Archeologia, un lavoro ma, soprattutto, una passione che affascina tutti, dai più piccoli ai più grandi. L’archeologo, un mestiere che tutti vorrebbero fare.
“Che bello, anche io ho sempre voluto studiare archeologia!”. Questa è una delle frasi più ricorrenti che ho sentito ripetere nel corso dei miei studi universitari. Sostanzialmente, un sogno proibito al pari dell’astronauta.
Perché tutti desiderano intraprendere questa strada? E cosa fa davvero l’archeologo?
Iniziamo il nostro lungo viaggio attraverso i secoli, alla scoperta di uomini e popoli, dalla figura più importante di tutte.
Archeologia: come tutto ha inizio
I principali colpevoli che spingono giovani studenti e studentesse a iniziare il loro percorso nel mondo dell’archeologia sono Lara Croft e Indiana Jones, due archeologi avventurieri, conosciuti da tutti noi, che sfidano la morte e nemici temibili alla ricerca di civiltà perdute o cimeli di inestimabile valore. Sostanzialmente, azione allo stato puro.
Anche il fascino dell’Egitto è riuscito a trasportare molti ragazzi verso l’amore per la materia. Molti cominciano la facoltà universitaria con l’idea di fare l’egittologo (me compreso, badate bene) salvo, poi, abbandonare la strada. Chi non è mai stato affascinato dalle piramidi, dalla sfinge o dalle mummie (il film “La Mummia”ha contribuito non poco)?
La realtà è ben diversa. Nessun nazista da ammazzare, nessun Santo Graal da ritrovare o Imothep a cui sfuggire.
Archeologia: la nascita di una nuova disciplina
Raccontare le vicissitudini che hanno portato alla nascita dell’archeologia non è semplice. Si tratta di una disciplina piuttosto recente e di un mestiere, quello dell’archeologo, che ancora non viene riconosciuto con la creazione di un albo.
Le prime notizie di scavi e ritrovamenti antichi risalgono al Medioevo. Ma è durante l’Umanesimo, tra XV e XVI secolo, che emerge il desiderio di conoscere il passato. Non si parla ancora propriamente di archeologia ma di Antiquaria, che classifica oggetti antichi con sistematicità.
La ricerca sul passato viene fortemente condizionata, alla fine del XVII secolo, dalle metodologie della scienza geologica, tanto che due secoli più tardi, con la nascita della Paleontologia, cioè lo studio della Preistoria, la ricerca comincerà a basarsi sullo scavo stratigrafico (per livelli) grazie agli anglosassoni, diffondendosi poi in tutta Europa.
Tuttavia, a quest’epoca le indagini archeologiche nel campo delle antichità classiche sono ancora vincolate a un’idea di scavo basato su una concezione romantica, dove l’importante è solo portare alla luce oggetti d’antichità, senza interessarsi dei rapporti tra le varie fasi che si sono susseguite nei secoli.
Si dovrà attendere la seconda metà del secolo per revisionarne il metodo di studio.
Alla base della indagine archeologica nascerà il concetto di stratificazione, cioè la successione di strati di formazione antropica e naturale che si sono alternati con il passare del tempo.
L’indagine archeologica
Un’indagine archeologica è un progetto multidisciplinare in cui interagiscono e partecipano specialisti di diverse discipline: botanici, geologi, archeozoologi, antropologi, restauratori.
Ciò è necessario per poter arrivare a una ricostruzione storica del nostro passato completa e attendibile attraverso il recupero e l’interpretazione delle tracce lasciate dall’uomo nel corso del tempo.
Le unità stratigrafiche
Lo scavo è un’operazione scientifica programmata che si avvale del metodo stratigrafico, che prevede l’individuazione, l’asportazione e la documentazione della stratificazione individuata. Gli archeologi dividono le singole azioni (antropiche o meno) in entità con proprie caratteristiche, chiamate unità stratigrafiche. Alcuni esempi possono essere la costruzione di un muro o la sua demolizione, per lasciare spazio ad un altro tipo di manufatto in un’epoca successiva.
Compito dell’archeologo, una volta individuata ogni unità, sarà quello di ricostruire la sequenza delle azioni che hanno formato la stratigrafia, studiando e interpretando i rapporti consequenziali e cronologici tra gli strati.
