Lingua, linguaggio e linguistica: il Cinema parla

lingua

Lingua o linguaggio?

La lingua è la maggior abilità dell’uomo: parlare e scrivere sono capacità sorprendenti se paragonate a ciò che il resto del regno animale sa fare. A pesare su questa considerazione vi è una distinzione fondamentale sconosciuta o poco chiara a molti, ovvero la differenza che passa tra lingua e linguaggio.

Insetti, uccelli, mammiferi, piante: sono un’infinità gli esseri viventi che possono mediare idee (vorremo dirvi di leggere questa locuzione come ‘parlare’, ma così non è) attraverso linguaggi fatti di indici fisici, chimici a volte di suoni. Quindi anche gli animali hanno una lingua?

La risposta è no. Ma spiegarne il perché sarà più complicato di quello che sembra: ci sono poche regole degli economici comandamenti che ci permetteranno di farlo. Le possibilità per scoprire questi comandamenti sono due: la prima, tristemente praticabile, è la lettura di un manuale di linguistica; la seconda, lietamente selezionata, è quella che vi proponiamo in questo articolo: il cinema.

Questo può spiegare che differenza c’è tra lingua e linguaggio? E il cinema stesso pertiene all’una o all’altra categoria?

Il triangolo semiotico: Il discorso del re (2010) di Tom Hooper

La pellicola di Hooper, The King’s Speech, vince nel 2011 quattro Oscar con una storia che, per quanto semplice, è di grande impatto.

Anni Trenta, il re inglese Giorgio V muore e il trono passa dapprima al figlio maggiore Edoardo VIII che abdica. Quindi, il trono passa al secondogenito Giorgio VI, all’alba del secondo conflitto mondiale. Giorgio VI ha da principio un problema non da poco per una figura così esposta al pubblico: Bertie, così chiamato dai familiari, balbetta al punto da non riuscire quasi ad esprimersi nelle occasioni di maggior pressione.

Sarà il logopedista Lionel Logue a guidarlo in direzione di una piena coscienza della sua capacità linguistica. Progredirà con esso tanto nel parlare quanto nel raccontarsi. Fino al suo storico discorso alla nazione che annuncia l’entrata in guerra del Regno Unito.

Turpiloquio esorcizzante, canto, movimento, scioglilingua, esercizi di dizione da teatrante di provincia: semplici e riusciti trucchi insegnano a Bertie come il linguaggio sia prima di tutto una capacità motoria. È un po’ come imparare ad andare in bicicletta, lo sforzo iniziale viene compensato da una memoria fisica che impedisce di dimenticare come si fa a parlare.

Quello che “Il discorso del re” dice sulla ‘lingua’

Paradossale ma vero, i campi di forza di questo film rappresentano egregiamente un primo e fondamentale comandamento linguistico: il triangolo semiotico.

Tracciate su un foglio un triangolo. In un vertice porrete il significato (ciò che qualcosa vuole dire), in un altro vertice porrete il significante (la rappresentazione del significato), infine, nel terzo vertice, porrete il referente (la realtà del significato).

Il triangolo semiotico chiarisce esattamente i tre campi d’esistenza di ogni parola che conoscente. La parola cinema avrà per significante la sequenza di sei lettere scritte (o di cinque fonemi pronunciati), per significato quello di ‘luogo dove guardare un film’, per referente l’immagine di un cinema con le sue sedie e il suo schermo, magari proprio quel cinema che avete sotto casa.

Così è il Discorso del re. Dove un Bertie-significato viene guidato nel rappresentarsi da un Logue-significante per far comprendere ad una Nazione-referente ciò che egli ha da dire.

Esercizi di dizione ne Il discorso del re (2010). Da sinistra: Helena Bonham Carter, Colin Firth, Geoffrey Rush.

Weltanschauungen e ipotesi Sapir-Whorf: Arrival (2016) di Dennis Villeneuve

Due brutti e complessi termini titolano questo paragrafo, ma il loro significato sarà presto chiarito. In Arrival di Dennis Villeneuve la linguistica è protagonista della pellicola. La storia è semplice: navi aliene approdano sul globo terrestre e due linguisti sono chiamati a capire cosa vogliono dall’uomo.

D’altra parte, la preminenza statunitense nel rapporto con gli extra-terrestri peggiora le mal sopite divergenze mondiali che portano a isolare gli USA con postulazioni da Guerra Fredda. Questione focale, middle point della pellicola, diventa una delle prime frasi completamente tradotte dai linguisti: «offrire arma».

Ed è qui che la weltanschauungen diventa centrale. Ovvero il fatto che ogni lingua sottintende un modo di vedere il mondo proprio di ogni società, anzitutto, e di ogni persona, in particolare.

