La Carboneria italiana e gli ultimi tentativi rivoluzionari nella penisola
Oggi continueremo ad affrontare il tema dei moti rivoluzionari del 1820-21 nella penisola italiana, andando, così, ad aggiungere un ulteriore tassello alla rubrica dell’Archivio di Storia Contemporanea di Questione Civile XXI dal titolo: “Le rivolte indipendentiste tra il 1820 ed il 1848”.
La Carboneria, associazione segreta indipendentista e rivoluzionaria nata nel corso dei primi decenni del XIX secolo, non si presentò soltanto in Sicilia, dove il peso del potere della corona Borbonica era ormai insostenibile, e a Napoli, dove Guglielmo Pepe diede inizio ad una rivolta popolare per ottenere la concessione di una carta costituzionale da parte del sovrano.
La Carboneria, seppur a macchia di leopardo, si presentò ben organizzata in molte zone e regioni italiane, dalla Basilicata al Piemonte, Da Milano al Ducato di Modena e Reggio.
Il caso della Basilicata
Il medico Domenico Corrado e i fratelli Francesco e Giuseppe Venita furono i principali promotori delle rivolte carbonare nella regione della Basilicata. I tentativi rivoluzionari dei due fratelli consistevano nel spingere le genti della regione a sollevarsi in difesa della costituzione.
Le loro attività sovversive spinsero il governo borbonico ad inviare un reggimento capeggiato dal generale austriaco Roth, il quale li condannò a morte tramite fucilazione assieme ad altri membri rivoluzionari. Domenico Corrado, invece, fu condotto a Potenza prima di essere fucilato; tra il marzo e l’aprile del 1822 vennero inflitte tutte le condanne.
I moti carbonari a Milano
Una componente patriottica e critica verso il predominio austriaco partecipò ai moti rivoluzionari organizzati a Milano, fra i cui ispiratori promotori merita menzione Piero Maroncelli, il quale, in un secondo momento, venne fermato ed arrestato dalla polizia austriaca.
In seguito alla presa di possesso di alcuni documenti segreti, le autorità repressero l’insurrezione carbonara alla quale prese parte anche Federico Confalonieri: quest’ultimo venne catturato e rinchiuso nella Fortezza dello Spielberg, dove erano già custoditi da alcuni mesi Piero Maroncelli e Silvio Pellico, a seguito del celebre processo per cospirazione che li vede imputati, insieme ad altri membri dei moti carbonari, voluto dall’Impero austriaco.
Le repressioni portate avanti successivamente spinsero all’esilio molti patrioti italiani, come Antonio Panizzi. Essi proseguirono la loro azione rivoluzionaria anche all’estero, impegnandosi propagandisticamente e creando una rete di contatti con personalità straniere interessate ad intervenire e dare il proprio contributo per la causa carbonara in Italia.
Il caso del Ducato di Modena e Reggio
Nel Ducato di Modena e Reggio venne scoperta dalla polizia una congiura carbonara, la cui repressione si concluse con una sentenza di nove condanne a morte.
Sette condannati erano latitanti e furono perciò condannati all’impiccagione, mentre uno ebbe la pena convertita a dieci anni di carcere. L’unico giustiziato per decapitazione fu il sacerdote Giuseppe Andreoli.
Già da tempo in Piemonte, e in particolare a Torino, alcuni gruppi, di idee borghesi e liberali, avevano coltivato l’idea di una campagna militare, che avrebbe dovuto essere guidata dal re di Sardegna Vittorio Emanuele I di Savoia, allo scopo di liberare i territori italiani dalla dominazione straniera.
Inoltre, riteneva che il Re si dovesse impegnare a concedere ufficialmente una costituzione ai sudditi del regno, fatto che avrebbe testimoniato l’impegno dei Savoia ad allearsi con i patrioti e ad assumere la guida del movimento liberale italiano.
Tuttavia, fin dall’inizio del suo mandato, Vittorio Emanuele I si impegnò a restaurare in Piemonte e negli altri territori sotto il suo controllo un soffocante regime assolutistico, che contribuì ad andare in direzione opposta alle idee liberali della Carboneria e della borghesia in generale.
Il peso storico dei moti rivoluzionari in Piemonte
Come accennato poc’anzi, in Piemonte i rivoluzionari si misero alla ricerca di un nuovo alleato e fu il giovane erede al trono sabaudo, Carlo Alberto di Savoia, principe di Carignano, il nuovo perno del progetto rivoluzionario carbonaro al fine di indurlo ad assumere la guida dei moti indipendentisti.
Egli, infatti, era stato l’unico esponente della famiglia sabauda ad esprimere la propria solidarietà agli studenti universitari torinesi che, nel gennaio 1821, avevano organizzato contro l’Austria una manifestazione pacifica e liberale contro gli arresti avvenuti il giorno precedenti nei pressi di un teatro, manifestazione repressa subito nel sangue; per questo motivo, si pensò che Carlo Alberto avesse davvero a cuore la questione italiana.
