La falange oplitica greca

La falange oplitica greca: la macchina da guerra dell’Antica Grecia

Oggi parliamo della falange oplitica, la macchina da guerra dell’Antica Grecia. Nel primo articolo dell’archivio di Storia Antica (che trovate qui), abbiamo parlato delle legioni romane e di come queste “macchine da guerra” abbiano contribuito alla nascita e all’espansione di Roma, portandola da Repubblica ad Impero. Tuttavia, Roma non fu la prima ad avere un esercito ben organizzato. Scopriamo insieme di cosa si tratta, e chiudiamo il cerchio sulle potenze militari dell’età antica.

La falange oplitica: le origini

La formazione militare della falange oplitica trae le sue origini da molto lontano. Ci troviamo in Mesopotamia, precisamente a Lagash, città sumera fondata (presumibilmente nel 3500 a.C., ma sulle civiltà mesopotamiche non si hanno quasi mai informazioni certe) sulla giunzione nord-occidentale tra i fiumi Tigri ed Eufrate ed il confine orientale della città di Uruk. Durante gli scavi archeologici del 1877, emerse dalle sabbie del tempo la Stele degli Avvoltoi, una stele sumera in cui si possono notare incisioni raffiguranti soldati di fanteria armati con lance, elmi e grandi scudi.

Vi sono alcune testimonianze archeologiche secondo le quali anche la fanteria egizia avrebbe utilizzato la tattica della falange, ma gli storici non riuscirono a trovare una versione univoca che dimostrasse quanto detto poc’anzi.

La falange oplitica: la potenza militare dell’Antica Grecia tra Argo, Atene e Sparta

Il termine “falange oplitica” trae origine dal termine greco ὅπλον (si pronuncia “òplon”), ovvero lo scudo tondo del soldato di fanteria pesante, l’oplita. Molti storici ritengono che le prime tracce storiche della falange oplitica greca risalgano all’VIII secolo a.C. Tuttavia, l’ipotesi più accreditata risulta essere quella basata sulle fonti storiografiche, in particolare quelle basate sugli scritti di Tirteo, che farebbero risalire la falange oplitica al VII secolo a.C.

Poeta spartano, Tirteo riportò l’utilizzo, da parte delle potenze greche, della falange a discapito dell’esaltazione delle gesta eroiche. Sempre secondo l’autore, l’innovazione della falange oplitica sarebbe nata ad Argo, città dell’Argolide (regione situata nella parte nord-orientale della penisola del Peloponneso). Il governo della città avrebbe dunque fornito un ἀσπίς (“aspis”), ovvero uno scudo tondo definito, come detto sopra, ὅπλον (“oplon”). Fin dall’età infantile, i soldati venivano addestrati per il combattimento e per la marcia in formazione allineata. Combattendo affiancati, gli opliti creavano una schiera impenetrabile di lance ed un grande muro di scudi, che difendevano le parti più vulnerabili dei corpi degli opliti.

Gli opliti avevano un equipaggiamento ben preciso: lance, spade corte, elmi, armature (che all’inizio erano di lino, poi divennero di bronzo pressato) e schinieri. L’equipaggiamento dell’oplita era chiamato “panoplia”, che letteralmente significa “tutte le cose dell’oplita”. La falange oplitica marciava e si spostava sempre verso destra, in modo tale che ogni oplita poteva coprire il fianco sinistro del compagno con il proprio scudo. Tuttavia, con questa tattica, il fianco sinistro dello schieramento era perennemente scoperto, esponendo l’esercito all’aggiramento nemico. Anche per questo motivo, i soldati migliori avevano il posto d’onore sul fianco destro della formazione oplitica.

La falange oplitica: lo schieramento

Prima di ogni battaglia, gli opliti partecipavano a riti religiosi insieme ai re o agli strateghi; mangiavano insieme seguendo una dieta rigida. Avvicinandosi al campo di battaglia, gli opliti intonavano dei “peana” (canti sacri) e si caricavano a vicenda con gli squilli di tromba. Le battaglie tra falangi erano per lo più scontri di attrito e pressione. Si combatteva come un solo uomo, tutti uniti contro l’avversario. La falange doveva restare unita il più possibile; se si fosse disunita, sarebbe diventata facilmente preda degli hippikon (cavalleria), dei toxotes (arcieri) e dei peltasti (fanteria leggera armata di giavellotto originaria della Tracia). Le più grandi perdite di vite avvenivano nel momento in cui la falange andava in rotta; ne consegue che l’unità dello schieramento avesse una grandissima importanza.

La falange oplitica subì alcune modifiche nella composizione, soprattutto a Sparta e Tebe. Sparta è un caso a parte, perché lì la falange oplitica subì modifiche specifiche, con armi, ruoli e formazioni i cui nomi appartengono ad un gergo specifico della storia militare. Tutto questo sarebbe di difficile decodificazione per coloro che non appartengono al settore. Ad Atene, a Tebe e in Macedonia, invece, le modifiche subite dalla falange furono importanti per il significato che la falange stessa andò ad acquisire per la storia greca. I paragrafi seguenti saranno dunque incentrati su queste modifiche. La falange oplitica era sempre stata il fiore all’occhiello degli eserciti greci. La compattezza di questo corpo d’armata, tuttavia, venne messa in dubbio nel momento in cui ad Atene capirono che, per aggirare la falange nemica, bisognava attaccare dal fianco sinistro con fanteria leggera e cavalleria.

