Chernobyl: gli ultimi secondi prima del disastro

Chernobyl

Chernobyl, 26 aprile 1986, 1.24. Il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplode. Ma cosa ha portato al più catastrofico disastro nucleare della storia?

Era il 26 aprile 1986 quando il reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose. Un operatore morì sul colpo, un suo collega dopo pochi giorni per le ferite riportate; 30 persone tra lavoratori della centrale e vigili del fuoco persero la vita dopo tre mesi dall’incidente come effetto delle radiazioni; 134 furono i casi confermati di sindrome acuta da radiazioni; incalcolabili i danni a lungo termine sulla salute umana e sull’ambiente. Ma cosa ha causato il disastro nucleare più celebre della storia? Poteva essere evitato? Come funziona una centrale nucleare e quali sono stati gli ultimi istanti di vita del reattore 4 della centrale di Chernobyl?

“Nucleare: dall’atomo alla PET”

N. 3

Questo è il terzo numero della Rubrica di Area dal titolo “Nucleare: dall’atomo alla PET”, appartenente alla Macroarea di Scienze

Le basi teoriche del funzionamento di una centrale nucleare: la fissione nucleare

Le centrali termonucleari sfruttano la fissione dei nuclei atomici (come l’uranio 235) per ricavare enormi quantità di energia. Per fissione si intende la reazione nucleare nella quale elementi chimici pesanti (come l’uranio 235) si scindono, spontaneamente o artificialmente a seguito dell’urto con un neutrone, in nuclei di elementi di massa inferiore e altri neutroni, liberando grandi quantità di energia e radioattività.

La massa totale dei prodotti della reazione di fissione nucleare è minore alla massa dei reagenti; ciò determina, secondo il principio di conservazione dell’energia e della materia, la liberazione di una quantità di energia enorme, definibile dalla celebre equazione Einsteiniana: E = mc^2. In altri termini, la relatività ristretta di Einstein ci ha rivelato che energia e materia non sono entità distinte, ma due facce della stessa medaglia.

L’energia può convertirsi in materia e viceversa secondo una relazione matematica che è di certo la più celebre equazione della fisica teorica. Tale equazione ci dice che da una piccola quantità di massa (m) può scaturire una quantità di energia inaudita (E) pari al prodotto della massa per la velocità della luce nel vuoto (c) cioè 299.792,458 km/s.

Grazie a questa equazione possiamo concludere che la fissione di un atomo di U235 libera all’incirca 211 MeV, di cui:
1. 170 MeV sono di energia cinetica dei prodotti della reazione;

2. 11 MeV vengono portati via come energia cinetica dei neutrini emessi al momento della fissione;

3. 30 MeV vengono persi sotto forma di raggi gamma (radiazione elettromagnetica).

L’energia sfruttabile effettivamente come energia termica è pari a circa 200 MeV, all’incirca 50.000.000 di volte più di quella emessa dall’ossidazione di un atomo di carbone (4 MeV).

Il fattore di moltiplicazione: il delicato equilibrio di un reattore nucleare

Tra i prodotti della fissione sono presenti 2-3 neutroni ad alta velocità; se queste particelle urtassero dei nuclei di U235, allora potrebbero innescare una nuova fissione. Per questo per il controllo di un reattore nucleare è fondamentale il fattore di moltiplicazione, ovvero il rapporto tra il numero di neutroni in una generazione e quello della generazione precedente.

Se K > 1, allora il numero di neutroni è aumentato e questo innesca una reazione a catena in cui il numero di fissioni nucleari aumenta esponenzialmente. Nelle centrali nucleari, quando si porta i reattori alla massima potenza il fattore di moltiplicazione è comunque vicino a 1 (1,005). Nelle bombe nucleari, invece, per sfruttare a pieno la potenzialità distruttiva della fissione nucleare, K può arrivare a un massimo di 1,2.

Se K = 1, allora si è raggiunta la massa critica e la reazione è stabile.

Se K < 1, il numero di fissioni è in progressiva decrescita, fino alla sua estinzione.

Nelle centrali nucleari, per tenere sotto controllo la fissione e il numero di neutroni nella reazione, sono usate delle barre di controllo in carburo di boro e altri elementi in grado di assorbire queste particelle subatomiche, sottraendole alla fissione. Queste barre possono essere sollevate, così da aumentare il numero di reazioni e quindi la potenza del reattore, oppure abbassate, così da ridurre le fissioni.

