Fonti del Diritto: la teoria giuridico-politica di Platone

Fonti del Diritto: analisi de “La Repubblica”, “Il Politico” e “Le Leggi”

Continuando l’indagine iniziata nel presente Archivio nel merito del diritto naturale classico e delle sue declinazioni teoriche e pratiche, riprendiamo, sulla schiera del precedente articolo (clicca qui), il contributo determinante e inconfutabile del pensiero platonico, ben noto agli studiosi, analizzando la sua riflessione nel merito delle fonti del diritto rintracciabile nelle sue tre principali opere: la Repubblica, il Politico e le Leggi.

Parte degli articoli pubblicati nel presente archivio sono estratti del mio lavoro sperimentale dal titolo “Lo Stoicismo giuridico di M. T. Cicerone”, che rientra nell’area scientifico-disciplinare della filosofia del diritto, completata il 20 marzo 2020. Uno dei principali testi che ho adottato per la ricerca, lo studio e la stesura del lavoro è “La formazione del pensiero giuridico moderno” (1986, Editoriale Jaca Book spa, Milano) di M. Villey.

“Le tracce delle dottrine del diritto nel pensiero platonico”
-N.2
Questo è il secondo numero della Rubrica di Area dal titolo “Le tracce delle dottrine del diritto nel pensiero platonico“, appartenente alla Macroarea di Diritto

Il diritto naturale di Platone

Al fine di une coerente avanzamento analitico nel merito della dottrina giuridica classica, è necessario prendere in considerazione le tesi di Platone sulle cosiddette “fonti del diritto”. Egli, come vedremo in seguito, non si è limitato a fornire un’ampia dottrina sulle fonti del dikaion inteso nella sua accezione naturalistica, ma al contrario, ha mostrato un approccio sensibilmente realista fornendoci una saggia teoria anche delle leggi che noi, oggi, definiremmo “positive”.

Come ho accennato nelle pubblicazioni precedenti, per il filosofo greco il lavoro del giurista ha come scopo quello di valutare l’aderenza del nomos al giusto. Questa, di per sé, risulta essere una posizione che lo pone ad una distanza incalcolabile dall’approccio giuspositivista, che oggi, invece, rileviamo essere diffuso e preponderante nella attuale narrazione dottrinale giusfilosofica.

Infatti, come afferma anche M. Villey, «il solo diritto, ciò che solo merita il nome di legge, (per Platone) è ciò che è stato scoperto dall’uomo in possesso di un’arte ben precisa, che non si basa su tentativi empirici, ma come vien detto all’inizio del Politico, si fonda su una scienza speculativa, la scienza del dikaion». Tant’è che Platone si pone in antitesi con i decreti dell’assemblea popolare, nonostante sia del tutto estraneo al volontarismo, al contrattualismo sociale ed alle teorie filosofico-politiche della democrazia moderna.

L’approccio metodologico di Platone

Molti studiosi tendono a collocare Platone tra i filosofi sostenitori del diritto naturale, ma, dando per assodato l’equivocità del termine, non ancora definitivamente e completamente sviluppato sul piano speculativo, per lo meno sicuramente sino alla contemporaneità dell’autore, la verità è rinvenibile nell’analisi della metodologia platonica.

Egli invita a ricercare il giusto mediante l’osservazione obiettiva del mondo, tale per cui si può affermare che il suo metodo di ricerca è cosmico, come sostiene Jacques Maritain, poiché si alimenta alla visione del cosmo, all’universo che ci circonda. Questo potrebbe essere considerato un approccio giusnaturalista di per sé, il quale ci permette di percepire, seppur prematuramente, gli elementi costitutivi della teoria generale platonica delle fonti del diritto.

Questo approccio si pone in netta antitesi con il metodo kantiano, spiccatamente soggettivo, che si propone di ricercare i principi della giustizia attraverso la forzatura deduttiva che muove controcorrente, dal proprio intelletto al mondo circostante.

La rottura con i sofisti: metodologia e fonti del diritto

È da chiarire, però, che il metodo giusnaturalista (qui inteso come quello adottato dai sofisti) viene utilizzato e raccomandato da Platone solo fino ad un certo livello di analisi, poiché, nella qualificazione della sua dottrina, egli non ha mai adoperato l’espressione “nómos katà physin, dikaion physikón”, ossia “legge secondo natura, diritto naturale” (adottata invece dai sofisti e che egli stesso ripudiava fermamente).

