Archeologia preventiva: difesa del nostro patrimonio

archeologia preventiva

L’importanza dell’archeologia preventiva: regole, protagonisti e campi d’applicazione

Che l’archeologia non sia la disciplina romantica, decantata dalle malinconiche rimembranze neoclassiche e decadenti, ma soprattutto che sia ben lontana dai clamori hollywoodiani e dalle mistificazioni dei giornali credo sia una nozione ormai acquisita. Forse un po’ meno noto è il fatto che l’archeologia non è fatta solo e unicamente di ricerca scientifica pianificata da università ed enti di ricerca. In questa cornice si inserisce il fondamentale strumento di tutela dell’archeologia preventiva.

Andiamo ad analizzare, rispondendo a poche e semplici domande, in che cosa consiste l’archeologia preventiva, chi sono i protagonisti, gli strumenti di cui si serve e la sua importanza.

L’archeologia preventiva: cos’è e quando si applica?

L’archeologia preventiva è in realtà uno strumento molto articolato, che prevede differenti passaggi e momenti di applicazione.

Una definizione, sicuramente riduttiva, potrebbe essere la seguente: l’archeologia preventiva è rappresentata da una serie di operazioni che accertino e verifichino il potenziale archeologico di un’area che deve essere sottoposta a lavori urbanistici o edilizi.

Per comprendere quanto appena affermato, però, occorre fare una piccola digressione, necessaria a capire meglio il quadro generale e rispondere a un’altra domanda: quando si fa archeologia preventiva?

Naturalmente, la verifica del grado dell’interesse archeologico va effettuata prima dell’inizio dei lavori e contestualmente alla progettazione degli stessi. Che l’importanza di questa arma di tutela sia, però, ancora poco nota e compresa è testimoniato anche dal fatto che sovente il “grado di interesse archeologico” viene chiamato “rischio archeologico”, un’espressione fortemente negativa, che trasmette l’idea dell’archeologia come impedimento al progresso e all’adeguamento dei servizi delle città.

L’archeologia preventiva si applica unicamente e obbligatoriamente in caso di lavori pubblici o di interesse pubblico che prevedano movimentazione di terra. Va applicata, poi, nel caso di quelli che potrebbero recare danno al patrimonio sepolto anche senza operazioni di scavo. Se invece sono previsti interventi in aree in cui potrebbero trovarsi beni in posizione residuale anche a quote già interessate da manufatti esistenti è possibile prescrivere assistenza archeologica in corso d’opera.

Non si applica, invece, per interventi messi in atto da privati, a meno che non si tratti di aree vincolate, per cui la legge prevede altre forme di tutela del patrimonio archeologico.

Tutto quanto sinteticamente elencato finora è regolamentato dall’articolo 28 del D. Lgs. 42/2004 (il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) e dall’articolo 25 del D. Lgs 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), articoli a cui si farà riferimento anche nel prosieguo della spiegazione.

Com’è strutturata? 1: La Verifica dell’Interesse Archeologico

È il momento, adesso, di comprendere più nel dettaglio come effettivamente avviene la verifica preventiva dell’interesse archeologico, che si sviluppa in fasi.

Al momento della progettazione dei lavori, la stazione appaltante deve prevedere all’interno del progetto di fattibilità tecnica ed economica anche la verifica dell’interesse archeologico dell’area. Questo andrà, infatti, trasmesso alla Soprintendenza territoriale insieme a tutta la documentazione utile ai fini della valutazione di compatibilità dell’intervento.

La fase preliminare, la cosiddetta VIArch, consiste in uno studio completo ed esaustivo dell’area oggetto di intervento. Gli archeologi devono tenere in considerazione, se presenti, i risultati di analisi geologiche e geomorfologiche, in quanto possono restituire informazioni importanti a ricostruire stratificazioni e paleoambienti. Fondamentale è poi la raccolta di tutte le informazioni storiche e archeologiche ricavabili tramite lo studio dei dati presenti in archivio e in bibliografia. Ma non solo, informazioni preziose possono venire anche dall’analisi della cartografia storica, della toponomastica ed eventualmente di fotointerpretazioni (ovvero l’analisi dell’area tramite lo studio di foto aeree, anche storiche). Tutto ciò permetterà all’archeologo responsabile della redazione di questo documento di avere dati fondamentali per valutare la possibilità di intaccare stratificazioni archeologiche.

