Sistemi politici italiani: i cinque modelli della storia unitaria

Sistemi politici italiani

Una disamina sui cinque sistemi politici italiani dall’Unità d’Italia del 1861 fino ai giorni nostri

Secondo molti politologi italiani, l’Italia avrebbe sperimentato il suo processo di democratizzazione con grave ritardo rispetto alle altre grandi democrazie occidentali. Le origini di questa anomalia vanno rintracciate sin dal processo di formazione dello stato nazionale e dalle condizioni sociali ed istituzionali in cui questo processo si è sviluppato.

Sono cinque i sistemi politici italiani individuabili con chiarezza nell’arco di centosessant’anni di storia dall’unità d’Italia ad oggi.

Gli esperti Luciano Mario Fasano, Professore Associato di Scienza politica presso l’Università degli Studi di Milano, e Nicolò Addario, già Professore Ordinario di Sociologia generale presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, ritegono che il sistema politico italiano possa essere classificato come una democraziasecond comer”.

Con questa definizione si vuole intendere che l’Italia avrebbe visto l’ingresso delle masse nell’arena politica prima ancora del riconoscimento liberale del diritto di opposizione.

In parole semplici, i partiti di massa sono stati integrati nelle istituzioni prima ancora di un efficace processo di liberalizzazione delle leggi dello Stato e della sua cultura politico-istituzionale.

Questo ha impedito l’affermarsi di una dialettica basata sul rispetto reciproco tra forze politiche, ha impedito la tutela giuridica ed istituzionale delle minoranze politiche e delle opposizioni parlamentari ed ha osteggiato, nei fatti, la regola democratica dell’alternanza di governo tra maggioranza ed opposizione, tipica degli Stati liberali avanzati di metà ottocento-inizi novecento.

I sistemi politici italiani: dal 1861 ad oggi
– N. 1
Questo è il primo numero della Rubrica di Area dal titolo I sistemi politici italiani: dal 1861 ad oggi, appartenente alla Macroarea di Politica ed Economia

Il “vertice” scisso del modello democratico

La politica moderna è costituita da diversi elementi acquisiti nel tempo ed incardinati costituzionalmente nei principi democratici dello Stato.

Primo fra tutti, è proprio la dialettica tra il governo (o maggioranza) ed opposizione (o minoranza), punto cardine che distingue la democrazia da ogni forma di potere pre-moderna, che si fondano su un “vertice unitario”, come nel caso dei grandi imperi basso-medievali e delle monarchie assolute, oppure su un “vertice frammentato”, come nei regimi feudali.

La democrazia non è una forma di potere a “vertice” unitario o frammentato, ma può essere classificata come forma di potere a “vertice scisso”, corrispondente ad un meccanismo di potere basato su una sistematica reversibilità dei rapporti di forza tra i partiti, che si alternano ora al governo, ora all’opposizione.

Il potere politico, non più assoluto ma ora relativo, presuppone che i partiti politici si riconoscano a vicenda nel loro legittimo ruolo di concorrere democraticamente per il potere legislativo ed esecutivo dello Stato.

Nei sistemi politici moderni “first comer”, cioè quelli che hanno sperimentato l’avvento della democrazia prima con il riconoscimento liberale del diritto di opposizione e poi con l’ingresso delle masse nell’arena politica, le élite politiche acquisiscono consapevolezza del valore della competizione democratica sviluppando così una cultura dello Stato e delle istituzioni.

L’Italia, proprio in quanto democrazia “second comer”, fatica storicamente a maturare questa consapevolezza.

Tutto ciò è all’origine della fragilità delle istituzioni democratiche italiane, della sua instabilità di governo e di un meccanismo politico che rintraccia nella delegittimazione dell’avversario un tratto distintivo ed inalienabile del sistema politico e partitico.

Secondo i politologi, in accordo con le tesi storiografiche e socio-politiche nel merito, le problematiche che attanagliano le istituzioni ed il sistema socio-politico dell’Italia post-unitaria e repubblicana hanno un minimo comune denominatore: l’Italia è uno Stato senza Nazione.

Sistemi politici italiani: la teoria delle fratture socio-politiche di Lipset e Rokkan

In Inghilterra, Olanda, in parte anche in Francia, e negli Stati Uniti, la diffusione dei sistemi politici moderni collima con la netta separazione tra politica istituzionale e società civile, con i suoi sistemi sociali che hanno costituito il fondamento delle culture occidentali.

Su questo essenziale processo storico e sociale, l’Italia è in netto ritardo.

Per comprendere la cause dietro questo ritardo, è necessario riprendere la teoria delle fratture socio-politiche del sociologo americano Seymour Martin Lipset e del politologo norvegese Stein Rokkan, i quali elaborarono nel 1967 un’interessante teoria sulla formazione dei partiti sulla base delle cosiddette «fratture sociali».

