Il motore immobile: la fonte del divenire per Aristotele

il motore immobile

Il motore immobile di Aristotele: all’origine di ogni movimento

Il motore immobile è uno degli argomenti più rilevanti della Fisica e della Metafisica aristotelica e risponde ad una fondamentale domanda del filosofo. Cosa c’è all’origine del divenire?

Tutto quanto ci circonda, infatti, è soggetto ad un costante mutamento, ad una continua trasformazione. Noi stessi lo siamo. Ma esiste una causa prima, una fonte in grado di imprimere e perpetuare ogni movimento nel cosmo?

Aristotele e la scienza dell’essere

Aristotele nasce a Stagira, una piccola cittadina di confine con la Macedonia, nel 384/383 a.C. Diviene discente del filosofo ateniese Platone ed entra a far parte della sua accademia alla giovane età di 16 anni.

Sebbene nel pensiero aristotelico si possano rilevare alcune influenze della filosofia del maestro, Aristotele arriva poi a distaccarsene nettamente, muovendo, anzi, diverse critiche al platonismo. I due sistemi di pensiero, in effetti, originano da scopi ed esigenze differenti.

Platone costruisce il proprio pensiero a partire dagli insegnamenti di Socrate, il quale si occupava solamente di questioni morali. Per questo motivo, l’indagine platonica non si interessa tanto alla risoluzione di problemi teorici, quanto alla discussione di argomenti etico-politici.

Anche Platone, a dire il vero, spinge la propria ricerca filosofica a sondare principi che siano all’origine della realtà. Tuttavia, lo fa più per un’esigenza funzionale che per un vero e proprio interesse scientifico. Le idee, e cioè i principi primi soprasensibili da cui, secondo il filosofo, deriva ogni ente sensibile, sono pregni di valori morali positivi. A dimostrazione di ciò è la somma idea, quella del Bene, a cui fanno riferimento tutte le altre.

Aristotele, d’altro canto, fonda il proprio sistema filosofico su di un desiderio di conoscenza fine a sé stesso. “Tutti gli uomini per natura aspirano al conoscere” scrive, infatti, nel libro I della Metafisica.

Il sistema filosofico aristotelico, dunque, nasce da un’indagine disinteressata, che mira alla definizione e alla classificazione di quanto esiste e ci circonda. Aristotele si concentra su ciò di cui possiamo fare diretta esperienza, sul mondo in cui siamo immersi, soggetto al divenire.

Non vi è, quindi, per Aristotele, né una necessità né un’utilità nel teorizzare un piano del reale situato al di là del nostro.

Aristotele e il divenire

Il metodo di ricerca aristotelico, dunque, non prende le mosse da deduzioni che postulino come la natura della realtà dovrebbe teoricamente essere. Al contrario, Aristotele dà inizio alla propria indagine a partire da ciò che è evidente all’esperienza.

La prima evidenza è che nulla è immoto e sempre uguale a sé stesso. Tutto il mondo si muove, ogni cosa cambia e si trasforma: è il divenire. Ed è proprio dal divenire che Aristotele comincia la propria ricerca filosofica. Che cosa causa il movimento?

Per Aristotele questa indagine è di fondamentale importanza, perché la ricerca dei principi del mutamento costituisce per il filosofo la ricerca dei principi dell’essere in generale. Secondo Aristotele, infatti, è possibile spiegare qualcosa solo nel momento in cui si rintracciano le cause per cui quella cosa è diventata precisamente come ci appare.

Il divenire secondo Aristotele: potenza e atto

È nel libro I della Fisica che Aristotele affronta la questione delle cause all’origine del movimento. Qui Aristotele osserva che il mutamento di qualcosa consiste nel suo passaggio da un contrario all’altro. Se, per esempio, Platone è filosofo, deve essere avvenuto un passaggio da Platone non filosofo a Platone filosofo.

Lo stato precedente al mutamento, quello in cui Platone non è ancora filosofo, è chiamato da Aristotele di “privazione”. Lo stato finale, invece, cioè quello in cui Platone è diventato filosofo, è detto “forma”.

Un soggetto, però, deve avere in sé già una predisposizione ad assumere una particolare forma. Infatti, non tutti i cambiamenti sono possibili. Platone, per esempio, non potrà mai diventare un albero; tuttavia, prima di diventare filosofo, aveva già in sé una predisposizione a diventarlo.

