Privacy: le origini di un diritto radicato nell’umano 

Privacy: il diritto alla riservatezza dalle sue origini nella giurisprudenza americana ed europea

Senza alcun dubbio, nel contesto giuridico europeo odierno quando si parla di diritto alla privacy, o di diritto alla riservatezza, si fa riferimento ad un diritto fondamentale di ogni essere umano. Il right to privacy è la prima manifestazione del riconoscimento giuridico e costituzionale di un’aspirazione propria dell’essere umano: il diritto a non mostrare la propria intimità che l’uomo acquisisce da quando ha contezza di sé. L’esigenza di riservatezza nasce, quindi, come esigenza di sicurezza, e la corporeità è l’elemento principale di questa tensione.

Però, il diritto alla riservatezza tende a declinarsi diversamente in base agli assetti sociali e ai rapporti tra i consociati. I confini di questa esigenza sono legati al contesto sociale, e al giorno d’oggi anche alle tecnologie disponibili: l’esigenza di riservatezza, infatti, cresce tanto più che le tecnologie permettono un’invasione nella propria sfera intima, e quest’ultimo punto è facilmente comprensibile ai più vista la massiccia presenza delle nuove tecnologie nelle vite di ciascuno di noi. Ed è proprio il cambiamento tecnologico a portare alla definizione del right to privacy negli USA, e del diritto alla protezione dei dati personali in Europa.

Privacy: un diritto di tutti?

Il riconoscimento della riservatezza come fattispecie giuridica autonoma si ha negli USA alla fine dell’800. A tal proposito, le origini del diritto alla privacy sono legate all’articolo del 1891 dal titolo “The Right to privacy”, pubblicato sulla Harvard Law Rewiev. Gli autori di questo articolo sono S.D. Warren e L.D. Brandeis. I due avvocati scrivono questo articolo mossi da un fatto personale. La moglie di Warren, infatti, è la figlia di un senatore repubblicano appartenente a una corrente repubblicana piuttosto conservatrice. Warren e la moglie sono soliti organizzare cene e feste nella propria abitazione con amici, e la signora è solita non attendere il marito per intrattenere gli ospiti. Sfortunatamente, alcune foto di lei che balla con un altro uomo vengono pubblicate sul giornale locale, al fine di attaccare il padre della signora, mostrando la sua presunta incoerenza tra il conservatorismo tradizionale familiare e l’educazione data alla figlia, molto progressista. 

Warren reagisce scrivendo questo articolo, in cui afferma che dovrebbe essere riconosciuto a livello costituzionale un diritto alla privacy come fattispecie autonoma. Un diritto che consiste nello ius excludendi alios, ovvero nella possibilità di escludere tanto i privati quanto i pubblici poteri dalla propria sfera più intima. Ma non solo: Warren tratteggia altresì i confini di questo diritto, nei quali rientra l’intimità domestica, ma non come libertà di domicilio, bensì come parte di una fattispecie autonoma, che può essere paragonata alla proprietà privata. 

Il ruolo della Corte Suprema americana nel riconoscimento del diritto alla privacy

Dopo queste prime teorizzazioni, inizia un percorso piuttosto lungo che arriva a delineare gli elementi caratterizzanti del right to privacy. Il riconoscimento del diritto alla privacy avviene per lungo tempo solo nel diritto privato, attraverso la configurazione di un illecito civile e l’estensione alla violazione della privacy delle azioni inibitorie e di risarcimento del danno.

Ma non solo. Nel caso del right to privacy, dalla ricostruzione dottrinale si arriva al riconoscimento della Corte costituzionale americana, che è la Corte Suprema. Si tratta della Corte di ultimo grado nel sistema americano, l’ultimo livello di giudizio in ambito penale e civile. Inoltre, poiché il sistema americano di giustizia costituzionale si fonda sul precedente vincolante, essendo la Corte suprema l’ultimo giudice, è quello che scioglie eventuali difformità interpretative, a livello di legittimità costituzionale, che si sono verificate nelle giurisdizioni minori. Quindi, quando parla la Corte suprema, quel precedente non può essere disatteso da nessun altro giudice. Di conseguenza, quando la Corte suprema riconosce un nuovo diritto, tutti gli altri giudici, a cascata, devono riconoscerlo.

A tal proposito, si menzionano due importanti sentenze in cui la Corte suprema rimane ferma sulla lettura originalista del diritto alla privacy, e poi una sentenza in cui, invece, cambia e dà inizio a una lettura evolutiva nel 1964. Ed è proprio in questo contesto che consideriamo la sentenza Kats v. USA.

Leading case: il caso di specie

Kats è un allibratore, e si serve di una cabina telefonica posta di fronte alla sua abitazione per ricevere le puntate. L’FBI, per ottenere le prove ed incriminarlo, decide di mettere delle microspie proprio nella cabina. Grazie alle intercettazioni, Kats viene condannato ma riesce a portare il suo caso fino all’ultimo grado di giudizio, dinnanzi alla Corte Suprema. Ed è qui che avviene l’impensabile: la Corte suprema, infatti, spiega che il quarto emendamento non protegge solo il domicilio, la corrispondenza, la persona fisica, ma anche più in generale la sua intimità, la sua riservatezza, la sua privacy. Quindi la Corte, attraverso una lettura evolutiva del dettato, pone la privacy nel quarto emendamento.

