Le Brigate Rosse e il sequestro di Aldo Moro: viaggio nel 1978
Il rapimento e la morte di Aldo Moro sono una delle pagine più buie del nostro paese, e la luce tarda ad arrivare sul prima, il dopo e il durante di quei 55 giorni. Abbiamo provato a riassumere brevemente i come e i perché di quella fredda primavera del 1978.
Perché le BR scelsero Aldo Moro?
Nel raccontare del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro la prima grande domanda è: perché?
Perché Aldo Moro, perché rapirlo, perché tra tanti politici proprio lui. La Democrazia Cristiana dei secondi anni ’70 era, indubbiamente, il nemico principale di molti movimenti.
Non solo le Brigate Rosse, forse l’espressione più alta della violenza e rappresaglia politica, anche molti movimenti meno violenti. Vicini al trentennale dalla nascita della Repubblica i democristiani si apprestavano a festeggiare trent’anni di governo quasi ininterrotto. L’attacco alla Democrazia Cristiana era, di per sé solo, un attacco al cuore dello Stato.
Era il motivo per cui dal nord industriale, dove erano nate le Brigate Rosse, avevano scelto di muoversi verso Roma.
Alzare il livello dello scontro, raggiungere il potere, dimostrarsi più forti dell’ordine costituito.
In realtà, quasi paradossalmente, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro hanno rappresentato l’inizio della fase finale della vita delle Brigate Rosse.
Sul perché Aldo Moro si sono sempre fatte varie teorie. Quella più conosciuta e raccontata, al di là di ogni ipotesi di complotto, è quella del compromesso storico. Nato nel 1973 per idea di Enrico Berlinguer, il così detto compromesso storico era l’accordo sulla base del quale si sarebbe dovuto portare il Partito Comunista al governo.
Nel contesto della Guerra Fredda sarebbe stata una novità assoluta l’ingresso dei comunisti in un esecutivo occidentale. Berlinguer aveva trovato in Aldo Moro l’interlocutore adatto a un progetto indubbiamente ambizioso.
Le fondamenta di questo ingresso si sarebbero dovute mettere proprio quel 16 Marzo 1978, con l’entrata in carica del IV Governo Andreotti. Nel corso dei decenni questa è rimasta la teoria più accreditata, soprattutto da parte di chi sostiene che il sequestro vada ben oltre le semplici BR.
Il racconto dei brigatisti: Aldo Moro come simbolo
Analizzare con attenzione tutte le teorie sul rapimento di Aldo Moro, tutte le indagini e dichiarazioni più o meno ufficiali, è complesso. Si va da idee che appaiono accreditate a ipotesi molto fantasiose, lasciando di fatto la verità ancora appannaggio di pochi; forse di nessuno, a quasi cinquant’anni dal 1978 e con tutte le vite finite nel mentre.
Se però si chiede “perché Aldo Moro?” ai responsabili, ai brigatisti, la risposta cambia.
La maggior parte delle azioni delle BR, soprattutto nei primi anni, non ha mai riguardato il singolo come tale.
Certo, nei volantini di rivendicazione di omicidi e ferimenti si vedeva spesso messa in luce la storia della vittima; il giudice che ha ostacolato la rivoluzione condannando i compagni, il dirigente di fabbrica che sfrutta i lavoratori.
Nei fatti, però, non era il nome o la storia personale che entravano in gioco.
Quando si cerca la ragione della scelta di Aldo Moro nelle parole degli ex brigatisti la situazione cambia.
Tutte le congetture, più o meno valide, che si fanno intorno alla scelta dell’ostaggio vengono meno.
Nei racconti e nelle testimonianze di chi Aldo Moro decise di rapirlo torna il tema del ruolo.
Non Aldo Moro il marito di Eleonora, il padre di quattro figli e nonno affezionatissimo del piccolo Luca.
Nell’ottica delle Brigate Rosse Aldo Moro è solo un simbolo, quello di uno Stato che vorrebbero abbattere.
Il primo volantino, quello di rivendicazione del rapimento, si concentra molto sul ruolo che Moro ha avuto nei trent’anni precedenti, dall’avvento della repubblica in poi. Ma al posto di Aldo Moro e di quel racconto poteva esserci qualsiasi altro statista democristiano. Il cuore dello Stato, nella visione dei terroristi, era un unicum non scindibile.
A suo modo, e lo capì anche lui, Aldo Moro pagò per un’intera classe politica.
I cinquantacinque giorni di Aldo Moro
I cinquantacinque giorni di Aldo Moro, forse i più lunghi della storia Italiana, iniziarono un giovedì.
Il 16 Marzo 1978 il Presidente della Democrazia Cristiana era chiamato al voto di fiducia del IV Governo Andreotti.
Non un governo qualsiasi, visto che dietro c’era il lavoro dello stesso Aldo Moro. Sarebbe dovuto essere il primo governo con una piccola compagine di comunisti; non nei ministeri, non ancora, ma era un inizio.
La tensione per quella novità era palpabile tanto nella DC, non tutta d’accordo, quanto nel PCI, che lamentava il poco peso attribuitogli. L’agguato di Via Fani, la morte dei cinque agenti di scorta, frenò bruscamente quel progetto di cambiamento. Dopo il 16 Marzo la politica si barricò dietro alle sue posizioni, in un’unità più necessaria che voluta.
Non era il compromesso storico, non era l’inizio di un nuovo percorso.
