Influenza asiatica: le origini e l’impatto sulla popolazione mondiale

influenza asiatica

Dopo la spagnola un’altra grande pandemia del ‘900: l’influenza asiatica

Il ‘900 conosce un’altra pandemia dopo la devastante spagnola ovvero quella dell’influenza asiatica; in questo articolo verrà ripercorsa la sua storia, approfondendo anche uno studio condotto riguardo la mortalità.

Influenza asiatica: la sua diffusione

Erano passati trentasette anni dal quel 1920, anno della fine della prima pandemia del secolo scorso ovvero quella dell’influenza spagnola (clicca qui per approfondire). Nel 1957 un nuovo tipo comincia a far paura: la sua diffusione inizia in Asia orientale; scientificamente parlando si tratta dell’influenza denominata H2N2 di tipo A.

Si tratta di un virus “misto”, composto da un ceppo umano ed uno animale, già conosciuto in una regione nel sud della Cina, Guizhou. Il primo Paese ad essere colpito è Singapore, per poi raggiungere la città di Hong Kong. Rapidamente raggiunge anche gli Stati Uniti e il continente europeo.

I sintomi che presentava erano febbre tosse e, in casi più gravi, forme di polmonite.

La diffusione in Italia

Il virus raggiunge anche l’Italia e si diffonde velocemente in tutta la Penisola: questo a causa dei soldati impegnati nel servizio di leva. Ma ad essere colpito per prima è il Meridione, soprattutto la città di Napoli.

L’arrivo dell’influenza asiatica nel Bel Paese non viene presa molto in considerazione, tant’è che non viene creato allarmismo. La malattia, però, si dimostra essere più aggressiva di quanto si pensasse e i dati lo confermano.

Essa ha colpito “un italiano su 2”, con un tasso di mortalità di poco superiore alla normale influenza. Le morti totali in Italia sono state 30.000.

Il virus scompare nel 1960, causando la morte di milioni di persone (stimate tra uno e quattro milioni).

Dopo l’asiatica: l’influenza di Hong Kong del 1968

Come un déjà-vu, nel 1968, sempre dal sud-est asiatico, si inizia a diffondere un ceppo modificato dell’asiatica. Denominato H3N2. Anche in questo caso, la diffusione è rapida, presentando sempre gli stessi sintomi (le polmoniti risultano le più letali).  La mortalità si verifica perlopiù negli anziani e nei neonati. Dopo il picco, per contrastarla, viene sviluppato un vaccino.

La mortalità per influenza asiatica

Lo studio delle pandemie del passato ha un valore non solo meramente scientifico e storico, ma anche politico e sociale. Dopo la pandemia causata dal virus della SARS-Cov2, il mondo è diventato più consapevole su quanto fragile possa essere il nostro sistema economico e sociale e il nostro sistema sanitario.

Scienziati, medici, microbiologici, virologi, infettivologi di tutto il mondo sanno quanto le pandemie influenzali siano pericolose e aggiornano piani d’emergenza da attuare durante future pandemie, per fronteggiare diversi possibili scenari. Nella formulazione di queste simulazioni concorrono i dati epidemiologici derivanti dalle pandemie dal passato; inspiegabilmente, della pandemia asiatica del 1957 e poi di quella di Hong Kong del 1968 c’è stata una mancanza di dati relativi alla mortalità globale.

Uno studio pubblicato sul Journal of Infectious  Diseases nel marzo del 2016 – Global mortality Impact of 1957-1959 Influenza Pandemic – tenta di colmare questa lacuna accedendo ai database dettagliati dell’OMS relativi all’aumento della mortalità associato alla pandemia asiatica in 39 paesi del mondo. Gli autori hanno cercato di indagare anche la correlazione tra tasso di mortalità e grado di sviluppo economico dei diversi paesi introducendo degli indicatori specifici.