Con questo termine si intendono dei conflitti ed antagonismi latenti ed endemici all’interno della società, che emergono e si legittimano (o istituzionalizzano) attraverso la formazione dei partiti politici, la cui funzione predominante è quella di rappresentare, formulare e promuovere gli interessi degli aderenti (che rappresentano comunque solo una parte della popolazione complessiva).

Il modello elaborato dai due scienziati politici individua in particolare quattro fratture, responsabili del consolidamento del sistema di partito così come si presenta a noi oggi: frattura tra società urbana e società rurale; fattura tra laici e clericali; frattura tra centro e periferia; frattura di classe.

Nel caso concreto del nostro Paese, sarebbero due le fratture socio-politiche che influenzano negativamente lo sviluppo del sistema politico-partitico liberale in Italia. La prima è la frattura territoriale città/campagna, che fin dalla nascita dello Stato unitario coinciderà con l’opposizione modernità/arretratezza.

La seconda è la frattura confessionale Stato/Chiesa cattolica, che in origine assume la forma della nota “questione romana” e che successivamente si consolida in un tratto caratteristico della politica italiana e che in parte si sovrappone con la frattura modernità/arretratezza, con evidenti conseguenze sul “ritardo di modernità” della società e della politica italiana.

Il primo sistema politico italiano con l’avvento dello stato unitario

Applicando tutto questo su un orizzonte temporale di lungo periodo, dall’avvento dello Stato unitario ad oggi, è possibile evidenziare una certa ricorsività e permanenza di queste fratture socio-politiche nella storia d’Italia, considerato uno dei paesi occidentali più instabili sul piano politico e sociale.

Sono cinque i sistemi politici italiani individuabili nell’arco di centosessant’anni di storia unitaria.

Ogni sistema politico, infatti, si caratterizza di due elementi primari di indagine: i partiti politici con le relative dinamiche prodotte nel sistema politico e le consuetudini e regole di governo dell’epoca considerata.

Il primo sistema politico è quello che ha accompagnato gli italiani dalla nascita dello Stato unitario nel 1861 alla Grande Guerra del 1915.

Questa prima fase ha per protagonisti la destra e la sinistra storica ed il sistema politico è caratterizzato dal fenomeno del “trasformismo”, alimentato dall’assenza di una netta distinzione tra le visioni e le proposte politiche formulate dalla destra e dalla sinistra storica e destinato successivamente a consolidarsi come tratto peculiare della politica italiana.

Niente di più lontano dal parlamentarismo puro dello Stato liberale.

Il secondo sistema politico italiano antecedente alla deriva fascista

Il secondo sistema politico è caratterizzato dall’entrata in scena dei primi partiti ad integrazione di massa e cioè i socialisti nel 1892, i popolari nel 1919 ed i comunisti nel 1921 fino ad arrivare all’avvento del regime fascista, che ha soppresso lo Stato liberale per tutto il ventennio.

Una fase, questa, di profonda instabilità istituzionale, costituita, da una parte, dalle èlite politiche e sociali inerti e preoccupate di perdere potere, titoli nobiliari ed il controllo sullo Stato e, dall’altra, i partiti di massa che guadagnavano consensi nelle piazze e peso politico nelle istituzioni.

Questa è la fase in cui entrano in crisi i valori costitutivi e l’idea stessa di Stato liberale, che viene, di fatto, abbandonato dalle èlite politiche e sociali dell’Italia monarchica e sostituito con il sostegno all’autoritarismo fascista, avviato con l’omicidio di Giacomo Matteotti, Segretario del Partito Socialista Unitario, e la secessione dell’Aventino, protesta organizzata dalla Camera dei Deputati contro il delitto Matteotti e contro l’approvazione delle “leggi fascistissime” nel 1924.

Si tratta di una fase caratterizzata dalla paralisi parlamentare e politica tra liberali e socialisti, che, per veti ideologici ed interessi di partito, non trovano un’accordo per mettere in sicurezza le istituzioni democratiche e impedire l’ascesa del fascismo. Un vuoto di potere sfruttato al meglio dal Partito Nazionale Fascista.

A ciò si aggiunge la progressiva emarginazione del Partito popolare di don Luigi Sturzo, scavalcato dalle gerarchie ecclesiastiche dell’epoca in seguito all’intesa raggiunta con Mussolini sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole ed in seguito, dopo l’instaurazione del regime, alla firma dei Patti Lateranensi.

In foto: Camera dei Deputati della Repubblica Italiana

Il terzo sistema politico italiano

Questo sistema politico ha accompagnato gli italiani durante tutta l’era, giornalisticamente definita, “primo-repubblicana”.

Il terzo sistema politico si protrae per oltre quarant’anni e costituisce tutto il periodo storico noto come “Repubblica dei partiti”, o, impropriamente, “Prima repubblica”, che accompagna gli italiani dall’avvento della forma di Stato repubblicana agli scandali di Tangentopoli nel 1992.

