Alla scoperta del mito di Spartaco, indomito gladiatore che sfidò Roma, diventando una leggenda e conquistando l’eternità
Spartacus, così chiamato dai romani, è senz’altro una figura magnetica dell’antichità, la cui leggenda si è tramandata nei secoli fino a noi, non senza sovrapposizioni e incongruenze. Schiavo, gladiatore, indomito combattente, Spartaco si ribellò al suo destino, sfidando i padroni del mondo a casa loro.
Spartaco, un guerriero dell’esercito romano
Nato intorno al 109 a.C., in Tracia, ai confini dell’Impero, Spartaco faceva parte del popolo dei Maidi. Grazie alle fonti antiche, sappiamo che quel territorio era stato parzialmente integrato nella Macedonia romana, quindi è facile dedurre che il giovane Spartaco avesse frequentato ambienti greci, dove aveva imparato il greco, che in seguito gli sarebbe servito anche per l’apprendimento del latino, che parlava con fluidità. Ne venne fuori, dunque, una personalità multiforme, che gli sarebbe tornata presto utile, una volta diventato un miles romano, probabilmente tra l’87 e l’83 a.C, quando i Romani, impegnati in una campagna di riconquista dei territori greci, ebbero bisogno di nuove reclute.
Cosa spinse Spartaco ad arruolarsi nell’esercito nemico? Non possiamo saperlo. Certamente, la sua fu una decisione in controtendenza, considerato che in quel momento tutto l’Oriente era attraversato da un fremito antiromano. Possiamo ipotizzare che, data la sua giovane età, sia stato mosso da una passione per le armi, da un sentimento di ammirazione per l’integrità guerriera dei soldati romani o dal miraggio di una vita audace… Indubbiamente, quelli furono anni decisivi, durante i quali Spartaco consolidò il suo carattere e irrobustì il suo corpo.
La rottura
Spartaco abbandonò l’armata romana e con essa la possibilità di ascesa sociale che un’osservante milizia nell’esercito avrebbe potuto garantirgli e, di conseguenza, divenne un desertor. Ancora una volta, però, non conosciamo le motivazioni. Tuttavia, è possibile supporre che il suo abbandono fosse dovuto alla guerra che il console Appio Claudio Pulcro mosse contro i Maidi, la gente di Spartaco. Questa è chiaramente una congettura, frutto di una plausibile spiegazione della sua condotta e delle conseguenze del suo operato: Spartaco, da quel momento, divenne un ribelle.
Ormai schiavizzato, venne condotto a Roma e venduto come schiavo a Lentulo Batiato, lanista della scuola di gladiatori di Capua. Fu in quel ludus che Spartaco venne formato per diventare un gladiatore e proprio lì incontrò Crisso ed Enomao, gli altri due capi della rivolta che lo schiavo-gladiatore avrebbe presto messo in atto.
La fuga e l’inganno
Spartaco visse nel ludus per poco tempo, probabilmente alcuni mesi. Secondo gli storici, aveva pensato alla fuga sin dall’inizio, concependo un piano ambizioso: non un’evasione di un piccolo gruppo di prigionieri, ma una vera e propria ribellione di massa, circa duecento gladiatori. Eppure, solo in settanta riuscirono ad abbandonare in fretta e furia il ludus e a sottrarsi alla rappresaglia.
Durante i primi giorni di marcia, i fuggitivi si recarono in un luogo fortificato tra Capua e Nola e, con il passare del tempo, altri schiavi, banditi e uomini liberi si unirono ai rivoltosi. Nel frattempo, le truppe romane si mobilitarono e giunsero nei pressi dell’accampamento dei ribelli, pensando di sedare velocemente la rivolta. Spartaco, però, conoscendo le tattiche e i protocolli operativi delle unità imperiali, aveva previsto l’arrivo dei romani e aveva condotto i rivoltosi nei pressi del Vesuvio, dove ebbero la meglio sui primi inviati romani, capitanati da Glabro.
A quel punto, il Senato romano iniziò a preoccuparsi seriamente della rivolta e, dopo la sconfitta di Glabro, inviò il pretore Claudio Varinio, il quale divise il suo esercito per accerchiare l’accampamento di Spartaco. Anche stavolta, però, il gladiatore ribelle seppe anticipare le mosse dei romani e attaccò separatamente i due contingenti nemici. Poco tempo dopo, nel cuore della notte, egli e i suoi seguaci si dileguarono, abbandonando il castrum, e si diressero verso la Lucania. Al risveglio, insospettiti dal silenzio dell’accampamento degli insorti, i romani scoprirono l’inganno. Ancora una volta, Spartaco aveva agito d’astuzia.
Le due fazioni dei rivoltosi
Le forze dei fuggiaschi crebbero rapidamente, fino a contare circa 70.000 combattenti e una buona cavalleria. Varinio non ebbe altra scelta se non combattere di nuovo, ma ne uscì ancora una volta sconfitto. Dopo questa battaglia, gli uomini di Spartaco si divisero: un gruppo si fermò nei pressi del Gargano, sotto il comando di Crisso, mentre gli altri, capitanati da Spartaco, si diressero verso Nord.