La falange oplitica: la riforma di Ificrate

L’ateniese Ificrate, stratego militare eroe della guerra di Corinto (393 a.C.), fu il fautore di questa nuova corrente di “pensiero militare”, una corrente che portò alla consapevolezza che la falange oplitica non era più imbattibile. Sfruttando dunque il corpo d’armata dei peltasti, Ificrate capì, durante la Guerra di Corinto, che era necessario bersagliare gli opliti da lontano con i giavellotti. Così facendo si evitava lo scontro ravvicinato, in cui gli opliti erano pressochè imbattibili. Questa non fu l’unica mossa operata da Ificrate. Egli infatti diede l’ordine di allungare le lance fino ad una lunghezza di 3,6 metri e fece rifornire gli opliti di spade corte ed elmi traci (che fornivano maggiore visibilità al soldato). Poco dopo, vennero aggiunti gli scudi ovali (“thureos”), molto più maneggevoli degli scudi tondi.

Con queste riforme, Ificrate portò al trionfo Atene contro Persiani, Illiri, Traci e (inizialmente) Romani.

La falange tebana: “Il Battaglione Sacro”

Epaminonda, stratego tebano, riprese le riforme di Ificrate, migliorandole. Fece allungare ulteriormente le lance (da 3,6 a 3,8 m) e rese più numeroso il fianco sinistro della falange, in modo tale da avere soldati pronti ad attaccare in massa gli assalitori. Epaminonda fece anche migliorare le armature, passando alla Linothorax, ovvero un’armatura di parecchi strati di lino sovrapposti. La cosa più innovativa fu il passaggio dallo schieramento oplitico classico allo schieramento a falange obliqua, per dare all’esercito maggior spinta sulla sinistra per poter rompere velocemente i ranghi nemici. Nacque, dunque, il “Battaglione Sacro Tebano” che ancora oggi viene studiato ed ammirato come uno degli eserciti più forti ed innovativi dell’epoca.

Il definitivo trionfo della falange obliqua tebana contro Sparta e la Grecia sarebbe arrivato nel 371 a.C. nella battaglia di Leutra, nella quale Tebe travolse Sparta.

Passiamo ora all’ultimo tipo di falange, probabilmente il più famoso.

La falange oplitica macedone

La falange tebana fu perfezionata da Filippo II di Macedonia. I soldati di fanteria (ora chiamata pezeteri) passarono a 16.348 unità, ognuno armato di sarissa (lancia della lunghezza di 3 metri, talvolta anche 4). Durante la marcia e durante la fase di attacco, le fila erano distanti 1 m, in fase difensiva erano distanti 0,5 m. Durante la fase di attacco, le prime file di opliti abbassavano le sarisse, mentre le file posteriori le tenevano alzate, creando una vera e propria foresta di lance che rendeva pressoché impenetrabile lo schieramento. La sarissa, essendo molto lunga, andava impugnata con entrambe le mani. Per questo, ogni soldato veniva dotato di un piccolo scudo (detto “pelta”) da legare all’avambraccio destro, con cui copriva metà del proprio corpo e metà del lato sinistro del corpo del compagno alla sua destra.

L’innovazione della falange macedone: gli Ipapisti

Ogni soldato, dunque, faceva grandissimo affidamento sulla difesa da parte del compagno, e l’ordine diventava un elemento ancor più imprescindibile per la vittoria. Tuttavia, la lunghezza delle sarisse e la presenza dello scudo legato all’avambraccio destro dei soldati rallentava considerevolmente gli spostamenti della falange verso destra e rendeva ancor più vulnerabile il fianco sinistro dello schieramento. Per arginare il problema, Alessandro Magno (una volta diventato Re) arruolò gli “Ipapisti”, truppe d’èlite scelte e posizionate alla sinistra dello schieramento. Così facendo, gli Ipapisti assottigliavano le file nemiche, tenendo lontani i pericoli dalla falange.

Il colpo di genio di Alessandro fu l’utilizzo della falange come se fosse una “incudine” su cui attirare il nemico. Una volta attirato il nemico sull’incudine macedone, quest’ultimo veniva schiacciato sull’incudine dal “martello macedone”, ovvero la Cavalleria Pesante degli Eteri (o Compagni Nobili) che caricava la fanteria nemica alle spalle. La tattica macedone, dunque, consisteva nell’attirare il nemico in una morsa mortale, con la falange macedone da una parte e gli Eteri dall’altra. Una morsa che avrebbe sbaragliato l’Impero Persiano di lì a poco sotto la luce di Alessandro Il Grande.

Conclusione

La falange, che fosse ateniese, spartana, tebana o macedone, fu la macchina da guerra con cui l’Antica Grecia diventò una della più grandi civiltà mai esistite. La falange continuò ad essere impiegata fino all’età dei Diadochi, meglio conosciuta come età delle Guerre Macedoniche (214-146 a.C.), che si conclusero con la caduta di Corinto nel 146 a.C. La Lega Achea, capeggiata da Corinto, tentò di fermare l’avanzata della Repubblica Romana nel Mediterraneo. Dopo un’onorevole resistenza, la Grecia cadde sotto i colpi di Roma.

E la Storia cambiò per sempre il suo corso.

Francesco Ummarino per Questione Civile

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