Il governo coi comunisti, alla fine, non si fece mai.
La comunicazione usata dalle Brigate Rosse nel periodo del sequestro non differì da quanto fatto in passato.
Il metodo dei volantini, già collaudato fin dalle prime azioni dei terroristi, rimase il prescelto.
Buste contenenti le comunicazioni venivano lasciati in determinati punti della città, precisi ma senza dare nell’occhio, e successivamente si avvisavano i giornali per permetterne il ritrovamento.
I volantini originali delle Brigate Rosse durante il sequestro di Aldo Moro furono nove.
A questi però si deve aggiungere un comunicato falso, datato 18 Aprile, che annunciava l’omicidio dello statista. Il messaggio aggiungeva che il cadavere dell’ostaggio sarebbe stato ritrovato sul fondale del Lago della Duchessa, in provincia di Rieti. Smentito dalle stesse BR pochi giorni dopo, il comunicato falso viene tendenzialmente definito una prova generale, una preparazione del popolo a un dramma inevitabile
Il sequestro Moro e la politica
Il 15 Marzo 1978 erano ancora molti i dubbi sul IV Governo Andreotti, soprattutto in casa comunista.
Il voto di fiducia che arrivò il giorno seguente, dopo Via Fani, fu però una storia diversa. Si opposero il Movimento Sociale e il Partito Liberale, in entrambi i rami, e, alla Camera, i Radicali e Democrazia Proletaria, non rappresentati in Senato. Quanto accaduto la mattina cambiò le posizioni di molti, ponendo la necessità di un esecutivo stabile che sarebbe però durato meno di un anno.
La prova a cui era chiamata la politica italiana era una novità; mai ci si era trovati coinvolti così da vicino.
Unità, coesione, compattezza, le parole d’ordine erano quelle di un paese che doveva affrontare tutto insieme il dramma del terrorismo. A queste va aggiunto “non trattare”, il mantra del Parlamento contro le BR.
Unica eccezione fu il Partito Socialista Italiano, che tentò più volte di orientarsi in un’altra direzione.
Le lettere di Moro
Durante la sua prigionia Aldo Moro ebbe modo di comunicare con l’esterno tramite la scrittura di alcune lettere.
Si tratta del così detto Memoriale Moro, che univa messaggi privati alle persone care con messaggi di natura politica a colleghi di partito e istituzioni. Non tutte le lettere vennero rese immediatamente disponibili dalle Brigate Rosse, che si riservarono di inviarne ai giornali e ai destinatari solo alcune.
Spesso assieme ai comunicati degli stessi terroristi, utilizzando lo stesso metodo.
Anche sulle lettere la politica mantenne fermezza; fu deciso, quasi arbitrariamente, di definirle dei falsi. Materialmente ma non moralmente ascrivibili ad Aldo Moro, si disse. La fermezza dello Stato passò anche dal discredito degli scritti coi quali Moro chiedeva di trattare, di discutere. Le pagine più intime, dedicate ai familiari, raccontano della rassegnazione di un uomo assunto a simbolo del sistema. Lo stesso sistema che, forse per autotutelarsi, scelse di non proteggerlo.
9 Maggio 1978
Anche il luogo del ritrovamento del corpo di Aldo Moro assume un simbolismo particolare.
Via Michelangelo Caetani, oggi nota proprio per quel 9 Maggio 1978, si trova nel centro di Roma.
È una traversa di Via delle Botteghe Oscure, all’epoca sede del Partito Comunista Italiano; a poche centinaia di metri, andando in direzione Piazza Venezia, incrocia via d’Aracoeli che la collega a Piazza del Gesù, quartier generale della DC.
Quasi a metà tra comunisti e democristiani, come in vita si era posto Aldo Moro fino al giorno del suo rapimento.
Lo statista, colpito da arma da fuoco, fu ucciso nel bagagliaio della stessa Renault 4 Rossa in cui venne ritrovato.
La notizia dell’auto sospetta abbandonata rimbalzò in fretta per tutto il paese ancor prima della conferma.
Nel primo pomeriggio, dall’edizione speciale di Rai Uno, fu Bruno Vespa a dire ufficialmente che l’uomo ritrovato era Aldo Moro.
Il sequestro si era concluso.
Aldo Moro, nelle sue lettere, chiese che il funerale fosse privato.
La famiglia rispettò la richiesta con un’intima cerimonia funebre a Torrita Tiberina, dove lo statista è sepolto.
Tuttavia, pur in assenza di feretro, la classe politica decise di celebrare un funerale di Stato a Roma pochi giorni dopo il ritrovamento di Via Caetani. Di uno dei momenti più difficili della storia politica italiana rimangono ora tanti dubbi e poche certezze.
Lo scorrere del tempo, la morte man mano di altri protagonisti di quella stagione, hanno portato con sé maggior foschia sul periodo e sui fatti. Resta una verità consegnata alla storia in attesa che eventuali segreti, se anche ci fossero, possano venir svelati.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Bibliografia
Brigate rosse. Una storia italiana – Intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti, Mondadori.
Figli della notte – Giovanni Bianconi, Dalai editore
16 Marzo 1978 – Giovanni Bianconi, Editori LaTerza
Un’azalea in Via Fani – Angelo Picariello, Ed. San Paolo
Il caso Moro e la prima Repubblica – Walter Veltroni, ed . Solferino