In questa fase, la politica italiana è basata sulla centralità della Democrazia cristiana, unico core party e policy maker dalla I alla XI Legislatura italiana, e sulla conventio ad excludendum nei confronti del Partito Comunista Italiano, dando luogo a quello che tecnicamente i politologi considerano un multipartitismo ad elevata polarizzazione ideologica con assenza di competizione, a causa dell’impossibilità dell’alternanza di governo.

Si sviluppa, così, un sistema di governo che si trasforma da “governo di partito programmatico”, tipico dei primi governi guidati da Alcide De Gasperi, a “governo di partito spartitorio”, che ha caratterizzato gran parte delle legislature “primo-repubblicane”.

La teoria del “Party government”

Secondo la letteratura politologica, esistono quattro tipologie di “party government” o “core party” in cui i partiti controllano più o meno il processo di formazione delle politiche pubbliche, ne decidono più o meno i contenuti e stabiliscono più o meno chi debba attuarle ai vari livelli della pubblica amministrazione.

In primo luogo, il “governo di partito organico” ha pieno controllo su tutte le principali leve del potere e sulle risorse economiche, finanziarie ed amministrative dello stato, con un alto potere decisionale sulle nomine ed un alto livello di controllo sull’indirizzo politico.

In secondo luogo, il “governo di partito programmatico” ha un’alta capacità di indirizzo politico e una più bassa capacità di nomina, ha controllo del contenuto delle politiche pubbliche ma non controlla i vertici dell’amministrazione, che è soggetta più ad una autoregolazione burocratica.

Gli esperti indicano una terza forma, il “governo di partito spartitorio”, che presenta un basso potere di indirizzo politico, ma alto potere di nomina nella pubblica amministrazione. Non c’è grande influenza e controllo sulle politiche pubbliche, ma nell’apparato statale sono presenti dirigenti e personalità legittimate e sostenute dal core party. Si verifica un evidente paradosso istituzionale a causa dell’asimmetria tra la politica di partito e l’effettiva politica pubblica messa a terra.

Il “governo di partito residuale”, per finire, non ha né elevato potere di nomina né capacità di indirizzo politico. Il party government non ha più prerogative e l’unico potere rimasto in piedi è quello di selezionare i candidati da presentare nelle liste elettorali.

Gli ultimi due sistemi politici italiani: da Tangentopoli al governo Conte I

Il quarto sistema politico corrisponde alla fase nota agli scienziati politici come la “transizione incompiuta”, che va dalla crisi dei partiti ad integrazione di massa del 1992 (che ha visto prima la Democrazia cristiana e il Partito socialista italiano, che cadono sotto le inchieste del pool di Manipulite, poi del Partito comunista italiano, che, dopo il crollo dell’URSS e la svolta della Bolognina, aveva già cambiato nome in Partito democratico della sinistra) e dall’ingresso di Silvio Berlusconi in politica del 1994 fino all’insediamento del governo tecnico guidato da Mario Monti nel 2011.

Un sistema politico, questo, caratterizzato dall’incapacità dei partiti di compiere quella transizione da una “Prima” ad una “Seconda” repubblica, senza che si producessero le riforme istituzionali necessarie in direzione di una democrazia competitiva e basata sulla regola dell’alternanza. A ciò si aggiunge il totale fallimento della “Rivoluzione Liberale” annunciata da Berlusconi.

L’ultimo sistema politico

Il quinto, ed ultimo, è quello che accompagna oggi gli italiani e che fatica, per diversi aspetti, a prendere forma. Questa fase si insedia dopo il terremoto elettorale del 2013 e l’affermazione del Movimento 5 Stelle, che, di fatto, ha segnato l’avvio di un tripolarismo instabile con assenza di un vero core party.

La caratteristica principale di questa fase è l’instabilità di governo e del Parlamento: basta analizzare la composizione e la durata del governo Letta, il “governo delle larghe intese” di Renzi, poi il governo Gentiloni, fino al governo formato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle, con un premier, Giuseppe Conte, che manca di peso politico e due vicepremier come Luigi Di Maio e Matteo Salvini fortemente politicizzati.

Questo sistema evidenzia una forte frammentazione politica tra partiti della stessa coalizione così come tra correnti dello stesso partito, una fase, questa, caratterizzata dalla sempre crescente volatilità elettorale e da una profonda crisi di legittimazione dei governi, degli attori e delle istituzioni che hanno portato alla manifesta fine del bipolarismo politico e alla strutturale instabilità dei governi italiani.

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

Nicolò Addario – Luciano M. Fasano, “Il sistema politico italiano. Origini, evoluzione e struttura“, 2019, Editori Laterza

“Partiti politici e sistemi di partito”, di Stefano Bartolini, www.treccani.it

www.ultimavoce.it

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