I primi contatti si rivelarono più che positivi e sembrava che il giovane esponente di Casa Savoia avesse davvero intenzione di aderire all’impresa.
Le insurrezioni scoppiate in Spagna ed Italia meridionale nel 1820 contribuirono a rafforzare il patriottismo italiano, in particolare quello piemontese. I suoi sostenitori erano convinti che la loro rivolta sarebbe stata appoggiata e seguita dai patrioti carbonari siciliani e napoletani.
Inoltre, i patrioti piemontesi cercarono in ogni modo di sostenere militarmente gli omologhi napoletani, ma non vi riuscirono per motivi legati alla scarsa organizzazione ed alla tardiva notizia della partenza dell’esercito asburgico per il Regno di Napoli.
La figura predominante di Santorre di Santa Rosa durante i moti rivoluzionari
Durante la seconda metà degli anni Venti dell’Ottocento, Santorre di Santa Rosa, uno dei principali esponenti dell’organizzazione dei moti, portò avanti una serie di incontri, la maggior parte segreti, con alcuni generali, politici, tra cui Amedeo Ravina, e con il giovane principe di Casa Savoia per definire la data e le modalità della ribellione piemontese.
Dopo molte riunioni, si stabilì che la rivolta dovesse scatenarsi non prima dell’inizio del nuovo anno, in modo che l’esercito austriaco, ancora impegnato nella repressione dei moti di Nola e di Napoli dello stesso anno, non fosse subito pronto ad intervenire in quanto bisognoso di qualche tempo per riorganizzarsi. E così fu.
I rapporti tra Santorre di Santa Rosa e il Re Carlo Alberto di Savoia
Tuttavia Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio, e per questo motivo Santorre e i suoi associati fecero pervenire il messaggio di prossimo inizio della rivolta ai reparti militari di Alessandria.
Il 10 marzo, diedero inizio all’insurrezione issando la bandiera tricolore per la prima volta nella storia risorgimentale presso la Cittadella di Alessandria, insieme a quella carbonara, seguite subito dopo da quelle issate a Vercelli e Torino.
In quell’occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l’adozione di una costituzione. Essa fu improntata su quella spagnola di Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese e una riduzione del potere del sovrano.
Ma il Re piemontese, dopo aver tentato di convincere gli insorti all’obbedienza e ricevuto da Lubiana (sede istituzionale del Congresso convocato dalle forze europee della Restaurazione, avvenuto nel gennaio 1821, in seguito ai moti rivoluzionari dell’anno precedente, manifestatisi in Spagna, nel regno delle Due Sicilie e in Portogallo) le delibere delle potenze che negavano ogni sorta di innovazione liberale all’Italia, piuttosto che concedere il documento, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice di Savoia, che si trovava però a Modena.
La reggenza temporanea del regno venne così affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l’incarico, dapprima fu assalito da dubbi poiché non volle prendere decisioni senza consultare Carlo Felice. Premuto dai Federati concesse la Costituzione, nominò una giunta, concesse l’amnistia agli insorti e nominò Santorre di Santarosa Ministro della Guerra del governo provvisorio.
Le reazioni delle forze di Restaurazione
Il Congresso di Lubiana aveva deliberato di raccogliere delle truppe per riordinare l’Italia. Carlo Felice intimò a Carlo Alberto di raggiungere Novara, dove andava formandosi l’esercito di Vittorio Sallier De La Tour, per offrire i propri uomini; egli ubbidì e successivamente volendo raggiungere Carlo Felice a Modena gli fu negata la possibilità. Sull’entusiasmo suscitato dai moti torinesi, Alessandro Manzoni compose l’ode “Marzo 1821” celebrando quello che sembrava stesse accadendo: l’attraversamento del Ticino da parte dell’armata sarda in appoggio ai patrioti lombardi contro gli austriaci.
Di ritorno nella capitale, il nuovo sovrano revocò la costituzione e impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta.
Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l’Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara abbandonando gli insorti al loro destino.
Poche ore dopo Santorre di Santa Rosa, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa.
La fine delle aspirazioni rivoluzionarie
Privi di un appoggio, i membri del governo costituzionale decisero di sciogliersi. Fu proposto un nuovo tentativo di insurrezione a Genova, ma subito si decise di non intervenire. Inoltre, giunsero a Torino, come supporto all’esercito regio, plotoni austriaci che inflissero una pesante sconfitta alle forze costituzionali: il neonato governo cadde dopo neppure due mesi e il sogno dei rivoluzionari si infranse.
Fu così che venne repressa la prima ondata rivoluzionaria in Italia tra il 1820 ed il 1821. I risultati di questi moti ebbero sicuramente esito negativo, ma è innegabile che queste ribellioni abbiano spianato la strada ai movimenti culturali indipendentisti che si sono susseguiti negli anni seguenti. I moti carbonari del ‘20-’21 hanno rappresentato una prova di forza incredibile e di portata politica incalcolabile contro il potere indistruttibile delle corone europee, un nemico impossibile da vincere, senz’armi, senza eserciti, senza sostegno da parte delle masse popolari.
Alessio Fedele per Questione Civile