorgare il sangue dell’accusa e della colpa. Questa performance diviene e si articola come un antico rituale religioso, innalzato sul piano della contemporaneità, in cui il corpo dell’artista diventa lo strumento dell’opera-azione: evidenti sono le tracce di sadismo e masochismo, dove il corpo femminile è manipolato fino all’estremo, in una duplice funzione nella quale la donna è intesa come madre-partoriente e come portatrice di morte, che in sé inghiotte la vita attraverso il sangue bevuto e fuoriuscito dai tagli inflitti dalle lame acute sulla lingua.

Il ciclo di Partitions della Pane

Nel 1981, la Pane terminò il ciclo delle sue performance ed iniziò le “Partizioni”, in cui l’argomento centrale è il ruolo del corpo e la sua relazione col mondo. Le “Partitions”, cioè delle installazioni, spesso a parete, recanti anche tracce di opere precedenti o delle stesse “Azioni”, come le ferite, i bicchieri, i giocattoli, elementi che lei sovrappone e con i quali invita ad identificarci seguendo il suo percorso e le sue opere, chiamate così proprio perché devono essere delle partizioni all’occhio dello spettatore che può ricomporre a modo suo. Qui l’artista abbandona per suoi limiti fisici l’uso del proprio corpo come linguaggio.

Sacro e profano nell’operato di Gina Pane

Non si può comprendere il lavoro dell’artista senza quest’ultimo decennio in cui, con la consueta intelligenza, ha sviluppato il suo percorso di approfondimento dei temi del sacro nel mondo contemporaneo. I soggetti delle opere sono spesso i santi, anzi i martiri, cioè coloro che hanno dato la vita per la fede e per l’umanità. Le fonti sono varie, anche provenienti dalla storia dell’arte.

In “San Giorgio e il drago” (1984-1985), opera ispirata a un dipinto di Paolo Uccello, il colore e le geometrie rappresentano una scomposizione del dipinto dell’artista toscano, sintetizzando l’uccisione, il sangue appena accennato, il superamento del bene sul male. E così altri lavori ispirati a particolari di opere di Hans Memling o di Filippino Lippi, senza scadere nella citazione ma cercando sempre di decrittare l’iconografia attraverso una sintesi linguistica, trasformando tutto in qualcosa di diverso, di attuale e di unico.

Il corpo dei Santi e dei martiri

Nella seconda metà degli anni ’80, Gina Pane lavora in particolare con il corpo dei santi e dei martiri. Si interessa alla figura di San Francesco d’Assisi, infatti, rimasta colpita dagli affreschi di Giotto nella cappella Bardi di Firenze, la verifica delle stimmate di Girolamo, lo rielaborerà lavorando con materiali metallici come il rame, il ferro e lamiera insieme ad un artigiano.

François d’Assise, trois fois aux blessures stigmatisé. Vérification – version 3, 1986-87

Materiali che non solo si trasformano nel tempo ma si trasformano anche quando li si tocca. Materiali quindi che hanno una vita, rievocando il corpo dei santi. Sono lavori eccezionali, difficili da riprodurre, bisogna viverli e vedere tutti i rilievi e le vibrazioni che si sentono quando si guardano da vicino.

Opere meno conosciute, ma che malgrado tutto permettono di chiudere il cerchio e di farci capire che cosa fossero tutti quei segni sacri che erano all’inizio delle azioni e come questi segni sacri percorrono tutta la sua opera e finiscono per diventare completamente evidenti nel problema religioso.

Con Gina Pane si può parlare di transustanziazione?

Si, succede qualcosa al corpo che ha una presenza forte verso i materiali. “Vérification version 1” (1985-1987) mette insieme l’idea del corpo, del passaggio dalla terra al cielo, dell’ascensione, della ferita o delle stimmate come collegamento con il divino attraverso materiali come il ferro o il vetro, che diventano simboli di cambiamento. Le lastre di rame, ottone e ferro recano le tracce dei corpi dei santi, delle lacerazioni, della sofferenza, dell’offerta del proprio corpo come dono per l’umanità.

“La Prière des pauvres et le corps des Saints” (1989-1990) è un’installazione di nove vetrine contenenti i simboli e i corpi di altrettanti santi. Sono bare di cristallo, trasparenti e rarefatte. Con la chiarezza ed icasticità che le sono state proprie, Gina Pane ha creato un suo piccolo cimitero di eroi morti per la fede, ha racchiuso nelle teche tutto il suo amore per gli uomini e vi ha riflesso la sua visione dell’arte e della propria vita.

I simboli sono a disposizione di tutti, il pubblico gira attorno alle teche-bare come se si recasse in un camposanto ideale. La misura di questa meditazione sta tutta nella capacità dell’artista di dare emozioni in silenzio, limitando il pathos a pochi elementi, a evocazioni che non stringono la gola ma parlano al cuore e alla mente.

Gina Pane, artista scandalosa?

Produssero “scandalo” le sue Actions come “Death Control” (1974), “Psychè” (1974) o la già citata “Azione sentimentale” (1973). La scelta di usare il suo corpo come mezzo d’espressione non fu compresa da tutti. Erano gli Anni Settanta e vedere un’artista infliggersi ferite con una lama di rasoio era un gesto forte, simbolico, che si prestava a numerosi fraintendimenti. Eppure, non c’era alcuna componente autolesionista in quello che faceva Gina Pane. Non era mai violenta neanche durante le azioni cruente, non voleva soffrire e sapeva fermarsi al momento in cui sentiva che ci sarebbe stata una reazione da parte del pubblico.

Sotto quest’ambito, ci sono stati tanti errori da parte dei giornalisti e lei ne ha sofferto molto. Questi ultimi guardavano solo l’aspetto spettacolare del suo lavoro, non occupandosi affatto della poesia e dell’amore che trasmetteva attraverso le sue azioni.

Gina Pane ha offerto completamente il suo corpo e così, senza alcuna allusione alla morte, il sangue era il suo dono.

Giordano Perchiazzi per Questione Civile

Tutte le immagini appartengono ai legittimi proprietari.

+ posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *