A 50 anni dalla morte di Alberto Giacometti, le opere dello scultore raggiungono altissime quotazioni nelle case d’asta: nel corso del tempo si scopriranno essere falsi d’autore
A 50 anni dalla morte di Alberto Giacometti, le opere dello scultore raggiungono altissime quotazioni nelle case d’asta (125 milioni). E mentre le opere vengono battute nelle più illustri case d’aste, nel 2009, in Germania, scoppia uno scandalo che rivela l’esistenza di un migliaio di copie di sue opere contraffatte nascoste in un magazzino di Magonza.
Falsari in azione: la diffusione dei falsi
Il caso dei falsi Giacometti inizia nei primi anni 2000, in Germania con la vendita di diverse sculture sospette in Stoccarda. Piano piano in tutta Europa compaiono altre copie tra mercanti e collezionisti d’arte.
Dobbiamo considerare che Giacometti realizzò solamente 50 sculture, di conseguenza il centinaio e oltre di opere che circolavano per il mondo destava sospetto; vi era sicuramente un falsario in azione. A poco a poco iniziano nei musei ad apparire copie di Giacometti; quando la Kunsthalle di Mannheim celebra il centenario dalla fondazione esponendo 6 opere inedite, si scopriranno essere tutti dei falsi.
Nella storia della contraffazione, la stessa figura dei falsari si evolve, arrivando ad approcciare loro stessi con i musei. Saranno loro, infatti a contattare una celebre galleria di New York proponendo 50 opere per 300 mila dollari. Un prezzo irrisorio date le quotazioni di una sola scultura di Giacometti.
Chi è Alberto Giacometti?
È il Surrealismo, basando le sue fondamenta su “L’interpretazione dei sogni” di Freud, la chiave di volta delle sue opere. L’estetica di Giacometti sarà sempre circondata da quell’infinta esplorazione dell’inconscio, in ogni sua declinazione., toccando anche sfere più personali dell’intimità, come l’erotismo. Una volta abbandonato il Surrealismo, Giacometti non si assocerà a nessun altro movimento lavorando in modo indipendente fino alla morte, nel 1966.
Le sue opere rappresentano solitamente figure strane, delicate, allungate, e trasmettono spesso un senso di sofferenza e disperazione. Si stima che Giacometti abbia realizzato poco più di cinquecento pezzi unici, anche se neanche la Fondazione Alberto e Annette Giacometti, fondata da sua moglie, ha mai saputo con certezza quante fossero: esistono più bronzi dello stesso progetto e diversi modelli in gesso, oltre a quelle che egli stesso ha distrutto perché non ne era soddisfatto. Non esiste ancora un catalogo che raccolga tutte le sue opere.
Le tecniche dei falsi Giacometti
Realizzare i falsi fu semplice soprattutto dal punto di vista tecnico poiché le figure di Giacometti sono sottili, allungate, leggere e amorfe. Il falsario impiegava in media 40 minuti nella realizzazione delle figure e talvolta, anche in base all’elevata richiesta, creava dei modelli che non esistevano tra le opere originali.
Chi realizzava le copie dei Giacometti?
Robert Driessen è nato in Olanda nel 1959. A 16 anni, dopo aver abbandonato la scuola, iniziò a dipingere per mantenersi. Disegnava ritratti tipici del paesaggio olandese, di solito su tele di piccolo formato. Dopo alcuni anni, iniziò a dipingere anche delle variazioni di opere degli espressionisti, come Macke e Kandinsky.
I primi affari
Furono questi i dipinti, quelli “ispirati” agli espressionisti, i più apprezzati dai rivenditori d’arte: tra di essi ci fu anche Michel van Rijn, ritenuto il contrabbandiere d’arte che riuscì a concludere più affari nel mondo.
Ma iniziò a realizzare le prime sculture solo nel 1987. La prima scultura che copiò da Alberto Giacometti venne realizzata nel 1995, una scultura monumentale di Giacometti, 3m e 50; qualche anno dopo ne ricavò una scultura in bronzo, che venne poi venduta a Herbert Schulte.
L’incontro con Herbert Schulte
Una volta acquistata la scultura monumentale, questo chiese ulteriori sculture, più volte, non chiedendo mai a Driessen se fossero vere o meno. Schulte arrivò a chiedergli 1500 sculture, raccontandogli di un progetto costituito da un’immensa galleria. A partire dal momento in cui ha cominciato a produrre molto, e molto in fretta, la qualità delle copie è notevolmente diminuita tanto che tante copie non vennero vendute nemmeno agli acquirenti più ingenui, rimanendo nel deposito di Magonza. Le copie erano così distanti dalla mano dell’artista che il tribunale si trovò in difficoltà nel sostenere la violazione del diritto di autore.
La mano del falsario e la mano di Alberto Giacometti
Il falsario olandese, infatti, aveva una caratteristica: nella firma metteva il trattino delle due T di Giacometti molto più in alto del nome, cosa che non si riscontra nella firma originale. Questo fu riconosciuto in seguito come modo per imporre la sua firma.
Nel 2006 il falsario non era stato ancora identificato e solo per un caso fortuito si scoprì che abitava vicino ad Arthur Brand che decise di incontrarlo ingannandolo, riuscendo in un incontro a fotografarlo. Successivamente la polizia riuscì ad ottenere un mandato d’arresto internazionale, ma poiché il signor Driessen si trasferì in Thailandia, dove il mandato non era valido, non fu arrestato prima di Natale, quando rientrò in Olanda per passare le feste in famiglia.
Il processo ai falsari di Magonza
Il caso viene affidato a Scholler, commissario capo della polizia criminale, ma si appassionerà alla vicenda anche un investigatore privato ed esperto d’arte, Arthur Brand. Intanto in Germania, tutte le prove portano Scholler a Magonza, a pochi km da Stoccarda. Il commissario incarica una squadra di predisporre intercettazioni telefoniche per una vasta rete di mercanti d’arte. La morsa della polizia si chiude rapidamente su due principali sospettati: Herbert Schulte, un antiquario e il suo complice Lothar Senke, soprannominato il Conte Graf von Wallstein, con il compito di raggirare i collezionisti. Verrà arrestato in un albergo a Francoforte, colto in flagrante con Schulte mentre mostravano a due agenti in borghese le opere in una camera d’albergo.
Il bottino nascosto
Qualche giorno dopo l’arresto dei due falsari, a Magonza, il procuratore di Stoccarda ordina la perquisizione di un magazzino in un quartiere periferico, dietro una porta di ferro che conduce ad un seminterrato. Il commissario Scholler scopre un incredibile bottino: più di mille copie scultoree, tra cui 800 bronzi e 252 gessi. Il processo inizierà un anno dopo, accusati di aver organizzato un traffico di falsi su larga scala, in banda organizzata, smerciando 200 sculture per una somma stimata di 2 milioni di euro. Il conte cercò di far cadere le accuse mostrando ai giudici un libro, scritto da lui, in cui si racconta che il fratello di Alberto, Diego Giacometti, per invidia e gelosia raccolse tutte le opere che il fratello scartava per avere una collezione personale, opere che poi, il conte avrebbe venduto.
Il furor dell’artista
In realtà il fratello Diego è stato un ottimo compagno di vita, dedito a proteggere, il più spesso di quanto si pensi, le opere che Alberto in preda all’insoddisfazione avrebbe distrutto. E proprio per questo carattere le opere non venivano quasi mai registrate o catalogate; spesso una volta finita la scultura decideva di buttarla via. In quel momento non esisteva alcun catalogo e l’unico modo era recuperare i registri di esposizione nelle gallerie pubbliche, ma niente che potesse dare informazioni adeguate sulle opere.
Per questo per i falsari Alberto Giacometti è considerato come una miniera d’oro. In genere le statue di Giacometti appaiono raramente sul mercato dell’arte quindi quando si scoprono centinaia di opere in un colpo solo in magazzino è normale considerarle copie. In tribunale si doveva dimostrare che ogni pezzo fosse un falso, per questo è stato necessario sottoporre ogni pezzo ad una expertise. Il fatto che fossero delle opere false è venuto subito a galla perché Giacometti, come artista, non concludeva mai l’opera, queste venivano sempre rimaneggiate, creando talvolta dei pastis, cioè due opere unite che ne creano una terza. Fu inevitabile intuire che ci fossero due tipi di fusione: europee e asiatiche, ma non francesi.
Il processo a Driessen
Al processo Driessen ammette tutto. Durante l’ udienza i giudici decidono di mettere l’accento sulla questione di frode commerciale più che sulla realizzazione di falsi. Condannando cosi i due mercanti a pene più aspre rispetto al falsario olandese. Schulte, la mente dell’affare viene condannato a 7 anni; Senke considerato il principale rivenditore e firmatario dei certificati falsi, deve scontarne 9. Driessen riceve una condanna di 5 anni, ma ne trascorrerà solo 2 a Stoccarda, prima di essere rilasciato per buona condotta. Questo giro di falsi ha potuto funzionare solo perché i prezzi delle sculture originali di Giacometti sono inarrivabili. Alcuni clienti infatti acquistavano sculture che ufficialmente non erano riconosciute dalla fondazione Giacometti con la speranza di poter dimostrare un giorno che gli acquisti provenissero dal fondo Diego Giacometti. Il mercato dell’arte, compreso quello parallelo, è basato sulla speculazione. Il desiderio di diventare ricchi prevale sulla genuina passione per l’arte.
Una volta scontate le loro pene, Schulte si trasferì in Portogallo, mentre il Conte sembra essere scomparso dalla circolazione. Nessuno dei due ha più contattato Driessen.
Giordano Perchiazzi per Questione Civile