Sei donne nello spazio: il finto progresso della New Shepard
Lo scorso aprile, sei donne sono salite a bordo della capsula New Shepard per compiere il primo volo suborbitale interamente femminile della storia. Si è trattato di un evento che, secondo molti, avrebbe dovuto incarnare il progresso, l’emancipazione e l’inclusione femminile, ma basta grattarne un po’ la superficie patinata per scorgere le piaghe di una narrazione costruita a tavolino. Più che una conquista spaziale, insomma, una messa in scena: l’ennesima recita del patriarcato travestito da femminismo che, anziché aiutare l’immagine della donna, la inabissa ancor di più.
Termometro sulla parità di genere”
– N. 4
Questo è il quarto numero della Rubrica di Area dal titolo “Termometro sulla parità di genere”, appartenente all’Area di Attualità
Il primo volo suborbitale interamente al femminile
Il 14 aprile 2025 è stato completato con successo il primo volo suborbitale con un equipaggio interamente femminile a bordo della New Shepard. Lanciata da Blue Origin, l’azienda aerospaziale di Jeff Bezos, e decollata dal deserto del Texas, la capsula ha compiuto un volo suborbitale con a bordo sei donne: la pop star Katy Perry, la scrittrice Lauren Sánchez (compagna di Bezos), la produttrice cinematografica Kerianne Flymm, la giornalista Gayle King e le scienziate Amanda Nguyen e Aisha Bowe. Il volo è stato trasmesso in diretta sul sito di Blue Origin: dal lancio, passando per il superamento della linea di Kárman, fino all’atterraggio.
Nei giorni a seguire questa missione è stata celebrata come un evento simbolico e ispiratore, che avrebbe spronato le nuove generazioni di donne a intraprendere carriere scientifiche e STEM. Ma quanto c’è stato di autentico?
Dietro l’impresa della New Shepard: una narrativa costruita a tavolino
La prima missione nello spazio con una crew interamente femminile è costata tra i 10 e i 20 milioni di dollari ed è durata appena 10 minuti e 21 secondi. Anche in quest’occasione, tuttavia, lo spazio di emancipazione femminile è stato contingentato dagli uomini e dal marketing: ecco perché l’impressione è stata quella di un evento promozionale, che ha dato ai media e al pubblico l’ennesima occasione per giudicare (male) le donne. Difficile immaginare uno scenario alternativo, visto il bacio al suolo di Katy Perry una volta atterrata. Un atto d’amore beffardo verso Madre Terra, arrivato da chi aveva appena contribuito a consumarla.
«Sono disgustata – ha detto in un reel diventato virale la modella e attrice Emily Ratajkowski – tieni talmente tanto alla Madre Terra che stai salendo su un razzo costruito e pagato da un’azienda che da sola sta distruggendo l’intero Pianeta».
Blue Origin è in concorrenza diretta con Space X di Elon Musk. È lecito immaginare che, nel tentativo di catalizzare l’attenzione globale, si siano chiesti cosa poter fare per distinguersi, qualcosa che Musk non avrebbe mai fatto. Il risultato? Sei donne famose lanciate nello spazio. Com’era prevedibile, i media sono letteralmente impazziti e la reazione della stampa non si è fatta attendere.
Un piccolo passo per Jeff Bezos, un grande passo indietro per il femminismo
«Una missione che rappresenta la sconfitta del femminismo» ha scritto il The Guardian.
«La narrazione da parte dell’equipaggio si è basata su una visione dell’emancipazione femminile povera di sostanza e ricca di una sciocchezza infantile e fanciullesca che insulta le donne associando il loro genere alla superficialità, alla vanità e alla mancanza di serietà» – ha sottolineato Mira Donegan, editorialista – «Volevano rappresentare tutte le donne – ponendosi come modelli di femminilità ambiziosi – ma hanno presentato una visione profondamente antifemminista del genere femminile: dipendente dagli uomini, confinata nella banalità e profondamente, profondamente sciocca».
Persino il The Washington Post – proprietario sempre lui, Jeff Bezos – che alla missione ha dedicato decine di articoli, ha ammesso:
«Ascoltare le interviste post-volo dell’equipaggio era un po’ come sentire un amico ricco del liceo appena tornato da uno di quei costosi ‘campi di leadership’ all’estero: sei contento per loro, in un certo senso».
In prima pagina, La Repubblica le ha ribattezzate “Space girls” e gran parte della stampa ha parlato di Lauren Sánchez – scrittrice, conduttrice e pilota di elicotteri – definendola semplicemente “Lady Bezos”, come se l’unico tratto distintivo dell’organizzatrice della missione fosse il suo consorte. Per di più, anche le storie personali e professionali di King, Nguyen, Bowe e Flynn, pur di assoluto rilievo, hanno finito per assottigliarsi fino a scomparire del tutto. Evidentemente, il gruppo di donne, accuratamente selezionato in base ai criteri della “diversity & inclusion”, bastava a se stesso come simbolo.