Una volta capiti i rapporti, procederà rimuovendo gli strati in ordine inverso rispetto alla sua deposizione, dallo strato più recente al più antico.
Gli strumenti del mestiere
L’inizio delle attività, dopo anni di ricerca e campagne di ricognizione, inizia con il quotare sul livello del mare determinati punti di riferimento dell’area, in modo da localizzare in modo preciso nello spazio anche tutte le altre unità e ciò che viene rinvenuto durante lo scavo. Poi arriva il lavoro più duro e gratificante.
A seconda del contesto e delle fasi, bisogna saper padroneggiare pala e piccone, utili “armi” per liberarsi degli strati di terra duri e compatti. Fondamentale è lo strumento simbolo dell’archeologo: la trowel, il più delle volte paragonata alla cazzuola, che ha forma e dimensioni specifiche per archeologi.
Si utilizzano invece bisturi, spatole e pennelli per i lavori di precisione e più delicati, come la messa in luce di resti umani, per oggetti minuti o in pessime condizioni di conservazione. In alcuni contesti può essere necessario flottare ad acqua o setacciare il terreno per recuperare resti non facilmente individuabili con le altre metodologie di scavo.
Durante le operazioni, rigorosa deve essere la raccolta dei dati mediante documentazione scritta e fotografica dei contesti. Si passa dalla compilazione di schede di unità stratigrafica, ai rilievi topografici manuali (con pesi, fettucce e bolle) o tramite stazione totale (uno strumento per il rilevamento topografico indiretto), alle fotografie di dettaglio e generali realizzate nelle diverse fasi, con l’uso imprescindibile di lavagnetta, riferimento metrico e geografico.
La tecnologia
Con gli anni, la tecnologia ha fatto passi da gigante. Adesso l’archeologo può avvalersi di nuovi sistemi di archiviazione dati, grazie alle piattaforme GIS (Geographic Information System), o può ricostruire intere città grazie al 3D. Si possono poi sfruttare strumenti digitali come la fotogrammetria, laser scanner, droni, lidar per avere dati raccolti con sempre maggior precisione a una velocità sempre più alta.
Le informazioni ottenute durante la campagna di scavo saranno poi studiate ed elaborate, così come ogni materiale raccolto, fino alla pubblicazione su riviste di settore o su monografie dedicate.
Ciò permetterà all’archeologo di raccontare la storia che si nasconde sotto cumuli di terra e cemento, che tipo di zona fosse (amministrativa, sacra, ecc.) e quali edifici la potessero caratterizzare; saprà dirci chi la frequentava e che stile di vita avesse, grazie ai resti di materiali di uso quotidiano, come piatti, anfore, coppe, resti di cibo o di animali.
E proprio con l’uso della tecnologia sembrerà tutto un po’ meno lontano.
Le sorveglianze archeologiche
L’archeologo non è presente solo su scavi nati da vere e proprie campagne di studio e ricerca.
Infatti, tra le mansioni che più lo contraddistinguono c’è la sorveglianza archeologica. Di cosa parlo?
Esiste una normativa vigente che prevede che ogni lavoro pubblico o privato, che comporti uno scavo o un “movimento terra”, avvenga attraverso la sorveglianza da parte di archeologi qualificati che dovranno sovrintendere tutte le operazioni, documentando tutto con foto, rilievi e testimonianza scritta delle giornate di lavoro.
Tali operazioni sono obbligatorie sia in caso di rinvenimenti archeologici sia nel caso contrario.
I dati raccolti ed elaborati vanno a definire il grado di interesse archeologico dell’area in oggetto d’intervento.
Conclusioni
Non bastano interi libri per poter dire quanto sia incalcolabile il patrimonio culturale che gli archeologi ci hanno permesso di apprezzare e godere, del sapere che hanno trasmesso e delle straordinarie finestre che sono stati in grado di aprire su un piccolo, ma significativo scorcio di ciò che fu.
È un lavoro bellissimo, che permette di viaggiare attraverso innumerevoli mondi e di conoscere persone e luoghi stupendi, di far rivivere qualcosa di cui si era perso traccia.
L’archeologo non sarà il prototipo di Indiana Jones o Lara Croft, ma in fondo non vive un’avventura strepitosa ogni volta?
Francesco Frosini per Questione Civile