Mercantilismo: la prima teoria economica moderna

Mercantilismo

Il mercantilismo: la prima teoria politico-economica della storia dell’umanità

Dopo il corollario introduttivo sulle origini delle teorie economiche moderne (clicca qui), ci soffermiamo sulla prima vera teoria economica: il mercantilismo ed i suoi principi di base che hanno caratterizzato le economie più forti a partire dal secolo XVI. Per farlo utilizzeremo le lenti dell’analisi storica e teorico-economica.

Gli assunti di base del mercantilismo

Questa teoria economica, la prima che possa realmente essere considerata tale, nasce in Inghilterra come una corrente culturale fra il XVI secolo e la prima metà del XVIII secolo.

Il ‘mercantilismo’ risulterebbe rappresentare più che altro un orientamento di “teoria della politica economica” basato sul presupposto secondo il quale l’obiettivo ultimo della politica economica deve essere la potenza dello Stato.

In questo frangente teorico e soprattutto in ragione degli stili e degli strumenti economici dell’epoca moderna, l’indicatore della potenza dello Stato era l’attivo della “bilancia del commercio” (ovvero la differenza fra valore delle merci esportate e valore delle merci importate).

Per cui, secondo questa teoria la politica economica di uno Stato deve mirare a raggiungere l’attivo permanente della bilancia del commercio.

Gli autori mercantilisti, che di certo non erano economisti nell’accezione corrente del termine, bensì erano mercanti, banchieri, letterati, scrivono nella fase di consolidamento istituzionale e teorico-politico dello Stato nazionale.

Bisogna ricordare che, secondo molti storici e teorici-politici, lo Stato nazione ed il principio di sovranità si sono sviluppati entrambi a partire dalla fine della Guerra dei Trent’anni in Europa.

Inoltre, sarebbe plausibile anche rintracciarne un evento cronologicamente collocabile: la firma dei trattati di pace di Westfalia nel 1648.

Il principale problema per i governanti dell’epoca è l’acquisizione di risorse finanziarie, finalizzate all’ammodernamento degli equipaggiamenti e all’ampliamento ed alla preparazione degli eserciti per affrontare campagne di difesa o di attacco bellico al fine del consolidamento e dell’espansione dello Stato territoriale.

In quest’ottica, l’attivo della bilancia del commercio, fungendo da garanzia per i sovrani per quanto riguarda la quantità di moneta circolante per finanziare le guerre, può ragionevolmente costituire il fine ultimo della politica economica.

Le fasi evolutive del mercantilismo

All’interno del mercantilismo esistono significative divergenze, per cui, trovare una visione organica e condivisa del funzionamento dei processi economici diventa difficile se non impossibile.

Nel Cinquecento si colloca la prima fase del mercantilismo, denominata “bullionismo” (dall’inglese “bullion”, oro o argento in verghe).

Questo approccio si caratterizza per l’attenzione per i fenomeni monetari e per l’importanza della relazione tra quantità di metalli preziosi e ricchezza dello Stato.

Questa fase è considerata quindi “primordiale” dal punto di vista della complessità teorica.

Questo primo approccio, però, a lungo termine provoca quella che in dottrina economica viene chiamata “illusione crisoedonica”.

Quest’ultima consiste nell’illusione generata dal compiacimento immediato in seguito alla riuscita di un’operazione commerciale che abbia avuto come fine l’ottenimento di metalli preziosi.

La seconda fase, propria del Seicento, ha come caratteristica principale la consapevolezza delle conseguenze dirette dell’economia reale sulla ricchezza generale di uno Stato.

I principali esponenti di questo periodo di transizione ed evoluzione di pensiero sono l’inglese Thomas Mun, Direttore della Compagnia delle Indie Orientali, e autore di “England’s Treasure by Foreign Trade” del 1630, e ancor prima l’italiano Antonio Serra, autore del “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere con applicazione al Regno di Napoli” del 1613.

La terza fase, in larga misura coincidente con l’era culturale e politica dell’Illuminismo settecentesco, è caratterizzata invece da una più diffusa sensibilità verso le condizioni di vita dei ‘meno abbienti’ e di coloro che versano in condizioni di vita precarie.