Aristotele chiama lo stato inziale, quello in cui il soggetto è ancora privo di una specifica forma, pur essendo predisposto ad assumerla, “essere in potenza”. Chiama poi lo stato finale, quello in cui il soggetto arriva ad assumere la forma che aveva in potenza, “essere in atto”.

Il divenire, dunque, secondo Aristotele, è il processo che spinge tutte le cose che in potenza potrebbero avere una certa forma ad assumerla, a metterla in atto.

Da queste considerazioni potrebbe sembrare che l’essere in potenza preceda sempre l’essere in atto. Aristotele, però, afferma l’esatto opposto. L’atto precede sempre la potenza. Per quale motivo?

Il filosofo afferma che qualcosa della forma finale deve già essere presente nel soggetto, anche se questo lo è ancora solo in potenza. Così come un artista ha già in atto, nella propria mente, la forma dell’opera che si accinge a creare.

L’atto puro: il motore immobile

Una volta definito cosa sia il divenire e in che modo si realizzi, Aristotele procede nella sua indagine sulle cause prime del movimento. La conclusione a cui approda è che ogni cosa è mossa, direttamente o indirettamente, da altro, e a sua volta muove.

Si profila così una concatenazione di mobili e motori che però, per il filosofo, non può essere infinita. Se così fosse, infatti, bisognerebbe ammettere che l’intera catena causale è incausata. Da questo, Aristotele riscontra la necessità di individuare un motore primo che però non sia mosso da nient’altro: un motore immobile.

Tale motore immobile deve necessariamente essere sempre in atto, e mai in potenza. Questo perché qualunque cosa si trovi in uno stato di potenza è spinto a mutare, e quindi a muoversi, per poter finalmente raggiungere il suo essere in atto.

Secondo Aristotele il movimento è eterno, non ha cioè mai avuto un’origine e non avrà mai una fine. Per questo motivo definisce il motore immobile anche come atto puro, privo di moto e di potenza. Perché, per il filosofo, è sempre stato e sarà eternamente in atto, dato che ciò che si trova in potenza diviene inevitabilmente soggetto al mutamento.

Per Aristotele poi, il motore immobile è anche una sostanza priva di materia, poiché questa è soggetta a trasformazione e corruzione. Dunque, come può un motore immateriale causare movimento?

Il filosofo risponde che il motore immobile imprime il movimento al cosmo come oggetto di desiderio, di amore. “L’amor che move ‘l sole e l’altre stelle” scriverà Dante secoli dopo nella sua Divina Commedia, ispirandosi al modello teologico offerto dal filosofo, reinterpretato in chiave cristiana.

Tutte le cose, dunque, per Aristotele si trovano in divenire, costantemente proiettate verso il proprio atto, inseguendo il desiderio di irraggiungibile perfezione che il motore immobile sempre infonde in esse.

Immagine tratta da: https://it.wikipedia.org/wiki/Motore_immobile#/media/File:Volta_della_stanza_della_segnatura_06_primo_motore.jpg

Il motore immobile: il principio divino aristotelico

Nel libro XII della Metafisica, Aristotele descrive i caratteri di questa sostanza, che assume i connotati di un vero e proprio principio divino

L’unica attività praticata da un simile principio perfetto e immateriale, dice Aristotele, oltre a quella di farsi amare, può essere solamente quella d’una eterna contemplazione. E quale potrebbe mai essere l’oggetto della contemplazione di Dio? Il pensiero più alto e perfetto che esista: cioè sé stesso. Per questo motivo Aristotele lo definisce anche “Pensiero di Pensiero”.

Il principio divino descritto da Aristotele è per il filosofo essenzialmente indifferente al cosmo, concentrato com’è a pensare a sé stesso. Ciononostante, in epoca medievale, la Fisica e la Metafisica aristoteliche arriveranno a costituire un modello di riferimento cosmologico e teologico fondamentale.

Sono, infatti, diversi i punti di convergenza fra le dottrine aristoteliche e quelle proprie del Cristianesimo e della filosofia scolastica. Lo stesso frate domenicano Tommaso d’Aquino riprenderà Aristotele per la costruzione del proprio pensiero e per l’elaborazione della sua dimostrazione dell’esistenza di Dio.

Gabriele Todaro per Questione Civile

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