Per permettere al reattore di essere in grado di garantire il sufficiente numero di reazioni, è necessario anche rallentare i neutroni; neutroni troppo veloci, infatti, potrebbero “rimbalzare” sui nuclei di uranio non garantendone la fissione. A tal fine vengono posizionati dei moderatori (ad esempio in graffite) tra le barre di combustibile, in grado di rallentare le particelle.

Reattore numero 4 di Chernobyl

La centrale nucleare di Chernobyl, sita a 130 km da Kiev e a 20 Km dal confine con la Bielorussia, era suddivisa in 4 unità; le prime due furono ultimate tra il 1970 e il 1977 mentre la 3 e la 4 furono terminate il 1983. Era formata da 4 reattori RBMK 1000, in grado di generare circa 1000 MWt.

Questo modello di reattore era stato ideato nell’Unione Sovietica ed utilizzava uranio biossido arricchito al 2%, si serviva di moderatori fatti di grafite e acqua leggera come refrigerante.
Un reattore RBMK è formato da un cilindro di grafite contente diversi canali, in alcuni dei quali viene alloggiato il combustibile (l’uranio), mentre in altri si trovano le barre di controllo, indispensabili per modulare l’attività del reattore.

Di base, tutte le centrali nucleari sfruttano la fissione di nuclei atomici pesanti per ricavare energia termica. In questo contesto, l’acqua ha due importanti funzioni: quella di refrigerare il core del reattore, impedendogli di raggiungere temperature troppo elevate tali da fondere i canali con il combustibile; quella di generare vapore ad elevate pressioni che possano essere convogliate in delle turbine. Nei reattori occidentali l’acqua viene sfruttata anche da moderatore, perché in grado di rallentare i neutroni rendendoli termici, cioè capaci di causare una fissione.

In quest’ultimo caso, se la temperatura fosse tale da portare a evaporazione tutta l’acqua, non verrebbe meno solo la sua funzione di refrigerante ma anche quella di modulatore, impedendo alle reazioni di proseguire e permettendo alla temperatura del nocciolo di scendere. Al contrario, nei reattori RBMK in caso di evaporazione dell’acqua la funzione di modulatore sarebbe assolta dalla grafite mentre la refrigerazione sarebbe insufficiente al mantenimento di temperature adeguate.

L’incidente di Chernobyl: il test di sicurezza

Il 25 aprile del 1986, prima dello spegnimento del reattore 4 per una manutenzione di routine, ci si preparava per un test di sicurezza. Il fine del test era stabilire se le turbine, isolate dalla fonte di vapore, sarebbero state in grado, in caso di blackout, di alimentare da sole le pompe d’acqua per la refrigerazione del reattore, in attesa che i generatori di emergenza si azionassero.

Per far questo la potenza del reattore doveva essere gradualmente abbassata a 750 MWt e il sistema d’emergenza per il raffreddamento del reattore doveva essere disabilitato. Quest’ultimo particolare non impattò sull’incidente che da lì a poco si sarebbe verificato, ma testimonia la bassa attenzione nei confronti dei protocolli per la sicurezza.

Il test sarebbe stato fatto durante il turno di notte tra il 25 e il 26 aprile per evitare cali di tensione a Kiev durante le ore diurne. La potenza del reattore venne fatta scendere dopo le 23.00. Probabilmente per un errore umano, alle 00.28 del 26 aprile la potenza scese a 30 MWt, portando il reattore quasi allo spegnimento.

Tentare di rialzare la potenza del reattore era compito arduo per gli operatori di Chernobyl, perché all’interno del reattore 4 si era accumulato un veleno: lo xenon.

Chernobyl: gli ultimi secondi prima del disastro

Lo xenon è uno dei prodotti fissili dell’U235, derivato del decadimento dello iodio 135. Viene definito veleno neutronico perché è in grado di assorbire i neutroni, riducendo il coefficiente di moltiplicazione (Keff) e inibendo la fissione nucleare.

Nel tentativo di contrastare l’effetto tossico sul reattore dello xenon, gli operatori decisero di sollevare le barre di controllo in bario, violando il margine di reattività operativo (ORM); l’ORM stabilisce il numero minimo di barre di controllo che devono essere presenti nel nocciolo per evitare un surriscaldamento. La potenza del reattore salì quindi a 200 MWt e venne deciso di tentare comunque il test di sicurezza.

All’1:22:30 le barre di controllo rimaste erano solo 8 quando l’ORM era di 15.

All’1:23:04 comincia il test. Le valvole per la turbina sono chiuse, i generatori di elettricità principali vengono spenti e le pompe dell’acqua vengono alimentate esclusivamente dal moto d’inerzia delle turbine che, non alimentate più dal vapore, rallentano. Il flusso d’acqua nei canali di potenza, dove risiedono le barre di combustibile, si riduce, il vapore aumenta e con esso anche il calore e l’energia.

L’evaporazione dell’acqua, il coefficiente di vuoto positivo, l’esaurimento dello xenon permettono alla potenza del reattore di crescere velocemente. In 40 secondi la potenza sale a 530 MWt e continua a salire mentre suona l’allarme del sistema di protezione di emergenza del tasso di escursione di potenza.

L’atto finale dell’incidente di Chernobyl: l’AZ-5.

È l’1:23:40. Il responsabile del movimento delle barre preme l’AZ-5 per lo spegnimento di emergenza del reattore, ma la potenza continua a salire. Basterebbe la rottura di 3-4 elementi di combustibile per causare la distruzione del reattore. La rottura di diversi canali genera una quantità di calore e vapore tali da sollevare la piastra di supporto del reattore di 1000 tonnellate. Questa, ricadendo sul fianco, trancia i sistemi di comando delle barre di controllo. Si sentono due esplosioni. Una è causata dalla incredibile pressione del vapore generata nel reattore, un’altra a distanza di 3-4 secondi probabilmente causata dall’accumulo di idrogeno formato dalla reazione del vapore con lo zirconio delle incamiciature del combustibile.

Ma perché lo spegnimento di emergenza AZ-5 non ha funzionato e anzi ha rappresentato l’atto finale del reattore 4 di Chernobyl?

L’AZ-5 consente di inserire le barre di controllo nel reattore, diminuendo il coefficiente di moltiplicazione e quindi le reazioni. Tuttavia, quelle dei reattori di RBMK avevano un difetto non trascurabile. Alla loro estremità presentavano un cilindro di grafite di 4.5 metri di altezza che fungeva da spaziatore per evitare che il sollevamento delle barre permettesse all’acqua di prendere il loro posto. Quando le barre erano alzate la grafite era proprio nel core del reattore e al di sopra e al di sotto di essa c’erano due colonne di acqua di 1.5 metri ciascuna.

L’abbassamento delle barre di controllo faceva si che lo spaziatore di graffite spiazzasse la colonna d’acqua inferiore e generasse una reattività maggiore alla base del nocciolo. L’esplosione fu dunque inevitabile. Parti di combustibile, del moderatore e materiali strutturali vennero espulsi provocando un certo numero di incendi in sala macchine, per la presenza di olio, e nei depositi di gasolio. Il nocciolo distrutto si trovò quindi esposto all’atmosfera.

 Francesco Lodoli per Questione Civile

Sitografia

https://world-nuclear.org/information-library/safety-and-security/safety-of-plants/chernobyl-accident.aspx

https://world-nuclear.org/information-library/nuclear-fuel-cycle/nuclear-power-reactors/appendices/rbmk-reactors.aspx

https://world-nuclear.org/information-library/safety-and-security/safety-of-plants/appendices/chernobyl-accident-appendix-1-sequence-of-events.aspx

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1 commento su “Chernobyl: gli ultimi secondi prima del disastro

  1. Gaetano Rispondi

    Veramente molto interessante. Spesso molti di questi “incidenti” vengono strumentalizzati per altri fini diversi da quelli che servirebbero a tutti noi per capire quale dovrà essere il nostro sviluppo dell’approvvigionamento energetico senza rischiare tragedie come questa descritta.
    Ben vengano queste divulgazioni, queste memorie, perché noi tutti tendiamo a rimuovere i ricordi spiacevoli. Ora da questo articolo oltre la descrizione cronologica scientifica dell’accaduto, che ho ammirato per la freddezza e la sintesi, lo stile del relatore è privo di enfasi ma carico di uno stimolo all’ attenzione , per il lettore che definirei etica. In poche parole Lodoli ci chiede: ” Questo è l’accaduto, errore umano? Errore tecnologico? Errore strutturale? Errore……complesso? Tragedia preannunciata? Oppure è proprio “il nucleare” il pericolo, qualsiasi grado di sviluppo della sicurezza abbiano raggiunto le nuove generazioni delle centrali nucleari. Una risposta dovremo darla e al più presto.

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