I metodi dello studio

Gi autori si sono serviti del database dell’OMS disponibile online, selezionando un periodo temporale che va dal 1955 al 1965, o anche più lungo. Questa scelta ha consentito loro di ricostruire una mortalità di base, diversa per ciascun paese, prima e dopo della pandemia, cercando di cogliere un aumento nel numero dei decessi nel periodo di massima diffusione del virus e per identificare anche eventuali successive ondate dopo il 1959.

Hanno utilizzato poi la Classificazione Internazionale delle malattie, Settima revisione, per ripartire i decessi per le cause sottostanti, selezionandole tra polmonite, influenza, malattie respiratorie e malattie cardiache. Hanno poi diviso i morti in sette gruppi di età.

Per quello che riguarda gli indicatori dello sviluppo economico hanno utilizzato il prodotto interno lordo e il prodotto nazionale lordo nei paesi presi in esame tra il 1960 e il 1975, includendo poi il tasso di mortalità infantile tra il 1950-1970. Quest’ultimo indicatore, insieme alla aspettativa media di vita, rappresenta un importante parametro per valutare la efficienza di un sistema sanitario, variabile che di certo influenza la mortalità per una pandemia; mentre i primi due indicatori hanno la principale funzione di valutare l’impatto economico che la pandemia ha avuto sui diversi stati, tendendo conto della loro condizione di partenza.

I risultati dello studio sull’influenza asiatica

Lo studio ha messo in evidenza una marcata eterogeneità tra l’aumento del tasso di mortalità nei diversi paesi: ha rilevato infatti una differenza di più di 70 volte tra l’aumento di mortalità associata a malattie respiratorie nei vari paesi.

I paesi Europei sono risultati quelli  meno colpiti, mentre i più interessati da un aumento dei decessi sono stati quelle dell’America latina e la Finlandia. In alcuni stati l’incremento delle morti è stato ritardato al secondo o terzo anno di pandemia – è il caso dei paesi europei e dell’Australia.

Se si osserva l’eccesso di mortalità età specifico, si constata un aumento considerevole in entrambi gli estremi: come ci si può aspettare i bambini molto piccoli e gli individui più anziani si confermano come i pazienti fragili della popolazione. Ma se si effettua una comparazione tra la mortalità pre-pandemica e la mortalità durante la pandemia, è tra i giovani adulti che l’incremento è stato più significativo, specie in Europa – che tuttavia si conferma come il continente in cui globalmente l’aumento del numero di decessi è stato più contenuto.

Guardando i dati economici, l’unico indice che sembra essere utile per formulare una previsione delle morti per pandemia e dell’eccesso di mortalità cumulativa è il prodotto interno lordo.

Gli autori sono arrivati quindi ad una stima: solo nel 1957, nel mondo si è verificato un aumento del tasso di mortalità di circa 4 morti/10.000 abitanti (95% IC, 2.6-5.3 morti/10.000 abitanti), corrispondenti a 1.1 milioni di morti per malattie respiratorie in più rispetto a quelli attesi sulla base delle stime fatte dagli anni pre-pandemici.

Conclusioni

Questi dati non possono che ricordarci quanto le malattie infettive siano ancora un problema con cui l’uomo contemporaneo si deve confrontare. Le pandemie, anche quelle meno mediatiche possono avere un impatto drammatico, che non può né deve essere sottovalutato. La formazione, la ricerca, una seria progettualità politica, la corretta informazione e la cooperazione internazionale sono le migliori armi che abbiamo per contrastare queste minacce invisibili.

Margherita Rugieri e Francesco Lodoli per Questione Civile

Sitografia

Viboud C, Simonsen L, Fuentes R, Flores J, Miller MA, Chowell G. Global Mortality Impact of the 1957-1959 Influenza Pandemic. J Infect Dis. 2016 Mar 1;213(5):738-45. doi: 10.1093/infdis/jiv534. PMID: 26908781; PMCID: PMC4747626.

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