In un passo delle Leggi , infatti, l’autore si propone di offrire una riformulazione del concetto di natura, in opposizione allo sconfinamento materialistico dei sofisti stessi: egli sviluppa una nuova teoria del diritto come “dedotto dalla natura” (da cui potrebbe evincersi il platonico dikaion physikón).

A tal proposito, per fare degli esempi, nella Repubblica e nelle Leggi, Platone difende un programma legislativo audacemente a favore della parità di genere tra uomo e donna, non rilevandone nella loro intima essenza differenze ontologiche, tale per cui condividono la stessa natura (physis). Sempre nelle Leggi, la pederastia viene duramente condannata da Platone come qualcosa che va appunto “contro natura”.

E lo stesso metodo di approccio potrebbe essere esteso, senza pervertimenti teoretici, anche alle fonti del diritto, le quali, per l’appunto potrebbero esser “dedotte dalla natura”.

Si comprende, dunque, come l’osservazione platonica parta dal mondo esteriore, dalla physis, perciò, in accordo a quanto affermato nella Repubblica, uno degli assiomi sanciti dall’autore è proprio la constatazione che l’unico ad avere la competenza necessaria per osservare il mondo è il filosofo. Infatti, Socrate stesso, che guida la discussione nella Repubblica, è considerato il filosofo per eccellenza. Ecco perché il legislatore ideale sarà il filosofo e non il giurista (questo viene ribadito sia nelle Leggi che nella Repubblica).

La declinazione politica del diritto: il mito della caverna

Sotto il profilo dell’avanzamento speculativo della teoria del diritto di Platone, nonostante una riformulazione compiuta del concetto di natura e di diritto dedotto dalla natura, l’approccio giusnaturalista sembrerebbe via via arrestarsi ad un certo livello della sua riflessione, in particolare quando, nel settimo libro della Repubblica, avanza un’analisi sulla formazione dei futuri custodi della città citando la celebre allegoria della caverna.

Infatti, i prigionieri della caverna vedono soltanto le ombre delle cose, ma attraverso una dura ascensione (figura riconducibile alla dialettica), alcuni evadono dalla caverna e riescono a percepire le cose nella loro verità, rendendosi conto che è il Sole ad illuminarle (simbolo della giustizia, del bene, di Dio).

Dunque, il metodo che l’uomo politico deve adottare, secondo Platone, per la scoperta del giusto è incentrato sull’evasione dal mondo delle apparenze sensibili percepite dal corpo, considerate il vero e proprio ostacolo alla conoscenza, per elevarsi al mondo delle idee intelligibili e conoscere il mondo secondo verità e giustizia.

Il diritto ideale e le fonti del diritto

Sulla scia di questo ragionamento, nelle Leggi, egli sostiene che il filosofo, al termine di una lunga ascesa purificatrice, essendo sotto l’ispirazione divina, innamorato del mondo delle idee, scopre le leggi. Poiché intende dedurre il giusto non dalla semplice osservazione della natura ma dalle idee, alle quali si arriva senza ombra di dubbio attraverso la physis, il diritto di Platone finisce per essere considerato e definito, a causa di questa stessa conclusione teorica, non tanto come naturale, bensì come diritto ideale, finendo per individuare nel mondo delle idee anche le fonti del diritto.

Appare necessario evidenziare, come ho accennato precedentemente, che Platone concepisce norme giuridiche anche molto esigenti ed anche, per certi versi, di rilevabile peso sul piano normativo. Ciò, nonostante la sua teoria costituzionale sul “filosofo-re”, nonostante lo spiccato approccio di matrice pseudo-socialista, nonostante la tendenza evidente alla predilezione di politiche di genere paritarie ed egualitarie, nonostante la ferma condanna della pederastia (quantomeno per il mondo greco), che risultano essere tutti elementi innovativi, anzi, piuttosto utopistici per la società ellenica del tempo.

Peraltro, anche gli autori che in epoche successive si sono ispirati alle opere platoniche, come Sant’Agostino e, più tardi, Tommaso Moro e Tommaso Campanella, finiranno per essere considerati degli utopisti.

Ma quindi il diritto di Platone e conseguentemente la declinazione pratica dal punto di vista giuridico e politico, come si presenta in linea generale? al centro della sua dottrina avremo una prevalenza del diritto naturale o del diritto positivo? O paradossalmente nessuno dei due?

Questo sarà l’oggetto di indagine del prossimo articolo!

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

Le immagini utilizzate appartengono ai legittimi proprietari:

Immagine n. 1 – Il mito della caverna in un’incisione del 1604 di Jan Saenredam.

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