Archeologia del Conflitto: la Grande Guerra

Archeologia del conflitto

Archeologia del Conflitto – origini

Molte sono le discipline in cui si può suddividere l’archeologia: preistorica, classica, medievale fino all’archeologia moderna. Esistono, però, anche specializzazioni tematiche. È il caso dell’Archeologia del Conflitto.

Questa branca della disciplina è stata teorizzata negli ambienti accademici del Regno Unito (in particolare Bristol e Glasgow), con il nome di Conflict Archaeology.

Non è di certo l’unica specializzazione archeologica sul tema della guerra, ma è senz’altro quella di respiro più ampio, che si basa anche sulle considerazioni antropologiche.

Archeologia e guerra

Esistono ulteriori specializzazioni, caratterizzate da uno stampo più settoriale e da un approccio più tecnico e minimalista, come l’archeologia dei campi di battaglia (Battlefield Archaeology) e quella militare.

La prima, sviluppatasi a seguito delle ricerche dello statunitense Douglas D.Scott presso Little Bighorn, si concentra sull’investigazione dei campi di battaglia attraverso la classica metodologia archeologica, ovvero attraverso indagini di survey (ricognizione) e di scavo stratigrafico (tecniche che ho descritto QUI).

La seconda studia in maniera generica i siti militari, a prescindere che siano stati interessati da un conflitto armato o meno.

Entrambe possono essere ricondotte all’Archeologia del Conflitto, di cui rappresentano estreme specializzazioni.

Archeologia del Conflitto – tecniche di studio

Gli studiosi si servono di disparate tecniche sul campo, che si devono adattare ai vari ambienti coinvolti dalle operazioni belliche. Se consideriamo il fronte italiano, si può facilmente notare come il conflitto abbia interessato ambienti molto diversi tra loro, dagli immensi ghiacciai alpini alle alte vette rocciose, laghi, fiumi e pianure, fino a raggiungere il mare. Si arriva così a una serie di specializzazioni che hanno affinato le proprie tecniche alle esigenze ambientali. Vediamole.

Archeologia aerea

Tra le discipline che in tempi recenti hanno rivoluzionato l’approccio archeologico alla Grande Guerra, va sicuramente annoverata l’archeologia aerea.

Si occupa dello studio e dell’interpretazione dei siti dall’alto, utilizzando velivoli di vario tipo come i droni. Permette l’esplorazione di ampi territori tramite tecniche di telerilevamento (remote sensing), definendo delle zone d’interesse, successivamente indagabili con tramite ricognizioni mirate.

L’utilizzo di tecnologie laser (LIDAR, Light Detection And Ranging) permette, invece, di scandagliare anche il terreno interessato da una fitta copertura boschiva.

Così gli archeologi hanno potuto scoprire le tracce della Grande Guerra (e non solo) anche in alcune zone in cui si era persa la memoria storica di un coinvolgimento diretto negli avvenimenti bellici.

Grazie a queste indagini, gli archeologi hanno potuto identificare nuove aree interessate dalle vestigia della Grande Guerra ed ottenere documentazioni più dettagliate delle strutture e dei baraccamenti inaccessibili, migliorando nel complesso la nostra conoscenza del paesaggio bellico.

Archeologia glaciale

Il fronte italiano ha interessato contesti montani fino a raggiungere quote ragguardevoli.

Proprio in corrispondenza delle vette più alte, il terreno di scontro ha attraversato i grandi ghiacciai alpini, dai quali, oggi, tornano a emergere le testimonianze del conflitto.

Peculiare è il metodo di scavo che deve adattarsi a un contesto ambientale in cui le strutture e i reperti risultano sepolti da accumuli di ghiaccio e neve.

Per questo motivo ci si serve di strumenti come i generatori di aria calda o pompe con getti d’acqua direzionabili. I rinvenimenti sono eccezionali, dovuti soprattutto all’incredibile stato di conservazione dei reperti, dovuto alle basse temperature.

Vengono portati alla luce oggetti e strumenti in legno, indumenti di vario genere e documenti come lettere, fogli di giornale e pagine di libri.

Anche alcuni reperti metallici piuttosto comuni, come gli elmetti, in questi contesti sono spesso corredati da quelle parti deperibili che in genere non si conservano in altri ambienti, come le cinghie in cuoio e le etichette riportanti i nomi dei soldati.

Anche i resti antropologici (i resti ossei, per intendersi) si conservano in queste condizioni eccezionali, che ricordano quelle della mummificazione.

Questo tipo di scavi risulta fondamentale nello studio della Grande Guerra e questo perché la grande abbondanza di reperti conservati consente di analizzare delle situazioni pressoché intatte e cristallizzate al momento del loro abbandono.

