L’epilogo di Re Alessandro: la fine del sogno
Nel quarto articolo di questa rubrica abbiamo visto Alessandro Magno vincere la battaglia di Gaugamela, conquistare la Persia ed entrare a Babilonia. Dopo aver vendicato l’onore di Re Dario III uccidendo i satrapi traditori Ariobarzane, Besso, Barsaente e Ariobarzane, Alessandro potè definitivamente consacrarsi Re di Persia e conquistatore di gran parte del mondo conosciuto in età antica. In questo quinto ed ultimo numero di rubrica, vedremo l’ultima impresa tentata da Alessandro e la fine della sua leggenda. Una leggenda che riecheggia nell’eternità.
Conquistata la Persia e vendicato Re Dario III uccidendo i suoi satrapi traditori, Alessandro Magno si trovò a dover gestire una situazione problematica in Sogdiana (regione che comprendeva l’Uzbekistan meridionale ed il Tagikistan occidentale). Qui, l’ultimo satrapo persiano Spitamene aveva sobillato la rivolta della nobiltà locale contro il Leone di Macedonia, e aveva conquistato le sette fortezze di Alessandro sul fiume Syr Darya. Venuto a sapere della situazione, Alessandro si recò velocemente sul fiume e riconquistò facilmente sei fortezze, facendo prigionieri i soldati sopravvissuti di Spitamene. Solo la fortezza più imponente, Ciropoli, oppose resistenza.
Alessandro Magno: la resistenza di Ciropoli
Ciropoli, come detto poc’anzi, era la fortezza più grande e strategicamente più importante della linea fortificata sul fiume Syr Darya. Per Alessandro, dunque, era fondamentale riconquistarla per poi organizzare le mosse successive. Il Re, dunque, affidò la missione di riconquistare Ciropoli al suo ipapista Cratero. Il generale macedone optò per la via dell’isolamento di Ciropoli, tagliando le vie di rifornimento della fortezza.
Lo schieramento macedone si rese poi conto che vi era un letto di un fiume prosciugato che passava sotto la fortezza. Approfittandone, alcuni soldati di Cratero penetrarono segretamente in città tramite il fiume prosciugato ed aprirono le porte a tutto il contingente comandato da Alessandro.
Re Alessandro a Samarcanda: il contrattacco
Approfittando della situazione e del fatto che il sovrano macedone fosse impegnato nella riconquista delle fortezze sul fiume, Spitamene decise di attaccare le parti dell’Impero Macedone lasciate scoperte dall’assenza del Re. Dunque, Spitamene attaccò la città di Samarcanda (città capoluogo della regione omonima in Uzbekistan). Il giovane Re inviò un contingente al comando di Farnuce, un altro ipapista. La spedizione fu tutt’altro che facile. Farnuce, infatti, si trovò ad affrontare delle armi che in Macedonia non conoscevano: le catapulte.
Gli Sciti, infatti, si schierarono nei pressi di Samarcanda, su una sponda del fiume, in formazione a fila doppia davanti a queste armi, pronti all’assalto una volta che le catapulte avessero portato a termine il loro compito. Tuttavia, sottovalutarono l’abilità dei lancieri macedoni. Infatti, un soldato di Farnuce scagliò una sarissa (ne abbiamo parlato in questo articolo) contro il comandante degli Sciti, uccidendolo sul colpo. Gli Sciti, vedendo il proprio comandante morto, tentarono la ritirata, ma i Macedoni attraversarono prontamente il fiume lanciandosi all’attacco. Convinti dalla superiorità numerica, gli Sciti circondarono i Macedoni.
In quel momento, scattò la trappola ordita da Alessandro e Farnuce: un contingente di fanteria molto più numeroso accerchiò la formazione Scita. Il risultato dello scontro fu il massacro degli Sciti. Dopo poco tempo, Spitamene venne sconfitto e poi tradito dai suoi ufficiali, che offrirono ad Alessandro la sua testa. Con un matrimonio tra la figlia di Spitamene e l’ipapista Seleuco, Alessandro si assicurò la lealtà anche della Sogdiana.
Re Alessandro in difficoltà: la fine di Clito
Conquistato quasi tutto il mondo conosciuto, Alessandro volle tentare di unificare il popolo greco ed il popolo persiano per legittimare ancor di più il suo potere, imponendo a tutti i suoi sudditi il cerimoniale orientale. Uno degli elementi più caratteristici delle cerimonie persiane era l’atto della “proskynesis” ovvero l’atto di inginocchiarsi davanti al sovrano in segno di riverenza alla sua ascendenza divina. Questo atto non venne tollerato dalla parte greca del neo-impero Macedone, tantomeno dai generali di Alessandro come Clito Il Nero.