Com’è strutturata? 2: Ulteriori fasi di approfondimento

Una volta ricevuta la relazione, la Soprintendenza valuterà la necessità di fasi di indagine successive. La stazione appaltante, previo parere vincolante della Soprintendenza, può ricorrere per queste indagini agli stessi soggetti responsabili della fase preliminare. Questo a meno che non sia in contrasto con altre norme in materia di scelta del contraente e qualificazione delle imprese (Codice dei contratti, D. Lgs 50/2016 e dal Regolamento DM 154/2017).

La prima di queste prevede indagini come carotaggi, prospezioni e saggi di scavo preventivi, utili a valutare la reale stratificazione dell’area, per accertare la presenza di un deposito archeologico. In tal caso si può procedere ulteriormente con scavi in estensione, utili a chiarire natura e complessità dello stesso deposito.

I dati raccolti devono essere resi accessibili su piattaforma open access chiamata Geoportale Nazionale dell’Archeologia (Circolare DG Archeologia 1/2016).

L’indagine preventiva si conclude con Relazione archeologica definitiva: questa è redatta dal funzionario archeologo di zona della Soprintendenza ed è approvata dal Soprintendente competente. Contiene la descrizione delle indagini effettuate, la qualifica dell’interesse archeologico dell’area in esame e le prescrizioni per l’esecutore dei lavori. In base al grado di interesse dell’area la progettazione dell’intervento può andare incontro a diverse situazioni:

  • In caso di grado di interesse minimo o assente non subirà variazioni;
  • Se invece il grado di interesse si presenta medio o elevato è possibile che il progetto debba essere modificato, anche in maniera sostanziale;
  • Si può arrivare all’assoluta incompatibilità del progetto con l’area, cosa che porterà la Soprintendenza a esprimere parere negativo nei confronti dei lavori.

Chi sono i protagonisti?

Ma chi è, effettivamente, che può effettuare studi e indagini di archeologia preventiva?

Ovviamente un archeologo professionista, singolo o associato, e le società costituite dagli archeologi. In particolare, chi si occupa della redazione del documento di verifica dell’interesse archeologico deve possedere un diploma di specializzazione o di dottorato.

Nonostante l’alta qualifica professionale richiesta, non esiste ancora un albo professionale. Esistono, però, degli elenchi dei professionisti dei Beni Culturali a cui è possibile iscriversi, anche se l’iscrizione agli stessi non è prerogativa necessaria a poter svolgere questa e altre attività.

Perché l’archeologia preventiva?

Per riassumere e concludere questa panoramica sul mondo dell’archeologia preventiva non resta che rispondere all’ultima e, forse, più importante domanda che aiuterà a comprendere l’importanza di questo strumento. Perché è importante fare archeologia preventiva?

Dal punto di vista meramente economico e utilitaristico fare archeologia preventiva anziché essere un limite, come molti ancora credono, in realtà è un’arma per evitare rallentamenti o blocchi dei cantieri in corso d’opera. Individuare prima il potenziale archeologico di un’area aiuterà infatti a evitare di intaccare stratigrafie archeologiche o quantomeno a preventivare e programmare lo scavo archeologico. Anche in caso di lavori da parte di privati, l’archeologia preventiva, anche se non obbligatoria, può essere una risorsa. È possibile richiedere, infatti, una verifica del potenziale e si possono stipulare convenzioni con la Soprintendenza per l’assistenza in corso d’opera per evitare eventuali successivi blocchi dei lavori.

Ma prima di tutto, da un punto di vista scientifico e civile, l’archeologia preventiva è un’arma fondamentale che consente una più efficace tutela del patrimonio culturale del nostro Paese. Prevedere l’incontro con un Bene è, infatti, il modo migliore per prepararsi adeguatamente a prendersi cura di esso.

Carmine De Mizio per Questione Civile

Fonti normative utili

  • D. Lgs 50/2016 (artt. 23, 25)
  • D. Lgs 42/2004
  • Circolare DG Archeologia 1/2016
  • D.P.R. 207/2010 (art. 17)
  • Circolare MiBAC 10/2012
  • D.M. 60/2009
  • DPCM 171/2014
  • D.M. 244/2019
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