Ostacoli e disparità regionali nell’erogazione del reddito di libertà a vantaggio delle donne
Il reddito di libertà è un sussidio economico finanziato su base nazionale, appositamente pensato per favorire la fuoriuscita delle vittime di violenza da contesti di abuso. Nonostante le Regioni possano integrarlo con fondi propri, burocrazia, ostruzionismo e tempi di attesa troppo lunghi ne inficiano l’erogazione. E a rimetterci è l’autonomia delle donne.
“Termometro sulla parità di genere”
– N. 3
Questo è il terzo numero della Rubrica di Area dal titolo “Termometro sulla parità di genere”, appartenente all’Area di Attualità
Violenza economica: una definizione
La violenza economica è tra le più subdole e meno note forme di abuso. Eppure, impedire alle donne di accedere liberamente alle risorse finanziarie, significa instaurare un rapporto di controllo-sudditanza e minarne l’indipendenza a lungo termine. Esistono due tipi di violenza economica: quella di tipo privativo e quella di tipo coercitivo.
La prima ha a che fare con la mancata erogazione del denaro per spesa o farmaci, ed è basata prettamente sul controllo. Esemplificando, un partner violento può decidere di non pagare il mantenimento dei figli in caso di separazione, oppure vietare alla vittima di fare acquisti autonomamente.
In entrambi i casi, dunque, l’erogazione di denaro viene condizionata all’autorizzazione o a imposizioni arbitrarie dell’abuser. La violenza economica di tipo coercitivo, invece, è legata all’obbligo che viene imposto alla vittima su azioni specifiche: la firma di assegni in bianco, l’intestazione di tutti i finanziamenti a suo nome o la sottoscrizione di contratti di cui non è a conoscenza.
Riconoscere nell’immediato questo tipo di violenza non è sempre facile, dal momento che la gestione del denaro è permeata di costrutti patriarcali. Così molte donne, ancora adesso, non conoscono lo stato patrimoniale della propria famiglia o considerano il licenziamento una scelta obbligata dopo la maternità.
È fondamentale sottolineare che non si tratta di abusi isolati. È un preesistente contesto di violenza psicologica, infatti, a favorire l’instaurarsi delle dinamiche di controllo che sfociano in vera e propria violenza economica. Come sottolinea Carlotta Romagnoli, psicoterapeuta del centro antiviolenza “Sonia” di Venezia, in un’intervista rilasciata a Domani:
«la violenza economica è un vero e proprio atto di coercizione».
Il reddito di libertà come strumento di fuoriuscita dalla spirale della violenza economica
Molte donne che si rivolgono ai centri antiviolenza riportano che l’uomo maltrattante impediva loro anche la minima gestione del denaro. Sempre Romagnoli dichiara:
«Arrivano da noi dicendo: “Io non ho nulla”. Casa e automobile sono intestate al marito, non hanno conto corrente o se lo hanno è cointestato, ma senza l’autorizzazione al prelievo di contanti, come anche l’uso del bancomat».
Questa condizione di dipendenza economica è annichilente, poiché senza reddito vengono meno le premesse per il raggiungimento della libertà e della fuoriuscita dalla violenza.
A partire dal 2021 esiste nel nostro Paese il reddito di libertà, introdotto come misura per sostenere le donne che si trovano in difficoltà economiche a causa degli abusi subiti.
Viene elargito per favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà. L’obiettivo primario è generalmente il recupero dell’autonomia abitativa e personale.
La misura è stata elevata, nel 2025, da 400 a 500 euro pro capite mensili, per un massimo di 12 mensilità. Possono chiedere di accedere alla misura donne che hanno subito violenza, con o senza figli, residenti sul territorio italiano. Condizione necessaria è che queste donne siano cittadine italiane, comunitarie oppure extracomunitarie in possesso di regolare permesso di soggiorno. Altresì, è indispensabile che siano state prese in carico dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e seguite dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
L’iter è il seguente: dopo la presa in carico, devono ottenere un’attestazione del percorso di autonomia, da allegare alla domanda insieme alla dichiarazione comunale sullo stato di bisogno. Spesso però, il fatto che la misura sia compatibile con altri strumenti di sostegno al reddito, non è sufficiente a garantire un reale supporto.
Burocrazia e fondi insufficienti: i principali ostacoli al reddito di libertà
Come denunciato da moltissime operatrici di centri antiviolenza, i fondi per il reddito di libertà sono insufficienti e tardano ad arrivare. Spiega ancora Romagnoli:
«Appena è uscita la misura avevo fatto fare domanda a cinque donne e ne hanno accettate solo due. Di fatto, ci sono un sacco di domande inevase». C’è poi il dato legato alla scarsità dello stanziamento rispetto alla ripartizione regionale: «Erano pochissime le domande ammissibili e i fondi si esaurivano immediatamente».
Il tutto è legato anche alle macchinose modalità di richiesta:
«Le donne dovrebbero farsi fare, dai servizi sociali, una certificazione di bisogno economico, però non sempre se la sentono di andare dai servizi a raccontare la loro storia».
A complicare ulteriormente l’iter, la decisione di alcuni Comuni di richiedere alle donne l’Isee per poter erogare il reddito. Ma se queste risultavano ancora residenti con il partner, l’Isee era troppo alto e il reddito di libertà non erogabile. La legge di bilancio 2024 sembrava portare buone notizie, introducendo l’esonero dei contributi previdenziali per i privati che assumevano beneficiarie del reddito. Tuttavia, come sottolinea Romagnoli:
«pochissime possono accedere al reddito di libertà, di conseguenza questa misura è uno specchietto per le allodole».
Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia
Come già chiarito, il reddito di libertà è una misura nazionale che le regioni possono decidere di integrare con finanziamenti propri. Ad oggi, le regioni che hanno incrementato il budget sono Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna. A queste, segnalate dalla documentazione INPS 2024, si aggiunge la Sardegna, che aveva già previsto il reddito nei propri stanziamenti prima dell’inserimento nella manovra finanziaria.
La Valle d’Aosta ha stanziato dei finanziamenti regionali – pari a 130mila euro all’anno – per il triennio 2024/2026. La consigliera regionale DiRe (Donne in rete contro la violenza) Anna Ventriglia ha commentato:
«Senza questi fondi regionali, quelli statali sarebbero stati irrisori: negli anni passati ci venivano elargiti 7-8mila euro. Non avremmo potuto coprire nemmeno due donne con 500 euro al mese per 12 mesi».
I finanziamenti all’INPS vengono dunque elargiti dalla regione Valle d’Aosta che poi li trasmette alle beneficiarie.
Anche il Friuli-Venezia Giulia ha stanziato dei fondi aggiuntivi. Ilaria Buonandi, del centro antiviolenza Voce Donna di Pordenone, ha spiegato:
«Se con le risorse nazionali per il 2024 avremmo potuto coprire 33 donne, con i finanziamenti della regione altre 41 donne possono accedere alla misura».
I fondi regionali ammontano infatti a 250mila euro per il 2024, mentre dallo stato sono stati stanziati 199.845 euro». Nonostante ciò, 74 donne su tutto il Friuli-Venezia Giulia non sono molte. Precisa Buonandi:
«È un numero limitato rispetto al territorio locale e regionale. Solo a Pordenone, lo scorso anno, abbiamo avuto 357 donne accolte nel centro antiviolenza».
Emilia Romagna: un esempio virtuoso
La regione Emilia-Romagna, nel 2024, ha stanziato 3 milioni di euro per integrare le risorse nazionali. Misura che verrà replicata nel 2025, racconta Laica Montanari, consigliera regionale DiRe:
«Ci sarà un incontro con la regione il primo aprile e forse, in quell’occasione, la regione ci farà sapere qualcosa in più per l’anno in corso».
Quel che è certo è che l’importo e la durata del sostegno resteranno invariati rispetto alla misura nazionale. Tuttavia, i dati INPS sulle domande di reddito di libertà, accolte o respinte, risultano «molto parziali», sottolinea Montanari.
«Non abbiamo informazioni sul numero totale di richieste presentate, né sui motivi dei rifiuti: carenza di fondi? Errori nella documentazione? Requisiti non soddisfatti?».
Per questo, DiRe, insieme ad alcune associazioni di Bologna, ha creato un gruppo di lavoro locale per riuscire a raccogliere i dati e ad analizzarli.
«Se sarà necessario, coinvolgendo la regione», precisa Montanari.
Regione Sardegna: il primo caso di reddito di libertà
La Sardegna costituisce un caso a parte rispetto al resto d’Italia: ha istituito il reddito di libertà con la legge regionale 33 del 2018. Da quel che risulta, è la Regione con il tetto più alto di reddito erogato: nel caso di una singola donna sola, infatti, è stabilito nella misura fissa di 811 euro. Per una donna con figli minori, invece, l’ammontare minimo del sussidio è determinato dall’applicazione della formula Istat, che calcola la soglia di povertà assoluta, tenendo conto, per la sua determinazione, del luogo di residenza o di domicilio della donna.
Il sussidio aumenta di 100 euro se la richiedente «è una persona con disabilità o ha figli con disabilità» e di 200 euro se nel nucleo familiare preso in carico sono presenti «due o più persone con disabilità».
L’ammontare del sussidio può essere aumentato per il rimborso delle spese legali e per l’inserimento lavorativo.
«La regione Sardegna stabilisce la compatibilità con altre misure di sostegno nazionale di contrasto alla povertà, ma non è cumulabile con le misure nazionali del reddito di libertà», spiega a Domani Battistina Oliva, responsabile del servizio sociale territoriale di Sassari.
Il proposito è quello di mantenere la situazione invariata per gli anni a venire.
Regione Marche: quando l’ostruzionismo al reddito di libertà penalizza le donne
Nella regione in cui, secondo gli ultimi dati, per il quarto anno consecutivo crescono le richieste di aiuto ai centri antiviolenza, il consiglio regionale guidato da Francesco Acquaroli (FDI) non ha votato a favore del reddito di libertà regionale. Eppure, da due anni, il Partito Democratico propone una legge per istituire un fondo annuale di 300mila euro a favore delle donne vittime di violenza. Per Fabrizio Cesetti, primo firmatario, e altri consiglieri dem, la misura nazionale non è sufficiente a garantire sostegno a tutte le richiedenti. Sempre Cesetti (Pd) ha denunciato:
«Quello che sta facendo il centrodestra è inaccettabile. Per due anni la proposta è arrivata in aula e viene puntualmente rinviata dalla maggioranza, secondo cui ci sono sempre altre priorità».
Lo stesso accade per gli emendamenti alla legge di bilancio, che il Pd presenta ogni anno per destinare fondi al sostegno delle donne: da quattro anni vengono respinti. Nel 2023, però, la Regione ha stanziato 800mila euro per gli oratòri. Una scelta politica precisa, che lascia le donne sole e senza tutele. E così il reddito di libertà è un miraggio per oltre il 50% delle sopravvissute alla violenza maschile.
Francesca Chiti per Questione Civile
Sitografia
www.editorialedomani.it
www.ilfattoquotidiano.it
www.inps.it
programmagoverno.gov.it
www.istat.it
www.dirittoconsenso.it
www.osservatoriopenale.it
open.gov.it
ovd.unimi.it