In preda all’ebrezza durante una cena, Clito rinfacciò al suo Re quanto aveva fatto per lui, mandando Alessandro su tutte le furie. Dopo una colluttazione che sembrava essere stata l’apice di quel momento di tensione, Clito citò dei versi di Euripide che esaltavano il merito dei soldati in guerra a dispetto della vana gloria dei Re. Alessandro, in preda al furore, prese una lancia e trafisse a morte il suo ipapista più fedele. Questo momento, insieme alla “purga alessandrina” del 327 (quando il giovane sovrano fece condannare a morte tutti i paggi rei di aver tramato contro di lui) fu indicatore di un fatto chiaro ed evidente: Alessandro Magno non era più amato come prima.
Re Alessandro Magno alla conquista dell’India
Alessandro decise di imbarcarsi nella spedizione più ambiziosa della storia del genere umano fino ad allora. Non pagò di tutto ciò che aveva ottenuto in pochissimo tempo, non accontentandosi di aver sconfitto e sottomesso l’Impero Persiano, il giovane Re Macedone volle spingersi oltre, arrivando dove nessuno era mai arrivato prima di allora: in India. Alla testa del suo esercito ormai diventato un’armata praticamente infallibile, il Figlio del Sogno arrivò alle porte dell’odierna Kabul nella primavera del 326 a.C.
Pochi mesi dopo, all’inizio dell’estate, Alessandro era nella valle dell’Indo, forte delle alleanze del Re di Taxila (odierna provincia del Punjab in Pakistan) e del Re di Bazira (Frontiera del Nord Ovest del Pakistan, nella valle dello Swat). Dopo una sanguinosissima battaglia, nella quale perse molti soldati, Alessandro sconfisse Re Poro, sovrano della valle dell’Indo. Tuttavia, fu proprio Alessandro a pagare il prezzo più alto. Egli fu costretto a dare l’addio a Bucefalo, che morì durante lo scontro. Alessandro fece seppellire il suo leggendario destriero con gli onori riservati ad un Re, e fondò in suo onore la città di Alessandria Bucefala.
La fine di Re Alessandro: ritorno a casa
Alessandro tentò di arrivare fin nella valle del Gange, ma il suo esercito venne decimato nel corso della spedizione. Anche il sovrano venne ferito da una freccia che per poco non lo uccise. Ferito nel corpo e nell’anima, Alessandro diede l’ordine che i suoi soldati, in preda al malcontento ed allo sconforto, aspettavano da tempo: era tempo di tornare indietro.
Due anni più tardi, nel 324 a.C., Alessandro fece ritorno a Susa, dove tentò per l’ultima volta di unire i popoli greci e persiani. Il sovrano macedone decise di sposare Statira, figlia del defunto Re di Persia Dario III, e reclutò 30.000 giovani persiani nella falange macedone per rimpolpare i suoi ranghi. Giunto l’inverno, si ritirò ad Ectebana, dove Alessandro ricevette l’ultima, letale ferita: Efestione morì durante un conflitto armato. Alessandro, straziato dalla morte del suo soldato più fedele nonché del suo amato, cadde in depressione.
La fine del Sogno: la caduta dell’Astro Macedone
Straziato nell’animo e nel corpo, Alessandro tentò l’ultimo disperato piano di azione per invadere l’Arabia. L’obiettivo del giovane Re era conquistare i domini cartaginesi e sottomettere il Nord Africa, assicurandosi un porto sicuro sul Mediterraneo. Purtroppo, questo piano non vide mai la luce del Sole poiché Alessandro si ammalò.
Colpito da una fortissima febbre, il Figlio del Sogno chiuse per sempre i suoi occhi al tramonto del 10 Giugno del 323 a.C. Alessandro Magno, l’Astro Macedone, il Sole che aveva illuminato il mondo, spense per sempre la sua luce a pochi giorni dal suo 33° compleanno.
Conclusioni
Siamo giunti alla fine di questo viaggio alla scoperta di Alessandro Magno, una figura leggendaria, che ancora oggi affascina la storiografia mondiale. Un uomo destinato alla grandezza fin dalla nascita, attorniato da un’aura di sacralità e leggenda.
Un uomo che, ciononostante, fu preda delle manie di grandezza di sua madre e di sé stesso e che, come per uno scherzo del destino, cadde vittima del suo stesso sogno. Un sogno forse troppo grande, persino per un semidio come lui.
Forse Alessandro aveva davvero sognato troppo in grande? Non potremo mai sapere quale sia la risposta a questa domanda. Di certo, però, possiamo dire che Alessandro non si accontentò mai e, come recitava il suo epitaffio: “Un sepolcro ora basta per colui al quale il mondo non era abbastanza”.
Francesco Ummarino per Questione Civile