Inoltre, aggiunge che se un’azione governativa interferisce con la privacy, si tratta di valutare caso per caso se l’interferenza concretamente viola un divieto posto dalla Costituzione degli Stati Uniti, oppure, al contrario, se essa è legittima a tutela di un interesse costituzionalmente prevalente, come ad esempio la tutela della sicurezza nazionale. 

Diritto alla riservatezza: il ruolo della giurisprudenza italiana

Le Costituzioni nazionali europee, per la maggior parte, non contengono un diritto alla protezione dati, ma contengono il riconoscimento del diritto fondamentale alla riservatezza. Anche questa situazione, però, non è comune a tutti gli Stati europei: alcune Costituzioni riconoscono il diritto alla riservatezza, mentre solo poche, e quelle più recenti, enunciano il diritto alla protezione dei dati.

In questo contesto, la Costituzione italiana non riconosce né l’uno né l’altro. O meglio: il diritto alla riservatezza non è presente come fattispecie autonoma, ma è scomposto in una serie di disposizioni costituzionali. La giurisprudenza costituzionale, delle diverse Corti costituzionali europee, inizia a declinare a partire dagli anni ‘70 la riservatezza come diritto alla tutela dei propri dati personali. Per lungo tempo, dunque, il diritto alla protezione dei dati è un prodotto dell’evoluzione giurisprudenziale del diritto alla riservatezza.

Nel caso italiano, si affronta un problema ulteriore, legato al fatto che non esiste una norma costituzionale che sia dedicata alla riservatezza come fattispecie autonoma. Il riconoscimento è molto frammentato nel testo costituzionale, perché si preferisce parlare di riservatezza in connessione con specifiche disposizioni costituzionali. Queste sono la libertà personale (art. 13), la libertà di domicilio (art. 14), la libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15), la libertà di associazione (art. 18), e la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21). 

Quindi, il problema è quello di ricostruire il diritto alla riservatezza come fattispecie autonoma. E questa opera di ricostruzione avviene a livello giurisprudenziale, grazie all’attività dei giudici ordinari che si trovano a doversi esprimere in alcuni casi che scaturiscono dalla pretesa dei soggetti a far valere il loro diritto alla riservatezza. Ci sono 3 celebri decisioni giurisprudenziali che racchiudono questo percorso di riconoscimento: il caso Caruso, il caso Petacci e il caso Esfandiari.

Il caso Esfandiari e la celebre pronuncia della Corte di Cassazione

È con il caso Esfandiari che si ottiene il pieno riconoscimento del diritto alla riservatezza come fattispecie autonoma. 

L’imperatrice Soraya Esfandiari (ex moglie dello Scià di Persia) è ritratta in atteggiamenti intimi all’interno della propria abitazione in Costa Smeralda. Le foto sono pubblicate su un giornale scandalistico, e per questo motivo la Esfandiari cita in giudizio il giornale.

Con la celebre sentenza n. 2129/1975 la Corte di Cassazione dichiara che nella nostra Costituzione esiste un diritto alla riservatezza come bilanciamento del diritto di cronaca. Quindi, pone sullo stesso piano il diritto di cronaca, che è emanazione della libertà di espressione di cui l’art. 21, e il diritto alla riservatezza. In questo modo, riconosce implicitamente lo status costituzionale del diritto alla riservatezza. Ma non solo. La Corte aggiunge che anche le persone note abbiano diritto ad una sfera di riservatezza inviolabile. Infatti, in alcuni casi, può cedere, anche con riferimento alla persona nota, il diritto di cronaca e il caso in questione è proprio uno di quelli, perché anche le persone note hanno diritto a una sfera di riservatezza inviolabile, e individua nella propria abitazione il criterio per stabilire un limite al diritto di cronaca.

Conclusioni

Il passaggio dal diritto alla riservatezza al diritto alla protezione dei dati, in Italia e in Europa, è per gli studiosi e gli amanti della materia molto interessante. Nel caso italiano (e, del resto, di molti Paesi europei) non si completa autonomamente sul piano interno, perché la legittimazione costituzionale deriva in larga parte dal riconoscimento del diritto alla protezione dei dati in ambito CEDU e in ambito UE.

Il diritto alla protezione dei dati sorge nel momento storico in cui la tecnologia porta alla diffusione dei primi computer, che mostrano fin da subito delle enormi possibilità di calcolo e di archiviazione dei dati. In brevissimo periodo, quindi, si passa da enormi archivi cartacei, ad archivi elettronici di facilissima consultazione. È, dunque, l’innovazione tecnologica che porta ad una nuova declinazione dell’aspirazione del diritto alla riservatezza. Ma questa è un’altra storia che merita di essere raccontata nel prossimo articolo.

Martina Ratta per Questione Civile

Bibliografia:

S. Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, 1973, Il Mulino;

Sitografia:

garanteprivacy.it

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