Diritto di Platone: autorità e definizione

Diritto di Platone

Il principio di autorità e la definizione concettuale del diritto di Platone

Nella ricerca nel merito della prima vera dottrina nell’antichità pre-cristiana sufficientemente compiuta nell’ambito del concetto di natura, di diritto e delle sue fonti bisogna tenere in considerazione il contributo determinante e inconfutabile del pensiero platonico e della rilevante influenza nel campo della filosofia politica e del diritto delle tre principali opere: la Repubblica, il Politico e le Leggi.

Senza dubbio nelle opere platoniche prevalgono gli interessi politici, poiché Platone era deluso dal governo dei Trenta e dai rispettivi abusi dell’oligarchia ed era sfiduciato dal regime democratico che aveva ucciso il suo maestro Socrate.

Egli era consapevole del fatto che l’azione politica diretta, seppur la migliore, risulta non praticabile perfino nella città di Atene e che non si può fare a meno, al fine di dare un contributo determinante allo sviluppo ed all’ottimizzazione della gestione della res publica, di valorizzare l’educazione dei cittadini del futuro.

Al fine di perseguire tale scopo, Platone decise di fondare l’Accademia e attraverso la filosofia e lo sviluppo del pensiero avrebbe fornito un contributo nell’educare alla res publica.

Tant’è che, di fatti, è comune considerare che egli sia diventato filosofo solo attraverso e per la politica. Nel merito delle opere platoniche non risulta utile esaminare gli elementi teorico-politici, bensì è doveroso soffermarsi sugli elementi meramente giuridici del suo pensiero.

Come già affermato nel precedente articolo (clicca qui), già nel Protagora e nel Gorgia si possono trovare dei riferimenti di rilevanza gius-filosofica.

In generale nelle teorie del diritto dei sofisti è possibile rintracciare qualche elemento particolare, ma è nelle tre opere fondamentali sopra menzionate che ritroviamo la teoria di Platone sul diritto.

“Le tracce delle dottrine del diritto nel pensiero platonico”
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Questo è il primo numero della Rubrica di Area dal titolo “Le tracce delle dottrine del diritto nel pensiero platonico“, appartenente alla Macroarea di Diritto

Le tre opere inerenti il diritto di Platone

Dunque, procedendo in ordine, la Repubblica consiste in un dialogo sul diritto e sulla giustizia. Due elementi, questi, sovrapponibili nel pensiero platonico, in cui, peraltro, viene posta una riflessione sia in chiave individualistica che in chiave collettivistica del concetto di giustizia, in quanto Platone dapprima discorre della giustizia del singolo ed in seguito della giustizia estesa allo Stato.

In quest’opera l’autore descrive la sua idea di Stato perfetto, che non esiste in alcun luogo, dei suoi principi costituzionali, dell’educazione ideale dei cittadini, dei regimi politici imperfetti e relative degenerazioni (oligarchia, timocrazia, democrazia e tirannia), delle rivoluzioni che conducono da un regime all’altro e dei tipi di uomo-cittadino che vi corrispondono.

Per quanto riguarda il secondo, il Politico, considerata una delle opere più recenti di Platone, consiste in un dialogo tra “Socrate il giovane” e lo “Straniero” nel merito dell’essenza della scienza politica, all’interno del quale non viene analizzata soltanto la funzione del monarca ma ritroviamo in esso i riferimenti al concetto platonico di “giustizia” e al ruolo delle leggi dello Stato.

Le Leggi, invece, costituisce l’ultima opera, rimasta per di più incompiuta, e, sempre in forma di dialogo, Platone avanza una discussione che ha per oggetto lo scopo, i fondamenti dell’autorità e i mezzi necessari per analizzare quali leggi siano buone e quali non lo siano.

Contrariamente a quanto affermato nel primo dialogo considerato, l’ideale città-Stato platonica pare cambiare fattezze e principi, ma, ad ogni modo, rimane ancora poco chiara quale sia la posizione di Platone nel merito dell’essenza del diritto.

L’essenza del diritto di Platone

A tal proposito, senza ombra di dubbio, fornirne una definizione coerente ed inconfutabile risulta di per sé la cosa più astratta e complessa di tutta la filosofia del diritto.

Questo perché appare arduo comprendere la coesistenza di concezioni estremamente diversificate del diritto e che tra loro divergono non solo sul piano teorico ma anche su quello pratico della sua applicazione.

Nella riflessione che si intende affrontare non è rilevante partire aprioristicamente dal presupposto che esista un’essenza del diritto in quanto tale e che l’ontologia giuridica cercherebbe di spiegare.

A questo livello di analisi, dando per appurato che non sia cosa impossibile ed inopportuna ricercare la definizione “reale” di diritto, bisogna comunque tenere in considerazione il fatto che nei secoli il diritto è stato delimitato da una moltitudine di frontiere (le scienze giuridiche, la morale, la religione, l’economia, la scienza dei costumi, l’attività legislativa, la discrezionalità del giudice, i regimi politici, ecc.), le quali hanno fatto sì che fosse in preda a innumerevoli variazioni sul piano applicativo e concettuale.

Nonostante nel pensiero platonico ritroviamo a ragione una mescolanza di elementi giuridici con quelli politici, risulta sufficientemente praticabile la ricerca della definizione che Platone fornisce del diritto.

Infatti, in accordo con quanto detto nel Politikós, la missione dell’uomo politico è la scoperta del giusto (dikaion) e delle leggi (nomói), le quali ne costituiscono la sostanza pura e da cui si può evincere la concezione definitiva attribuibile al suo autore.

La concezione platonica del diritto

Ma la concezione che Platone fornisce del diritto non presenta neanche lontanamente una matrice positivista, tant’è che, sempre nel Politico, egli paragona i decreti ingiusti dell’assemblea popolare alle ricette mediche provenienti da un’assemblea di ignoranti qualsiasi che, quindi, non andrebbero nemmeno considerate.

Nelle Leggi, possiamo trovare una formula di cui l’autore si serve più volte: la legge ingiusta, malvagia, non è una legge, dunque non è diritto.

È evidente, quindi, come Platone sia fautore di una concezione di matrice giusnaturalista, poiché rifiuterebbe con vigore la definizione giuspositivista secondo cui il diritto sarebbe l’insieme delle regole emanate dal legislatore.

Inoltre, stando a ciò che è scritto, rifiuterebbe anche di accettare la concezione secondo cui il lavoro del giurista si limiterebbe alla conoscenza dei codici, degli ordinamenti e alla sterile applicazione delle leggi.

Per l’autore il giurista deve certamente operare in questi termini ma sempre partendo dall’analisi della giustezza della legge, vale a dire l’idoneità e l’aderenza della legge (nomói) al giusto (dikaion).

Dunque, il compito del giurista è perseguire il bene, secondo Platone, che si profila come giustizia.

Poiché nella lingua greca antica esiste un solo termine (dikaion) per indicare sia il diritto che il giusto in quanto tale, appare inevitabile identificare il diritto con la giustizia, donando così alle opere platoniche, nel merito di un’analisi strettamente giusfilosofica, una identificazione e definizione del diritto riconducibile alla dottrina del diritto di natura (o diritto naturale), che verrà in seguito sviluppata dall’allievo Aristotele e dall’eclettismo romano, sulla scorta della mescolanza tra stoicismo medio ed aristotelismo, di Marco Tullio Cicerone.

Il concetto di giustizia come virtù umana

A tal riguardo è corretto ricordare come tutta la Repubblica sia basata sullo studio, secondo i diversi profili che Platone ha voluto evidenziare, della giustizia, che consisterebbe nella virtù che attribuirebbe a ciascuno la parte che gli spetta (suum cuique tribuere) e che deve essere esercitata sia nell’interiorità dell’uomo, sia all’interno della comunità sociale.

In quest’opera l’autore affronta sia temi politici, che temi attinenti alla morale individuale.

Tant’è che ha inizio con una discussione su chi sia l’individuo giusto, seguito dalla descrizione di una città giusta. Successivamente si contano interi libri dedicati alla pedagogia, prosegue con il parallelismo tra le comunità degenerate e gli uomini degenerati che gli corrispondono e, per finire, termina con l’affrontare il tema dell’immortalità dell’anima.

Appare vitale, ai fini di una completa, seppur generale, analisi dell’opera, soffermarsi sull’unione indissolubile della dimensione della giustizia individualistica, intesa dal filosofo come sottomissione delle pulsioni e degli istinti al cuore e di questo alla ragione, con quella della giustizia collettivistica o sociale, intesa come subordinazione gerarchica delle classi lavoratrici ai guerrieri e di questi ai filosofi.

Tale per cui, secondo Platone, il giusto regime costituzionale è solo quello in cui gli uomini accettano la subordinazione delle passioni e degli istinti al coraggio ed alla ragione.

Oltre che nella Repubblica, anche nelle Leggi vengono enunciati gli scopi delle norme, con particolare riguardo al primo e più importante di tutti: la virtù degli uomini.

Già, poiché secondo il filosofo greco la legislazione non avrà come obiettivo solo le successioni, le proprietà e i contratti.

Il diritto avrà come obiettivo anche la pietà, l’educazione ed il buon costume civico, la dialettica, la musica, la ginnastica, l’arte, dunque l’identità e l’accrescimento morale e culturale di una data comunità, oltre che la sterile regolazione dei rapporti intersoggettivi, tipico dell’accezione positivistica del diritto e della giustizia.

Analisi conclusive sul diritto di Platone

Dunque, si potrebbe affermare con certezza che Platone sostiene un’idea di diritto che coincide sul piano concettuale con la giustizia e che entrambi sono orientati verso la medesima direzione finalistica, che è la virtù degli uomini in società.

Certo è, però, che Platone non fornisce una definizione arbitraria e definitiva del diritto, come del resto di tutti gli elementi oggetto di indagine nelle sue opere, come la politica, per citare un esempio.

Piuttosto, ci fornisce la sua idea su qual è l’essenza di questi elementi, fondamentali e propedeutici all’esistenza stessa degli uomini e della loro organizzazione sociale.

Senza ombra di dubbio, la comprensione della concezione platonica del diritto risulta assai complessa per i nostri temp. Il significato che oggi fornisce del diritto, tradisce malamente gli scopi che Platone aveva brillantemente indicato, anche se il suo lavoro è stato comunque ripreso nel corso della storia da S. Agostino e dalle teorie gius-filosofiche dell’Alto Medioevo.

L’indagine sulla teoresi platonica continua!

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

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