La Germania di Adolf Hitler dall’invasione della Polonia alla resa dell’Otto maggio 1945
L’invasione della Polonia, la risposta delle altre potenze Europee al continuo espandersi della Germania di Hitler, l’inizio di un conflitto destinato a coinvolgere l’intero pianeta e cambiarne le sorti per sempre.
Dai bombardamenti ai campi di sterminio, dalla battaglia di Stalingrado a quella di Berlino.
L’inizio della guerra dopo l’invasione della Polonia da parte della Germania
Il settembre 1939 si era aperto con l’invasione della Polonia da parte delle truppe Tedesche.
Era l’inizio dell’espansione a est voluta da Hitler, l’allargamento dei confini della Germania. Lo scopo primario era la riunione di tutti i popoli tedeschi, divisi dopo il trattato di Versailles, sotto un’unica bandiera.
Neanche sei mesi prima era stata la Cecoslovacchia a cedere sotto il potere militare dello stato Hitleriano. Non era bastato al Fuhrer ottenere i territori abitati dai Sudeti, minoranza tedesca, concessi con la conferenza di Monaco. Nel marzo del 1939 la Cecoslovacchia era stata invasa, un esperimento di guerra.
Al contrario, esattamente un anno prima, l’annessione dell’Austria era avvenuta senza problemi, senza resistenze né violenza.
Passata alla storia come Anschluss – unione- era stata una violazione degli accordi post bellici non contestata dalle altre potenze occidentali.
Ma l’entrata dei militari tedeschi in Polonia era un’altra storia, davanti alla quale non era ammesso tacere.
Dal primo settembre sono passati due giorni. L’aria europea è tesa, la guerra è ancor più che alle porte.
La faticosa pace successiva alla Grande Guerra è ormai un vago ricordo, i tentativi di non ripetere quell’orrore sono andati in fumo.
L’Inghilterra ci prova un’ultima volta il tre settembre, ponendo l’invasore tedesco davanti a un ultimatum: tornare indietro, lasciare la Polonia, far finire la guerra. La risposta è negativa, la Germania non ha nessuna intenzione di ritornare sui suoi passi.
Sono da poco passate le 11 del mattino quando il Primo Ministro inglese Chamberlain comunica via radio alla popolazione il rifiuto dell’invasore; la conseguenza è entrata in guerra del paese.
Passano poche ore e la Francia, alle diciassette dello stesso giorno, segue la scelta operata dagli inglesi.
Non bastano queste dichiarazioni di guerra a salvare la Polonia.
I sovietici invado da est, prima che inizi Ottobre il paese è diviso.
Inghilterra e Italia in guerra, il 1940
L’invasione della Polonia aveva mutato le sorti dell’Europa, ma i primi mesi della guerra non erano stati bruschi quanto ciò che l’aveva scatenata. La situazione tra Germania, Inghilterra e Francia era rimasta instabile, fatta di scontri militari via aria e via mare.
Il mondo si preparava però ad essere sconvolto ancora, sempre più violentemente e sempre a causa delle azioni tedesche. Prima Norvegia e Danimarca, occupate nell’aprile del 1940.
Poi, a maggio, Olanda, Belgio, Lussemburgo e la stessa Francia, costretta a firmare l’armistizio a giugno, con la nascita dello stato collaborazionista di Vichy.
Le mire espansionistiche tedesche avevano portato la guerra verso occidente, nel cuore del vecchio continente.
L’Inghilterra non fu mai fisicamente invasa dalle truppe tedesche. Fu però vittima di pesanti bombardamenti nel corso di tutta l’estate e fino alla metà dell’autunno. Decine di migliaia di civili persero la vita nel corso di quella che fu chiamata “Battaglia d’Inghilterra”.
Il Patto d’Acciaio aveva segnato le sorti dell’Italia di Benito Mussolini già nel 1939.
Certo che la guerra fosse sì nella mente di Hitler ma molto al di là da venire, il Duce aveva siglato l’accordo; l’Italia sarebbe dovuta intervenire al fianco della Germania in caso di guerra, anche qualora fosse stata provocata dallo stesso alleato Tedesco. Il repentino scoppio del conflitto mise però in una posizione scomoda il paese fascista, in condizioni economiche e militari che ne impedivano la partecipazione. Mussolini riuscì, in un primo tempo, a mantenere il patto fatto con Hitler fornendo all’alleato un appoggio politico totale ma non militare.
La garanzia della pace in Europa fu la giustificazione ufficiale di una scelta che riuscì a tenere l’Italia fuori dal conflitto per oltre nove mesi. Non di più.
Il 10 giugno del 1940 il Duce si affacciò al balcone di Palazzo Venezia e annunciò l’entrata in guerra.
Guerra e Shoah. La “soluzione finale” della Germania
Il conflitto incalzante nel vecchio continente non distolse il regime Nazista dal proseguire le proprie politiche interne.
L’annientamento di nemici e detrattori fu perseguito anche nei paesi conquistati, a maggior ragione per sopprimere il rischio di ribellioni e resistenze.
Allo stesso modo la politica antisemita del Reich non subì nessun rallentamento, venendo al contrario accentuata proprio in virtù della situazione internazionale. I beni dei cittadini di religione ebraica furono presto sequestrati in ragione della necessità di contribuire ai bisogni dell’esercito in guerra. Coprifuoco, divieto di frequentare determinate zone e limitazioni agli acquisti furono le successive norme imposte dal Reich.
Poi, nel settembre 1941, arrivò la stella gialla da cucire sui vestiti. Era obbligatoria per uomini e donne di religione ebraica sopra i sei anni, da apporre su ogni capo d’abbigliamento. La guerra era scoppiata da più di due anni quando, nel gennaio del 1942, ci fu la Conferenza di Wannsee.