Se per nazioni storicamente belliche e pronte alla sfiducia «offrire arma» indica che gli alieni vogliono attaccarle, altre nazioni interpretano il messaggio come una volontà degli alieni di aiutare una nazione in particolare (presumibilmente gli Stati Uniti) contro di loro.

La risposta, in realtà, è nella lingua che gli alieni portano sulla terra: quella è la loro arma, una lingua che va oltre i concetti di causale e posizionale, per rappresentare il messaggio nella sua interezza. È una lingua fuori dal tempo, il cui significato è sempre hic et nunc.

Villeneuve spinge gli spettatori di Arrival verso complessi, a tratti difficili, concetti di filosofia del linguaggio e di linguistica cognitiva, ma qualcosa appare più chiaro di tutto il resto: l’ipotesi Sapir-Whorf, per cui se ogni lingua è figlia di una visione del mondo sua propria, imparare una nuova lingua permette di percepire il mondo come quella cultura lo vede.

lingua

Un segno grafico di Arrival (2016)

Lingua e metalinguistica: Il professore e il pazzo (2019) di P.B. Sherman

La sfida di riuscire ad avviare l’Oxford English Dictionary viene raccolta non da un accademico ma da un eccezionale autodidatta: James Murray. L’idea di Murray è semplice: la lingua esiste perché ha un’espressione d’uso, e, quindi, è chiedendo proprio alla gente comune, ai parlanti di una lingua, che possono registrarsi tutti gli slittamenti semantici (di significato) in una parola.

A partecipare all’impresa vi è un cittadino in particolare, William Chester Minor, ex-medico americano ora rinchiuso in un manicomio inglese. La pellicola di Sherman discute, in realtà, di molteplici argomenti che superano di molto la linguistica: , il mondo accademico, l’amicizia, la sanità mentale, il sistema giuridico, persino l’amore. Ma centro del film rimane il grande dizionario etimologico.

Quello che i linguisti di Oxford non hanno ben chiaro, o meglio lo hanno, ma non riescono a definirlo così chiaramente come pochi anni dopo fece de Saussure, è il concetto di capacità metalinguistica che distingue tra langue e parole.

Anzitutto, intendiamo per capacità metalinguistica la proprietà di una lingua di essere usata per parlare di sé stessa. Capito questo, possiamo distinguere tra langue, ovvero la teoria, l’astrazione di una lingua, ciò di cui un dizionario o un’opera metalinguistica in genere dovrebbe occuparsi, e la parole, l’espressione pratica di una lingua, la lingua nella bocca di chi la parla.

Due sfere sempre tangenti ma mai intersecate, che permettono ad un’opera linguistica di registrare la teoria, lasciando all’uso la possibilità di essere guardato ma non fotografato.

Lingua o linguaggio: cos’è il Cinema?

Arriviamo alla domanda che ci siamo posti all’inizio. Un linguaggio differisce da una lingua per almeno uno dei punti definiti. Un linguaggio che non conosce triangoli semiotici a volte non ha significati ulteriori, quindi un referente corrisponde a un segno generico; altre volte non ha invece referenti, quindi un linguaggio fondato sull’astrazione.

Ancora, un linguaggio, a differenza di una lingua, non presuppone una (quasi mai) visione del mondo perché non esiste quel mondo. Spiegando meglio: visioni e percezioni di una realtà presuppongono una cultura atavica che permetta alla lingua di porre il suo seme. Ma un linguaggio non è figlio di una cultura primordiale, vive per sé stesso, esprime soltanto lo stato di chi lo usa.

Ed ecco la terza differenza: il linguaggio non può autorappresentarsi, mai. Un linguaggio non ha mai funzione metalinguistica. Ancora meglio, esistono linguaggi che possono essere metalinguistici ma solo perché rappresentano altri linguaggi, non perché possono rappresentare loro stessi.

E il Cinema, allora? Il Cinema ce l’aveva quasi fatta. Il Cinema è metalinguistico, pellicole comedi Fellini ce lo dimostrano. Poi il cinema rappresenta una visione di una determinata cultura pure se spesso molto piccola, rispondente cioè alla dimensione di un singolo uomo, il registra o lo sceneggiatore.

Purtroppo, però, il Cinema non può costruire nessun triangolo semiotico. Esso è di per sé solo e soltanto rappresentazione di significati. Il Cinema simbolizza ogni forma del reale, anche quando si finge tale. Alla luce di ciò, esso come può essere una lingua se non possiede alcun referente, se non è mai reale?

Salvo Lo Magno per Questione Civile

+ posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *