Caterina Sforza, la Tigre di Forlì del Rinascimento

Caterina Sforza: la storia di una delle donne più potenti del Rinascimento italiano

La vita, il primo matrimonio e la nascita della leggenda che rese grande una delle donne di casa Sforza, Caterina Sforza.

“Grandi donne nel Medioevo”

-N. 1

Questo è il primo numero della Rubrica di Area dal titolo “Grandi donne nel Medioevo?”, appartenente all’Area di Storia Antica e Medievale

La nascita e la giovinezza milanese

È una verità universalmente riconosciuta, o quasi, che la legittimità della nascita nel Rinascimento non condizioni le fortune delle persone in modo permanente. La storia e la stessa forza della Casa Sforza fu determinata dalle fortune di figli illegittimi.

Caterina nacque nel 1463, probabilmente a Milano, o forse a Pavia, figlia illegittima del futuro duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e dalla sua amante Lucrezia Landriani. Legittimata poi dal padre, trascorse l’infanzia presso la nonna paterna, la duchessa Bianca Maria Visconti. Presso quest’ultima ricevette una prima istruzione, anche politica, data la riconosciuta astuzia e intelligenza della figlia di Filippo Maria.

In seguito, presso la corte del padre, frequentò le lezioni dei precettori con i fratelli, pur rimanendo presso la nonna paterna.

Caterina fu esposta e conobbe i grandi della politica del Quattrocento italiano alla tenera età di 8 anni, quando si recò a Firenze presso Lorenzo il Magnifico con il padre e per suo desiderio nel 1471. L’infanzia dorata milanese di Caterina si sarebbe infatti conclusa presto; proprio durante il viaggio a Firenze, Galeazzo Maria iniziò ad elaborare i piani che avrebbero portato al fidanzamento della giovanissima Caterina due anni dopo.

Il matrimonio con Girolamo Riario

Il matrimonio di Caterina con il trentenne Girolamo, nipote prediletto di papa Sisto IV, fece parte di un complesso sistema di scambi e accordi tra il papa e Galeazzo Maria. Il 20 gennaio 1473, infatti, fu stretto un accordo di vendita della signoria di Imola, antico possesso degli Sforza, al pontefice, per la somma di 50 mila ducati, dei quali furono pagati dal papa solo 40 mila. I restanti 10 mila andarono a costituire la dote dell’allora decenne Caterina. Girolamo Riario fu in seguito investito dal papa del titolo di conte e della signoria su Imola.

Il matrimonio fu effettivamente celebrato quattro anni dopo, nel 1477, nonostante l’assassinio del padre, prima per procura a Milano e poi a Roma.

La coppia risiedette a Roma, presso Palazzo Orsini, per i primi anni del matrimonio ed a Roma Caterina diede alla luce, in rapida successione, i suoi due primi figli, Ottaviano nel 1479 e Cesare nel 1480. I due si recarono in Romagna per un breve soggiorno soltanto nel 1481, quando Girolamo ottenne dal suo potente zio anche la signoria su Forlì. I Riario non erano particolarmente benvenuti nella città romagnola e, temendo azioni contro di loro, Girolamo e Caterina furono costretti a tornare a Roma dopo breve tempo.

In questo periodo, le fonti descrivono una Caterina molto diversa rispetto a quella che poi diverrà famosa. Costantemente al fianco e sostenitrice del marito, la giovane Sforza è rappresentata per lo più intenta ad accudire i figli, aumentati a tre con la nascita nel 1481 della figlia Bianca, e allo studio dei classici.  Il punto di svolta nella vita e nella storia di Caterina può essere individuato con precisione nel 1484. Infatti, morì l’uomo che fino ad allora ne aveva comandato le fortune, il papa Sisto IV.

L’assedio di Castel Sant’Angelo e la sua difesa da parte di Caterina

Era sempre stata usanza, in un perverso rituale di lotta fazionaria tra le famiglie romane, che le proprietà romane dei membri della famiglia del pontefice defunto fossero saccheggiate o distrutte dai sostenitori delle altre famiglie. La medesima sorte toccò alla famiglia Riario alla morte di Sisto IV; le ville e i palazzi, dentro Roma e anche nelle campagne vicine, furono assaltate, derubate. La villa di Caterina in campagna, data addirittura alle fiamme. A differenza del marito, che portò con sé le sue truppe presso Ponte Milvio, dal quale lasciò Roma, Caterina era decisa a resistere e a contrattaccare.

Al settimo mese di gravidanza, raccolse i soldati lasciati a Roma dal marito e entrò a Castel Sant’Angelo; qui si preparò a difendere la sede pontificia contro gli assalitori. Obiettivo di Caterina era quello di avere la conferma dal papa che sarebbe stato eletto dal Conclave che si apprestava a riunirsi, dei privilegi di cui il marito, e dunque ella stessa, aveva goduto durante il pontificato dello zio. Nulla sembrava poter piegare la volontà di ferro della donna, tanto che il perdurare della sua resistenza nel castello romano preoccupava il Collegio dei Cardinali. 

Solo l’arrivo di un altro astuto parente di casa Sforza risolse la situazione. Giunto a Roma in quanto membro del Conclave, Ascanio Sforza, fratello minore cardinale di Galeazzo Maria Sforza e dunque zio paterno di Caterina, fu inviato dal Collegio a trattare con la ribelle nipote e ottenne da lei la rottura dell’occupazione di Castel Sant’Angelo, con la promessa della conferma della signoria su Imola e Forlì da parte del nuovo papa.

Caterina in Romagna e la morte di Girolamo Riario

La resistenza di Roma costituì, dunque, il punto di svolta della vita di Caterina. La giovane signora era ormai una giocatrice indipendente sullo scacchiere della politica italiana, situazione ancora più evidenziata dal suo definitivo e, per la maggior parte del tempo, solitario trasferimento in Romagna. Girolamo, infatti, si tratteneva poco a Imola o a Forlì, preferendo lasciare alla moglie la reggenza dei territori, temendo l’ambiente romagnolo a lui ostile.

Girolamo evitava Imola e Forlì a ragione: in uno dei suoi rari soggiorni nella seconda città fu ucciso, vittima di una congiura ordita dalla famiglia Orsi. La stessa Caterina fu catturata, assieme agli ormai numerosi figli della coppia.

La “nascita” della Tigre di Forlì

Fu in questo frangente che Caterina si guadagnò il soprannome con il quale rimarrà celebre nella storia: la Tigre di Forlì. La donna riuscì, infatti, a convincere i suoi catturatori a lasciarla libera, per recarsi alla fortezza di Rivaldello, roccaforte di resistenza tenuta da Tommaso Feo e da coloro che si erano mantenuti fedeli alla parte dei Riario. Caterina aveva convinto gli Orsi che lei stessa avrebbe funto da mediatrice tra le due parti e avrebbe convinto il castellano della fortezza a consegnarsi.

La donna, una volta libera, elaborò il colpo di mano che le avrebbe assicurato il dominio su Imola e Forlì per gli anni successivi. Entrata nella fortezza, si unì ai ribelli e diede ordine di sparare con i cannoni sugli uomini della parte dei congiurati che giungevano per negoziare.

A questo proposito, è raccontata da Niccolò Machiavelli una famosa leggenda. Sembra che quando i congiurati le mostrarono i figli, che aveva lasciato come ostaggi presso gli Orsi, cercando dunque di convincerla a desistere, Caterina abbia risposto, dopo essersi alzata il vestito, che aveva ciò che occorreva per farne altri. A rompere lo stato d’assedio, giunsero le truppe dei parenti Sforza. I congiurati, spaventati alla vista delle armi sforzesche, si arresero, prima che i contingenti milanesi arrivassero in città. 

Scortata a palazzo come vincitrice da Galeazzo Sanseverino d’Aragona, il comandante delle truppe milanesi, Caterina assunse ufficialmente la reggenza di Forlì e Imola per il figlio maggiore, Ottaviano, il 30 aprile 1488.

Caterina mantenne la signoria sulle due città romagnole a lungo. La mantenne nonostante la maggiore età del figlio, i due matrimoni da lei in seguito contratti e la calata dei francesi di re Carlo VIII.

La fine di Caterina: le trame dei Borgia

Caterina resistette anche alla caduta della famiglia Sforza, che perse Milano quando Luigi XII cacciò dalla città Ludovico il Moro, suo zio. Nulla poté, però, contro le ambizioni della famiglia Borgia. Il papa, Alessandro VI, desiderando fondare un principato per il figlio Cesare in Romagna, revocò la signoria degli Sforza-Riario sulle città romagnole. Decisa a difendersi militarmente, nonostante le due città si fossero arrese agli eserciti del Valentino, si rinchiuse nella fortezza di Forlì, impegnandosi in prima persona contro l’onnipotente figlio del papa. 

Abbandonata da tutti gli alleati, si consegnò a Cesare Borgia nel 1499. Trattenuta a Roma e a Castel Sant’Angelo, la sede della sua prima affermazione politica, Caterina per dieci giorni temette di trovare la morte per le mani, o per il veleno, della celebre famiglia pontificia. Fu, invece, liberata sotto pressione dei francesi e tornò a Firenze, dove la attendevano tutti i suoi figli. A Firenze la Tigre morì nel 1509, non senza designare tra i suoi cuccioli il suo vero erede. Nei dieci anni che trascorsero dalla sua liberazione da Roma e la sua morte, oltre ai tentativi di riconquistare i territori dei Riario, la sua occupazione e preoccupazione fu principalmente una. Era l’educazione, di cui si occupò personalmente, dell’ultimo dei suoi figli, il suo vero erede. Era Giovanni, figlio del suo terzo marito e che passerà alla storia con il soprannome Bande Nere.

Martina Parini per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

  • G. Brunelli, Sforza Caterina in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 92, online, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2018.
  • R. Comba, Storia medievale, Raffaello Cortina editore, Azzate, 2012.
  • M. Giansante, Riario Girolamo in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 87, online, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2016.
  • F. Vaglienti, Sforza Galeazzo Maria in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 51, online, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1998.
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