Soluzione finale del problema ebraico.
È passato alla storia così ciò che fu deciso dai gerarchi Nazisti, primo fra tutti Adolf Eichmann, durante quell’inverno di guerra. Lo sterminio definitivo, l’annientamento di tutti i cittadini di religione ebraica; uomini, donne, bambini, sani e malati, vecchi e giovani.
Le deportazioni iniziali, riguardanti anche i territori conquistati, furono dirette ai ghetti là dove non già esistenti, e cominciarono prima del 1942.
Fu però dopo la Conferenza di Wannsee che cominciò la fase finale, l’indirizzamento verso i campi di sterminio. Auschwitz è il primo nome che salta alla mente, ma molti furono i luoghi in cui si compì il massacro.
Circa sei milioni di ebrei di ogni età e condizione morirono sotto il regime Nazista, quasi la metà tramite gas o fucilazione.
E con loro zingari, omosessuali, disabili, oppositori politici.
Tutto ciò che per il Reich era feccia, inferiorità, disonore.
Non abbastanza ariano.
La guerra sul fronte orientale: la Battaglia di Stalingrado
Le mire espansionistiche tedesche non si erano fermate.
Se nel 1939 la Polonia era stata spartita con l’Unione Sovietica, in grado di aggredirla da oriente, col proseguire della guerra le cose erano cambiate.
Il patto di non aggressione tra i due paesi – patto Molotov-Ribbentrop – ebbe vita breve.
Già nel 1940 il Fuhrer mise le basi per l’operazione Barbarossa, nome in codice dell’invasione dell’URSS. Poi, nel giugno 1942, l’attacco ebbe inizio. Fu un cambiamento di posizione improvviso e repentino, che trovo le truppe di Stalin inizialmente impreparate.
Anche nei nuovi territori occupati gli appartenenti a minoranze, soprattutto ebrei e rom, trovarono la morte per mano dei soldati di Hitler.
Dopo le prime settimane di guerra le forze armate Sovietiche riuscirono a migliorare le proprie capacità difensive. La Germania, certa di concludere l’operazione entro l’autunno, non aveva preparato i suoi uomini all’inverno.
Tanto bastò per cambiare le sorti della guerra.
La battaglia più sanguinosa della storia dell’umanità.
Così viene ricordata la Battaglia di Stalingrado, iniziata sul finire dell’agosto 1942, a quasi tre anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La città russa era decisiva per il proseguire del conflitto; se fosse caduta in mano ai tedeschi si sarebbero drasticamente ridotte le possibilità dell’Armata Sovietica di ricevere gli approvvigionamenti necessari alla sopravvivenza.
L’attacco tedesco arriva via cielo, un bombardamento riduce la città a macerie e corpi inermi. Decine di migliaia di vittime civili cadono sotto le bombe nemiche.
Poi l’entrata via terra, accolta dalla resistenza dei sopravvissuti, che muta giorno dopo giorno gli esiti della violenza delle armate Hitleriane.
A metà autunno la città sembra destinata a cadere nelle mani nemiche, ma di lì a breve Stalingrado viene raggiunta dai rinforzi russi. I soldati di Stalin accerchiano la città e gli invasori al suo interno.
Il 3 febbraio i tedeschi capitolano.
1944-1945, la fine della Guerra
Stalingrado è la prima grande sconfitta Nazista, l’inizio della fase discendente del potere Hitleriano, nonostante il Fuhrer si ostini a pensare il contrario.
Nello stesso 1943 le armate del Generale tedesco Rommel vengono cacciate dal Nordafrica, dove la guerra le vedeva contrapposte agli inglesi insieme alle truppe italiane.
L’estate successiva segna la fine del Fascismo e dell’alleanza con l’Italia, che firma l’armistizio l’Otto settembre. È l’inizio della resistenza e della guerra civile, delle violenze naziste sui civili, della lotta per la liberazione.
Intanto la Germania, ancora impegnata sul fronte orientale, subì una seconda decisiva sconfitta a Kursk, città occupata dal 1941 e riconquistata dai Sovietici nell’estate 1943.
L’ultimo anno di guerra stava per iniziare.
Da un lato gli Americani prossimi allo sbarco in Normandia, dall’altra l’avanzata Sovietica verso Ovest. Il 6 Giugno 1944 le forze Statunitensi sbarcano in Francia, poco più di tre mesi dopo entrano in Germania.
L’avanzare dei Sovietici portò alla liberazione di Auschwitz il 27 Gennaio 1945, la scoperta dell’orrore dei campi di sterminio. Le truppe Naziste avevano tentato di dismettere, distruggere e nascondere quanto fatto, non riuscendoci e permettendo al mondo di conoscere.
Meno di tre mesi più tardi gli uomini di Stalin raggiunsero Berlino, dando vita all’ultima battaglia della Seconda Guerra Mondiale. Il 30 Aprile, conscio della sconfitta imminente, Adolf Hitler si tolse la vita nel suo bunker sempre a Berlino, e due giorni dopo la città si arrese. L’otto Maggio 1945 la Germania firmò la resa, ponendo fine alla Seconda Guerra Mondiale in Europa.
In Italia il conflitto era terminato il 25 Aprile con la liberazione di Milano e del nord del paese, Mussolini era stato messo a morte tre giorni dopo. Tra sessanta e settanta milioni è il numero di vittime che quasi sei anni di conflitto avevano lasciato sul terreno.
Francesca Romana Moretti per Questione Civile
Sitografia
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