Qasem Soleimani e la promessa di vendetta agli Stati Uniti

L’Archivio di Storia delle Relazioni Internazionali, fedelmente a quanto promesso nel suo ultimo articolo pubblicato, oggi ripercorre l’evento più critico della feroce escalation di eventi di rottura tra Iran e Stati Uniti: l’attentato a Qasem Soleimani, ucciso a Baghdad su comando del Presidente americano Donald J. Trump il 3 gennaio 2020.
Procediamo con ordine, dapprima fornendo un quadro sull’identità del generale iraniano, necessario per comprenderne le cause dell’attentato, del quale, successivamente, si ripercorreranno i momenti più critici.

Chi era Qasem Soleimani

Qasem Soleimani era il comandante della forza Quds che è una componente delle Guardie della rivoluzione islamica, uomo chiave nel regime degli ayatollah e il capo delle missioni più segrete.

Il corpo delle guardie della rivoluzione islamica (gruppo dei Pasdaran) è una forza armata iraniana nata nel 1979 a seguito della rivoluzione islamica scoppiata a causa dell’esilio dell’ayatollah Ruhollah Khomeini. Composto da esercito, marina, aeronautica e forze speciali, i Pasdaran nascono come forze armate che, occupandosi di sicurezza nazionale, controllo economico, contrabbando e controllo dei ribelli, completano e supportano l’opera delle forze armate tradizionali.

Al loro interno, i Pasdaran dispongono di forze speciali, chiamate forze Quds o “Brigata Gerusalemme”, responsabili delle missioni segrete compiute al di fuori dei confini nazionali.

Dal 2007 sono classificate dagli USA come forze militari che appoggiano il terrorismo islamico poiché sostenitrici di Hezbollah e Hamas in Libano e in Palestina. Soleimani ne era il comandante dal 1998.

Egli riuscì ad acquistare una grande fama dopo essersi arruolato con le Guardie durante la guerra dell’Iran contro l’Iraq, negli anni 1980-1988. Portò un notevole supporto agli Hezbollah in Libano, ed ebbe un ruolo strategico durante la guerra civile in Siria.

Secondo quanto dichiarato dal Pentagono, Soleimani avrebbe guidato durante la sua carriera delle missioni con le forze Quds che hanno portato alla morte di più di 600 soldati americani tra il 2003 e il 2011. Inoltre, era nell’aria che Soleimani stesse escogitando degli attacchi contro diplomatici e militari americani in Iraq e in tutta la regione.

L’attacco all’ambasciata americana e la risposta di Trump


Infatti, il 31 dicembre 2019 l’ambasciata americana in Iraq è stata attaccata da dei manifestanti filo-iraniani, dichiarati dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo <<terroristi sostenuti dagli alleati iraniani>>. Dopo pochissimo tempo, il Presidente Trump ha dichiarato che l’Iran avrebbe pagato un caro prezzo poiché ritenuto <<pienamente responsabile delle vite perse e dei danni alle strutture>>. La risposta americana non si è fatta attendere:

essa si è manifestata il 3 gennaio 2020 attraverso l’attacco missilistico al convoglio di un’auto che aveva appena lasciato l’aeroporto di Baghdad. Dentro l’auto vi è poi stato ritrovato il corpo senza vita di Soleimani, identificato grazie al ritrovamento di un anello che portava al dito, e del suo braccio destro Abu Mahdi al-Muhandis.


“Il martire sarà vendicato con tutta la forza” ha annunciato con tono duro Mohsen Rezai, fondatore delle Guardie della rivoluzione.

La morte, o meglio l’attentato a Soleimani ordinato da Trump non ha fatto altro che innescare odio, risentimento e violenze ripetute, che hanno destato non poca preoccupazione da parte dei Capi di Stato mondiali, delle organizzazioni internazionali e della popolazione di tutto il mondo che ha temuto una guerra tra Stati Uniti ed Iran.

La promessa di vendetta per Qasem Soleimani

<<Morte all’America>>: è stato questo il grido di rabbia ripetuto da migliaia di manifestanti che sono scesi nelle strade di Teheran successivamente alla notizia della morte di Soleimani.

Nello stesso momento, la decisione di Trump di dare l’OK all’operazione contro Soleimani non ha accolto l’appoggio di tutti. Il suo principale avversario alle prossime elezioni presidenziali, Joe Biden, ha dichiarato che Trump <<ha lanciato una dinamite in una polveriera. Qasem Soleimani meritava di essere consegnato alla giustizia per i suoi crimini contro le truppe americane, ma il raid di Trump rischia di generare una pericolosa escalation. Il tycoon deve al popolo americano una spiegazione sulla strategia che sta seguendo. L’Iran risponderà sicuramente, potremmo essere sull’orlo di un grande conflitto in Medio Oriente>>. Nancy Pelosi ha affermato che il Congresso americano non è stato consultato preventivamente.


La risposta da parte degli esponenti della politica iraniana non si è fatta attendere. Il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif ha affermato che <<l’atto di terrorismo internazionale degli Stati Uniti con l’assassinio del generale Soleimani, la forza più efficace nel combattere il Daesh, Al Nusrah e Al Qaida, è estremamente pericolosa e una folle escalation. Gli Stati Uniti si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto>>.

La guida suprema iraniana Ali Khamenei ha chiesto tre giorni di lutto nel Paese affermando che l’uccisione del generale Qasem Soleimani raddoppierà la motivazione della resistenza contro gli Stati Uniti e Israele:

<<Il lavoro e il cammino del generale Qasem Soleimani non si fermeranno e una dura vendetta attende i criminali, le cui mani nefaste sono insanguinate con il sangue di Soleimani e altri martiri dell’attacco della notte scorsa>>. I Pasdaran annunciano: <<gli Stati Uniti comprino bare per i propri soldati>>.

La preoccupazione internazionale


Una crisi diplomatica di tale portata non ha lasciato inermi i Paesi mondiali. La Farnesina ha subito espresso un messaggio di riconciliazione: <<L’Italia lancia un forte appello perché si agisca con moderazione e responsabilità, mantenendo aperti canali di dialogo, evitando atti che possono avere gravi conseguenze sull’intera regione. Nessuno sforzo deve essere risparmiato per assicurare la de-escalation e la stabilità>>. Konstantin Kosachev, presidente della Commissione esteri del Consiglio della federazione russa, mette la parola <<”fine” a qualsiasi possibilità di salvare l’accordo nucleare iraniano>>.
Insomma, la situazione internazionale appare con non poche criticità dal profilo delle relazioni diplomatiche pacifiche riguardanti gli accordi economici e strategici.

Anche in questo caso, la politica estera di Trump ha attirato a sé molte critiche ed ammonimenti, oltre che aver reso più fitta la lista dei suoi oppositori.

Sembra ormai, nonostante il tentativo di mediazione effettuato dai Paesi firmatari dell’accordo sul nucleare e le organizzazioni internazionali quali l’Unione Europea, che non ci sia più alcun tentativo di riconciliazione tra USA e Iran sul piano del nucleare e delle relazioni di pace.

Martina Ratta per Questione Civile

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