La prima teoria mercantilista in ambito commerciale  

La prima teoria mercantilista, tipica del Cinquecento, si basa sulla convinzione che il commercio internazionale sia una situazione in cui il guadagno o la perdita di uno Stato è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro Stato in una somma uguale e opposta, dando per assunto che la quantità di risorse monetarie (X) sia un dato da considerare su scala globale.

L’acquisizione di moneta da parte del paese A non può dunque che comportare una riduzione di pari proporzione della moneta disponibile nei paesi B. La politica economica per garantire il surplus della bilancia del commercio ritiene necessario l’incremento dell’importazione di moneta tramite l’incremento delle esportazioni delle merci.

La seconda teoria mercantilista in ambito commerciale

Un’altra teoria, elaborata nel Seicento, si fonda invece sul principio che l’attivo della bilancia del commercio può essere ottenuto solo attraverso l’aumento della produzione interna.

Cioè, incentivando l’importazione di materie prime, si attiva una maggiore produzione interna, il che consente di esportare un maggior volume di merci, attraverso la lavorazione delle materie prime importate, mantenendo così permanentemente attiva la bilancia del commercio.

Quindi aumentare l’importazione delle materie prime per aumentare le esportazioni di merci ad altri Paesi avrebbe provocato l’aumento della moneta circolante e quindi della ricchezza assoluta dello Stato.

L’idea mercantilistica di ottenere un attivo permanente della bilancia del commercio fu criticata da David Hume e da Cantillon, con la seguente valutazione: un Paese che abbia, al tempo t, un’eccedenza di esportazioni rispetto alle importazioni si troverebbe ad avere un maggiore afflusso di moneta al suo interno.

L’aumento della moneta circolante comporterebbe un aumento del livello generale dei prezzi, stando alla teoria quantitativa della moneta. L’aumento dei prezzi renderebbe meno competitive le esportazioni e invece renderebbe più conveniente, per i consumatori, acquistare beni dall’estero.

Di conseguenza, esportazioni e importazioni tenderebbero al pareggio, dimostrando così l’impossibilità logica dell’obiettivo dell’attivo permanente della bilancia del commercio.

La teoria economica di thomas mun

In contrasto a questa visione, largamente predominante tra gli studiosi dell’epoca, si pone Thomas Mun, il quale prospetta l’idea che l’esportazione di moneta possa produrre benefici alla bilancia del commercio.

Il principio viene spiegato ricorrendo all’analogia della semina e della mietitura, cioè si può dimostrare che questa pratica consiste semplicemente nel convertire moneta in merci per poi riconvertire merci in moneta.

Il risultato consiste nell’incrementare le esportazioni di manufatti e di evitare l’aumento dei prezzi interni, che andrebbe a penalizzare la competitività delle esportazioni.

La teoria di Mun sarebbe assolutamente in linea con gli interessi nazionali.

La terza teoria mercantilista in ambito commerciale

La terza teoria diffusa già alla fine del Seicento è basata sul principio che sia possibile mantenere l’attivo della bilancia del commercio mediante lo scambio di prodotti con diversa potenzialità produttiva.

Si suggerisce, cioè, di favorire l’esportazione di beni di lusso, i quali hanno già esaurito la loro potenzialità produttiva (non potendo essere oggetto di ulteriore lavorazione, non sono suscettibili di aumento di valore) e di importare beni che possano generare occupazione aggiuntiva (materie prime e beni-salario).

L’acquisizione di manodopera qualificata rientra in questa strategia. Anche per questa ragione, questa teoria è nota come teoria della “bilancia del lavoro”.

Il mercantilismo alla base del protezionismo economico

Il mercantilismo quindi è strettamente associato a politiche economiche di matrice protezionistica, dunque all’imposizione di massimali di importazione e di dazi.

Mun, in particolare, evidenzia la possibilità di ritorsioni da parte dei Paesi coinvolti negli scambi commerciali, dal momento che se si ritiene conveniente per il singolo Paese adottare misure di protezione, gli altri Paesi possono fare altrettanto, ostacolando il raggiungimento dell’obiettivo dell’attivo della bilancia del commercio.