Archeologia di alta montagna

Tra i combattimenti più duri della Grande Guerra, si possono annoverare quelli di alta montagna che ha fatto da scenario a numerosi teatri di scontro in quota.

L’aspra bellezza di questi luoghi ha imposto la costruzione di arditi trinceramenti e di postazioni strategiche. I ruderi di questi straordinari esempi di ingegneria militare, riforniti da innovativi sistemi di teleferiche, sono ancora ben visibili.

Tra le difficoltà maggiori di questa disciplina vi sono quelle logistiche, talvolta derivanti dalla necessità di allestire un campo base per le missioni più lunghe, o dal bisogno di raggiungere postazioni esposte a causa del crollo dei sentieri, dei camminamenti e delle scale lignee che le servivano durante il conflitto.

L’archeologia di alta montagna offre un’interessante finestra sull’adattamento dell’ingegneria militare a questo particolare contesto ambientale.

Archeologia subacquea

La maggior parte degli interventi di archeologia subacquea riguardanti la Grande Guerra hanno per oggetto relitti di navi, sommergibili e vascelli di vario genere impiegati durante le operazioni belliche nei principali teatri di scontro navale.

Molti interventi si riducono a una localizzazione del sito di affondamento, a una mappatura di massima del relitto, senza vere e proprie missioni di scavo subacqueo. Interessati da questo settore archeologico ci sono anche laghi, fiumi e lagune.

Un bellissimo esempio, tutto italiano, sono i tesori degli specchi d’acqua del Trentino, come il relitto della cosiddetta Barca dei Diavoli, sul fondo del Lago Mandrone, imbarcazione costruita dagli Alpini del battaglione Edolo (i Diavoli dell’Adamello) probabilmente per tenere occupate le truppe durante i periodi più lunghi di inattività ed evitare così problemi legati all’insubordinazione.

Anche quando non celano rinvenimenti particolari, i laghi custodiscono comunque innumerevoli reperti bellici.

Speleoarcheologia

La speleoarcheologia è una delle discipline più trasversali nell’ambito dello studio della Grande Guerra. Infatti, la necessità di ripararsi dal tiro delle artiglierie nemiche ha spinto gli opposti schieramenti a scavare ripari nella roccia e nel sottosuolo, considerati più sicuri rispetto a strutture difensive approntate nei periodi prebellici e dimostratesi non adeguate alle mutate esigenze di una guerra che si evolveva rapidamente.

Tali ripari si trovano in quasi tutti gli ambiti interessati dal conflitto, da quelli glaciali, a quelli di alta montagna fino alla pianura.

Durante questo tipo di interventi le operazioni più difficoltose riguardano la mappatura tridimensionale del sottosuolo, visto che i soprastanti livelli di roccia o di terreno non consentono la copertura del segnale GPS, ostacolando la geolocalizzazione degli ambienti.

Per ovviare a questi problemi viene spesso utilizzata la stazione totale per la penetrazione in ambienti ipogei.

Archeologia orientale

Il nome stesso della Prima Guerra Mondiale ci ricorda l’estensione reale di questo conflitto ed esistono molte altre aree interessate dalle azioni belliche.

Tra di queste, le aree del Vicino Oriente (teatro delle vicende legate al tenente colonnello Thomas Edward Lawrence, agente segreto, militare, archeologo e scrittore britannico, noto come Lawrence d’Arabia) e quelle del Medio Oriente, oggetto della cosiddetta Campagna Persiana, che vide contrapposte le forze anglo-russe a quelle dell’Impero Ottomano.

Lo stesso scenario ha anche visto le azioni della cosiddetta Dunsterforce, un distaccamento militare alleato formato da circa un migliaio di soldati delle forze di occupazione della Mesopotamia, provenienti da diversi paesi dell’Impero britannico.

Sebbene l’Archeologia del Conflitto stia muovendo solo ora i primi passi nello studio di questi teatri bellici extraeuropei, non di rado le missioni di Archeologia Orientale sono incappate in tracce della Grande Guerra preservatesi nei luoghi più impensabili.

L’estensione della Grande Guerra ha toccato ambiti geografici molto distanti tra loro, soprattutto se si considera la guerra navale operata negli oceani, e ha lasciato tracce anche nei territori che non hanno visto direttamente operazioni belliche di prima linea.

I terreni, i mari, le montagne di molte zone toccate dal conflitto ci restituiscono regolarmente memorie e storie da tempo perse. Accostare la parola archeologia a quella delle guerre mondiali sembra anacronistico, ma le tecniche e le metodologie di scavo si applicano allo stesso modo dello scavo di una domus romana o di una tomba etrusca. E allo stesso modo ci permettono di ricostruire gli eventi oltre i libri e i filmati.

Francesco Frosini per Questione Civile

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