Teutoburgo: dalla storiografia a Netflix

Teutoburgo: il confronto tra storia e serie TV

Nelle cronache storiografiche sull’Antica Roma, la sconfitta romana a Teutoburgo del 9 d.C. è un tema ricorrente. Essa viene vista da molti storici e appassionati di Storia Romana come “la fine della Roma che il mondo conosceva” o addirittura come una diretta causa del crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Nella serie tv “Barbari” essa viene rappresentata come una vittoria eroica delle popolazioni germaniche contro i tiranni Romani. Ma fu davvero così? Teutoburgo ebbe davvero questo grande peso sulla storia di Roma? Cerchiamo di fare chiarezza.

“Barbari”: cos’è e come tratta Teutoburgo

Verso la fine del 2020 è uscita su Netflix la serie televisiva Barbari” (“Barbarians” nel catalogo internazionale). Di produzione tedesca, essa si pone l’obiettivo di porre all’attenzione degli spettatori le vicende che precedettero la battaglia della foresta di Teutoburgo. Focalizzando la sceneggiatura sulla figura di Arminio (che da romano d’adozione diverrà il traditore di Roma), la serie ci parla di come si arrivò all’imboscata.

Errori e reinterpretazioni della serie

Tuttavia, alcune vicende narrate nella serie sono frutto di una decisamente fantasiosa reinterpretazione, volta a celebrare una vittoria (per di più, una delle pochissime) germanica ai danni dell’Impero Romano. Per fare un esempio concreto, parliamo di due episodi. Il primo, il furto di un’Aquila (il vessillo sacro di Roma) ad opera di un membro della tribù dei Cheruschi. L’uomo riesce ad entrare in un accampamento romano, rubare l’Aquila ed uscire senza che nessuno se ne accorga. Come ho scritto nel mio articolo d’esordio (clicca qui), il perimetro del castrum era perennemente sorvegliato da legionari che vegliavano sui dintorni. Non appena vi era un minimo movimento in lontananza al di fuori dell’accampamento, la pattuglia era tenuta ad avvertire prontamente l’intero complesso, pena la lapidazione.

Ne consegue, quindi, che risulti molto difficile (se non impossibile) credere che un barbaro qualunque riesca ad entrare e uscire da un castrum rubando un vessillo sacro senza che nessuno lo veda. Per di più, l’Aquila fu rubata prima di quanto mostrato nella serie, più precisamente quando i Germani sfondarono il confine settentrionale causando la reazione romana. Il secondo episodio riguarda proprio quest’ultimo evento. Le operazioni di Druso e Tiberio in Germania non furono invasioni o attacchi, ma semplici reazioni difensive e pacificatrici causate dallo sfondamento germanico sul limes settentrionale. Con questo articolo tenterò quindi di spiegare cosa sia davvero successo nella foresta di Teutoburgo, e quale sia stato realmente il peso specifico di questa sconfitta romana sulla storia dell’Impero.

Teutoburgo: antefatto dell’imboscata

La campagna militare di Tiberio, figlio adottivo dell’Imperatore Ottaviano Augusto, procedeva nel migliore dei modi possibili. La Germania Settentrionale era stata sottomessa tra il 4 ed il 5 d.C., ed i territori fra Reno e Elba erano visti dai Romani come una vera e propria provincia. Augusto decise quindi di iniziare ad introdurre le leggi e le istituzioni romane in quelle terre. Per portare avanti l’operazione, l’Imperatore richiamò a Roma il governatore della Siria, Publio Quintilio Varo.

Quest’ultimo era un abile burocrate, mentre non godeva di particolare fama sul campo di battaglia. Inebriatosi dell’onere appena ricevuto, Varo arrivò in Germania e si comportò in un modo che ai Germani non andò giù fin da subito: egli, infatti, trattava i Germani come sudditi sottomessi e non come provinciali (intesi come abitanti delle province). In poco tempo, il rancore e l’odio verso Varo divennero i sentimenti predominanti nelle popolazioni locali. Ci volle poco, dunque, ad accendere la miccia della ribellione germanica, nella quale Arminio avrebbe avuto un ruolo chiave.

Arminio, chi era costui?

Arminio, al secolo Gaius Iulius Arminius (Hermann in tedesco), era il figlio di Segimero, capo dei Cheruschi. Fu mandato a Roma come ostaggio in qualità di “garanzia” che i Cheruschi non avrebbero più causato problemi a Roma. Nel corso degli anni seguenti, Arminio studiò e crebbe come un vero romano, fino ad arrivare a ricoprire cariche rilevanti nelle gerarchie imperiali. Combattè sotto Tiberio in Pannonia (l’odierna Ungheria), soffocando la rivolta dalmato-pannonica alla guida dei reparti di cavalleria ausiliaria cherusca.

Tra il 7 e l’8 d.C. ottenne la cittadinanza romana. Una volta divenuto cittadino romano a tutti gli effetti, venne inviato in Germania per servire sotto Publio Quintilio Varo. Giunto sul posto nel 9 d.C. , Arminio iniziò a riunire sotto la sua guida le popolazioni germaniche per impedire le prosecuzioni delle operazioni romane, sfruttando il diffuso malcontento e approfittando del pretesto della resistenza contro quello che i Germani vedevano come un invasore. Una volta riuniti sotto di sé Cherusci, Marsi, Catti e Bructeri, il tradimento era pronto ad essere perpetrato.