La prima teoria della crescita economica nell’epoca mercantilista

La prima teoria, elaborata nella prima metà del Seicento, si basa sulla convinzione che la crescita economica sia trainata dai bassi salari.

Dunque, assunto che la produzione aumenti all’aumentare delle ore di lavoro, l’obiettivo della crescita economica può essere innanzitutto raggiunto comprimendo il salario orario. La riduzione del salario orario, infatti, funzionerebbe come strumento di ‘disciplina’ dei lavoratori, dal momento che li obbliga a una maggiore quantità di ore lavoro per ottenere il salario desiderato.

La crescita economica si può raggiungere, però, anche tramite altri mezzi: riducendo i redditi non da lavoro oppure favorendo la crescita demografica (politica tra l’altro adottata in quel periodo).

L’aumento della popolazione, infatti, determinando un aumento dell’offerta di lavoro, genera una compressione del salario orario e, conseguentemente, un aumento di ore lavoro per un numero maggiore di lavoratori occupati.

La seconda teoria della crescita economica nell’epoca mercantilista

Una seconda teoria, che costituisce l’interpretazione keynesiana del mercantilismo, è basata sull’idea che la crescita economica sia trainata dall’espansione della domanda. Si ritiene, cioè, che l’obiettivo mercantilista dell’acquisizione di moneta deve costituire un fine intermedio per la riduzione dei tassi di interesse.

La riduzione dei tassi di interesse, a sua volta, incentiva gli investimenti, accrescendo la domanda globale e l’occupazione.

Meccanismo che può essere associato all’idea di John Law secondo cui “la moneta stimola il commercio”. In breve, l’aumento dell’offerta di moneta, determinando un aumento dei prezzi e dei profitti, migliora le aspettative degli imprenditori sui profitti futuri, stimolando gli investimenti.

La terza teoria della crescita economica nell’epoca mercantilista

La terza teoria, tipica dell’ultima fase del mercantilismo, è basata sulla convinzione che la crescita economica sia trainata dall’avanzamento tecnico. Prevale, quindi, la necessità di incentivare le innovazioni, di valorizzare la ricerca tecnologica e di favorire la divisione del lavoro all’interno delle unità produttive.

L’opera dal titolo “Aritmetica Politica” del 1690 di William Petty può essere considerata la fine del mercantilismo e l’anno zero del pensiero economico classico. Quest’opera, infatti, può esser considerata a ragione come un contributo alla fondazione della Statistica.

Sir William Petty, pubblicato da John Smith, dopo John Closterman, mezzatinta, 1696

Per quanto riguarda l’analisi economica, un aspetto centrale da considerare è l’elaborazione della “teoria del valore-lavoro”, secondo cui il valore di una merce dipende dalla quantità di ore di lavoro in essa contenuto. Petty riconosce i vantaggi della divisione tecnica del lavoro e, a tal proposito, Marx lo considererà il vero fondatore dell’Economia Politica.

Il contributo di richard cantillon

Nel periodo di transizione dal mercantilismo all’economia politica classica, Richard Cantillon ha fornito un contributo rilevante poiché si è concentrato sul problema del “valore”, assente nel pensiero mercantilista.

Nel “Saggio sulla natura del commercio in generale” del 1755, il valore di una merce viene fatto derivare primariamente dal suo costo di produzione che, a sua volta, dipende dalla quantità di lavoro e di terra impiegati nella sua produzione medesima.

In tal senso, due merci prodotte con uguale impiego di lavoro e materie prime hanno il medesimo “valore instrinseco”. Tuttavia, il prezzo finale ottenuto sulle merci può divergere da tale valore in relazione alle variazioni della domanda sul prodotto: infatti, un aumento della domanda di un dato bene determina un aumento del suo prezzo.

Siamo giunti alla fine di questa disamina sul Mercantilismo. La rubrica dal titolo “Il pensiero economico moderno: teorie e sistemi a confronto” continua!

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

Bibliografia

www.dialetticaefilosofia.it – Appunti di Storia del Pensiero Economico – di Guglielmo Forges Davanzati.

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