Il Messaggero e il Corriere della Sera hanno parlato invece di “addio al nubilato”. Non è dato conoscere i rapporti che effettivamente legano le astronaute per un giorno, ma non stupirebbe sapere che è nata proprio così l’idea per questa avventura.
Da Venezia alla New Shepard: il denaro colonizza tutto
Per festeggiare il loro matrimonio il prossimo giugno, Sánchez e Bezos hanno scelto Venezia come sala ricevimenti a cielo aperto, prenotando cinque hotel e tutti i taxi della città. Stando a quanto riporta la stampa, arriveranno in laguna con uno yacht da 500 milioni di dollari. C’è da augurarsi che le misure siano state prese accuratamente: per il principio di Talete, un mostro del genere potrebbe far straripare i canali o sbeccare il Ponte dei Sospiri.
Ciò che fatti del genere rimandano, infatti, è una visione proprietaria delle città e del mondo, e adesso pure degli altri pianeti.
Il campo del turismo spaziale è ancora oggi un ambito che – se riguarda le donne – ha a che fare quasi esclusivamente con quelle molto molto ricche. Nessuno stupore, dal momento che un biglietto per queste gite spaziali arriva a costare fino a 28 milioni di dollari. Eppure, fu Valentina Tereshkova la prima donna nello spazio: nel 1963 viaggiò in solitaria orbitando ben quarantotto volte intorno alla Terra.
In quegli anni, il progresso tecnologico in questo ambito rappresentava una tensione collettiva, politica e soprattutto militare. Era terreno di competizione fra i due blocchi – orientale e occidentale – in cui era diviso il mondo.
Figlia di un contadino e di un’operaia, Tereshkova divenne un simbolo per l’Unione Sovietica. Decenni più tardi, quel business è diventato appannaggio di pochi privati, con l’unico obiettivo di produrre sempre maggiore profitto. Non più viaggi di scienza e di scoperta, ma missioni piegate all’intento commerciale di intrattenere super ricchi annoiati. Il fatto che Katy Perry abbia fluttuato in una condizione di microgravità per circa tre minuti dovrebbe essere prova inconfutabile di avanzamento tecnologico? Dovrebbe far sentire le donne più emancipate? O è forse un’ennesima forma di cessione apparente del potere che Michela Murgia chiamava giustamente “il modello Charlie’s Angels”?
New Shepard: Bezos e le “sue” ragazze
Il maschilista più scaltro si accorge quando nel proprio ambito d’interesse ci sono donne che stanno facendo squadra, soprattutto se questa squadra funziona bene per gli scopi che egli si pone. La scelta più intelligente, allora, non è dividerle ma intestarsi la loro coesione, farne il proprio harem simbolico. «Trattarle come le sue ragazze, le cheerleaders» scriveva Murgia in Stai zitta. Ecco perché quando un gruppo di donne collabora e ottiene risultati d’eccellenza coi riflettori puntati addosso, è importante chiedersi chi è stato a dare l’ordine. Nessuna rapida commozione, nessun sospiro del cuore di fronte a una leadership multipla di donne. Piuttosto, chi è il direttore dell’evento? Chi è il capo progetto o il responsabile della produzione? A quale carriera sarà più utile il valore aggiunto di quel lavoro di squadra? Molto spesso si scoprirà che la risposta non contempla nomi femminili. Charlie, ancora una volta. Non le Angels.
In effetti, Bezos è stato il primo ad aprire lo sportellone del razzo al suo ritorno sulla Terra per abbracciare Lauren Sanchez, mentre i media si prodigavano a raccontare i dettagli della missione, focalizzandosi sullo styling delle tutine spaziali e sulle acconciature delle astronaute. A catalizzare l’attenzione delle emittenti, poi, una Katy Perry commossa, ansiosa di sciorinare ovvietà sul divino femminile con un fiore in mano (col quale è rimasta in favore di camera più tempo che nello spazio).
Poco importa che a bordo della New Shepard ci fossero Bowe, ingegnera aerospaziale, e Nguyen, imprenditrice per i diritti civili ed ex-NASA. Il pinkwashing prima di tutto, per condire con un po’ di empowerment un’operazione di marketing perfettamente orchestrata.
Una cosa è certa: guardando questo distopico show postmoderno, la sensazione di vuoto sperimentata è simile a quella che devono aver provato le sei donne nello spazio. Cambia solo il concetto di gravità.
Francesca Chiti per Questione Civile
Sitografia:
www.theguardian.com
www.washinghtonpost.com
www.repubblica.it
www.ilmessaggero.it
www.corriere.it
Bibliografia
Murgia M., Stai zitta, Torino, Einaudi, 2021.