L’imboscata: Roma viene tradita

Varo commise un grave errore. Dovendo recarsi in un punto specifico del territorio dei Cheruschi, chiese informazioni a cittadini germanici su quale fosse la miglior strada da percorrere. Questi cittadini, tuttavia, erano stati coinvolti da Arminio nella ribellione. Infatti essi indirizzarono Varo e le sue tre legioni in uno specifico territorio, ovvero la foresta di Teutoburgo, nei pressi della collina di Kalkriese (20 chilometri a nord-est di Osnabruck, Bassa Sassonia). In quel luogo, il tradimento sarebbe stato messo in atto tra l’8 e l’ 11 Settembre del 9 d.C..

Approfittando dell’errore tattico di Varo, che fece marciare le legioni in fila doppia anziché in assetto da combattimento, e traendo vantaggio dalla conoscenza del territorio che ai Romani mancava, Arminio guidò il reparto di cavalleria ausiliaria (composta da guerrieri di tutte le tribù germaniche) nella foresta, fingendo di supportare ancora l’esercito di Varo. Ma così non fu.

Il principe cherusco, infatti, tradì Roma. Rivolgendo le armi contro coloro che un tempo chiamava fratelli, diede inizio all’imboscata. I legionari romani, colti impreparati, furono massacrati. Videro germanici sbucare da ogni lato, vennero bersagliati da lance e frecce, e subirono ingenti perdite nel corpo a corpo. Alla fine della battaglia, 15.000 legionari giacevano inermi nella foresta. I superstiti più fortunati furono catturati e imprigionati. Gli altri, invece, subirono torture indicibili prima di essere uccisi.

Roma sconfitta: Teutoburgo fu davvero così importante?

Questa sconfitta fu recepita a Roma non tanto come la fine della grandezza, ma come il più grande fallimento avvenuto sotto il regno di Ottaviano Augusto. Secondo la tradizione romana, il primo Imperatore di Roma impazzì una volta saputa la notizia; sembra che si svegliasse durante la notte picchiando le mani contro le mura della sua villa gridando “VARO! RENDIMI LE MIE LEGIONI!”. Augusto morirà 5 anni più tardi nel 14 d.C., senza mai perdonare a sé stesso questo fallimento.

La storiografia europea, soprattutto quella germanica, tratta la battaglia di Teutoburgo come una sconfitta dal peso politico e storico inarrivabile. Questo evento viene visto da molti come la fine della grandezza di Roma, come il primo passo della rovina. La disfatta di Teutoburgo, per quanto grave sia stata, non rappresentò niente di tutto ciò.

Germanico, Idistaviso e Vallo degli Angrivari: la vendetta di Roma

Nel 14 d.C. Tiberio, dopo essere salito al potere, affidò a suo figlio adottivo Giulio Cesare Germanico (quest’ultimo nome gli venne dato a causa dei successi di suo padre in Germania) il compito di vendicare Roma.

Dopo due anni di campagna militare in Germania, Germanico arrivò allo scontro finale contro Arminio, il traditore di Roma. La prima, pesante vittoria di Roma avvenne nella piana di Idistaviso. La seconda e decisiva vittoria avvenne poco lontano, di fronte al Vallo degli Angrivari.

L’onore di Roma fu vendicato, e l’Aquila sottratta fu riportata a Roma. Tuttavia, Arminio sopravvisse. Deciso a schiacciare il traditore, Germanico riorganizzò le forze, ma non fece in tempo ad attaccare nuovamente. Fu infatti richiamato a Roma da Tiberio, che decise di rinunciare a nuovi e dispendiosi piani di conquista nei territori dei Germani stabilendo sul Reno il confine tra l’Impero ed i Germani. Con questa decisione, Tiberio portò a termine le volontà di suo padre Augusto, che voleva pacificare Roma dopo un trentennio di guerre civili. Arminio sopravvisse altri 3 anni, prima di essere ucciso dai suoi stessi sudditi cheruschi (che temevano le sue mire di potere) nel 19 d.C.

Da Tiberio fino a Romolo Augustolo, l’Impero Romano avrebbe prosperato per altri 4 secoli, crollando solo nel 476 d.C.

“Barbari” contro la Storia Romana: quando il falso dà spettacolo

Come ho dimostrato, la sconfitta di Teutoburgo non ebbe il grande peso specifico che molti credono abbia avuto. Roma riscattò il suo onore dopo soli 7 anni, rinunciando ad un territorio inospitale per una scelta del suo Imperatore, che decise di non sostenere più spese ingenti (in termini economici e di vite umane) per civilizzare una popolazione che non aveva nessuna intenzione di uniformarsi alle leggi romane. La stessa storiografia romana si prodigò nell’evidenziare l’impresa di Tiberio e nel mostrare quanto ponderata fosse stata la scelta di Tiberio. Ne consegue, dunque, che la glorificazione della vicenda messa in atto dalla serie Netflix sia eccessiva e fuori luogo.

Conclusione

Che senso ha, dunque, produrre una serie tv che glorifichi una vittoria (una delle poche, come detto poche righe sopra) che fu subito vendicata e che non ebbe il grande peso che la tradizione storiografica tedesca vuole farci credere? Perché continuare ad alimentare il falso mito di Teutoburgo come fine di quella che era Roma prima di allora? In un periodo storico come quello attuale, in cui le fake news diventano sempre più difficili da isolare e controllare, sarebbe meglio dare spazio ad opere che riportino i fatti storici contestualizzandoli con più precisione, mostrandone i relativi antefatti e le conseguenze, mostrandone il volto completo, non solo il volto che “piace” a chi guarda. Verità, non comodità.

Francesco Ummarino per Questione Civile

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