La situazione era ormai quasi fuori controllo, a tal punto da costringere il Senato a schierare i consoli Lentulo e Publicola. Quest’ultimo raggiunse Crisso e la sua fazione sul Gargano e riuscì a sconfiggerlo, mentre Lentulo, provò a scontrarsi con Spartaco e i suoi uomini, ma ne uscì annientato. Venuto a sapere della morte di Crisso, Spartaco organizzò i funerali e fece combattere circa 300 prigionieri fino all’ultimo sangue. Un rovesciamento delle parti non indifferente, che contribuirà a plasmare la figura di Spartaco non solo come uno schiavo ribelle, ma come un vero e proprio comandante antiromano.
Verso lo scontro finale
Nel frattempo, un ricco politico romano, Marco Licinio Crasso, si offrì di fermare l’avanzata nemica, reclutando circa 40.000 soldati.
Inizialmente, il piano di Spartaco era quello di dirigersi verso le Alpi ma, dopo la sconfitta di Crisso, cambiò idea e discese la penisola, giungendo in Calabria, da dove sperava di raggiungere la Sicilia, senza però riuscire nella sua impresa. A quel punto, Spartaco e i suoi uomini risalirono il territorio bruzio, ma nei pressi di Catanzaro si trovano davanti un blocco costruito dall’esercito di Crasso. Il gladiatore provò a proporre delle trattative, ma dopo diversi rifiuti decise di sfondare il blocco e a risalire la penisola. Secondo quanto riportato dagli storici, l’armata dei ribelli venne decimata e, dopo la battaglia, diversi dissidenti abbandonarono l’impresa di Spartaco.
Intanto, il Senato decise di intervenire ulteriormente, inviando due armate, capitanate da Lucullo e Pompeo Magno. Spartaco era circondato, ma il suo esercito poteva ancora contare su circa 30.000 uomini. Decise quindi di agire e di attaccare frontalmente Crasso. Non sappiamo né il luogo esatto dello scontro, né le dinamiche, ma le fonti concordano sul fatto che Spartaco venne circondato e ucciso. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
Le basi del mito di Spartaco
Oggi, è possibile ricostruire l’impresa di Spartaco grazie agli scrittori antichi, che però ci restituiscono una visione del mito per niente unitaria. Ad atteggiamenti favorevoli e di ammirazione, che vedono in Spartaco un uomo di valore, un esempio di virtù e grandezza d’animo, se ne contrappongono altri, per i quali il gladiatore ribelle non era altro che un disertore e un’esecrabile.
Questo atteggiamento di ostilità nei confronti di Spartaco è chiaramente frutto di diverse ideologie: per Cicerone, ad esempio, Spartaco era l’emblema del nemico pubblico e del sovvertimento dell’ordine repubblicano. A questa posizione ideologica, si aggiunse anche quella dell’origine barbara di Spartaco, un ulteriore elemento di disprezzo che si sommava a quello della condizione degli schiavi.
Tuttavia, accanto a questa tradizione ostile, ce n’è una propizia, che avrebbe posto le basi per la nascita del mito. È errato pensare che Spartaco si ribellò perché si fece promotore di una coscienza di classe; questa ipotesi, infatti, rappresenta un inquinamento della conoscenza del passato. In epoca imperiale si parlava di strati e non di classi (concetto nato solo nel periodo della Rivoluzione Industriale), ma soprattutto l’idea di una collettività senza lavoro servile non era contemplata dalle società mediterranee antiche. Per tali ragioni, non abbiamo nessun elemento che ci induce a credere che Spartaco andasse oltre queste vedute.
Spartaco: il bandito sociale
Il vero motivo della nascita del mito di Spartaco, oltre ai sentimenti di ammirazione per il suo coraggio, intelligenza e tenacia, è che il gladiatore ribelle riuscì a sfidare i padroni del mondo a casa loro. Questa tesi è confermata proprio dal piano di Spartaco: una volta fuggito, avrebbe potuto fare ritorno in Tracia, in diverse occasioni, ma non lo fece poiché, probabilmente, il suo progetto era quello di annientare il nemico e di porsi come comandante di un grande esercito di rivoltosi, dando una lezione ai romani in un capovolgimento simmetrico della situazione.
Dunque, l’impresa del quasi imperator antiromano riuscì sin da subito a colpire l’opinione pubblica. Effettivamente, le fonti antiche testimoniano che, dopo la sua morte, il popolo iniziò a concepire la sua figura come un esempio paradigmatico di valore e resilienza, tanto da diffondere la leggenda della morte fittizia dell’eroe ribelle. In quest’ottica, dunque, Spartaco sarebbe stato idealizzato attraverso due tratti peculiari, l’immortalità e l’invulnerabilità, che identificano la figura del «bandito sociale», che nella tradizione popolare rappresenta la speranza che il campione del popolo possa non essere sconfitto e che un giorno tornerà per trionfare ancora una volta.
Marta Barbiero per Questione Civile
Bibliografia
Aldo Schiavone, Le armi e l’uomo, Torino, Einaudi Editore, 2012.
Antonio Guarino, Spartaco, Napoli, Liguori Editore, 1979.
Mario Dogliani, Spartaco. La ribellione degli schiavi, Milano, Baldini&Castoldi, 1997.