Buoni o cattivi, buoni e cattivi
Buoni o cattivi, vittime o carnefici, innocenti o colpevoli: sono coppie sinonimiche o ci sono ragioni intrinseche che impediscono di renderle intercambiabili?
Questo è il quarto capitolo della rubrica che negli ultimi mesi ha cercato di indagare come le categorie di buoni e cattivi esistano specificatamente (e soltanto) nei film o in altre forme narrative che per loro natura devono operare delle semplificazioni. Ma anche in queste narrazioni, buoni e cattivi sono categorie che possono essere rilette alla luce della loro poca nettezza nella vita vera.
Dopo tre articoli forse il discorso risulterà piuttosto confuso. È il caso di proporre una breve sintesi.
Buoni o cattivi: cosa sappiamo fino ad ora?
Le idee sul male che ci siamo fatti primariamente erano idee fallaci, motivate da una semplificazione intuitiva ma in realtà del tutto arbitraria: le narrazioni cinematografiche di genere, come gli horror, ci insegnano che il male si dà in due forme: come macchina non umana (vedi qualsiasi serial killer mascherato) oppure come ritorno del rimosso (vedi le narrazioni di paranormale entro l’ambiente domestico).
Guardando Psycho abbiamo visto come così non è: il male non è né esterno all’uomo né parte di una qualche forza della Natura come ente assoluto. Esso, per il momento, può essere considerato parte della vita umana.
Dopo di ciò, abbiamo indagato come Hannibal Lecter possa mostrare che il male ha due caratteristiche intrinseche: esso è caotico, di contro al bene che, come spiega Agostino, è di per sé ordinato; in secondo luogo, il male è banale, nel senso che è ‘scontato che ci sia’, come spiega Arendt.
Con l’aiuto del nostro editor di Storia antica, Marco Alviani, abbiamo poi indagato le origini ideologiche del male nella narrazione. Così, tanto nel mito quanto in un film che da questo pesca molto qual è Il sacrificio del cervo sacro, abbiamo capito che il male punisce i “cattivi”, come nel mito di Ifigenia, ma allo stesso modo è parte della stessa esistenza dei “buoni”, come in Edipo e in Antigone.
Questo vuol dire che il male non dipende dall’esistenza di buoni o cattivi: esso non è semplicemente “parte” dell’uomo, ma è nell’uomo, ed è questo che lo rende banale e caotico.
Riconoscere il male: American Psycho
Rimane ancora qualcosa di irrisolto. Il bene abbiamo compreso come debba con sforzo essere scelto, ma il male? Esso si sceglie o è la naturale conseguenza dell’inazione?
Prima di scegliere qualcosa dobbiamo però renderci conto della possibilità. Insomma, anzitutto il male va riconosciuto come tale. Spieghiamo meglio: se il male è una forza così intrinsecamente umana come possiamo noi riuscire a renderci conto di una nostra caratteristica così permeante. La risposta è che in linea di massima non ci riusciamo.
Lo spiega bene American Psycho (2000) di Mary Harron. Ciò che c’è da sapere è che il protagonista, il consulente Patrick Bateman (Christian Bale) è così aggiogato, a suo dire, dalla vita che conduce – tra riunioni, colleghi ipocriti e rapporti umani scadenti – che non può far altro che usare violenza sugli altri, che siano o meno “colpevoli” ai suoi occhi e per i suoi “valori”.
Spiegare le ragioni intrinseche del male in Bateman ci porterebbe di nuovo a spiegare le due categorie del caos e della banalità. Quello che qui importa notare è l’assoluta sordità al male di chiunque circondi Bateman.
Per quanto lui placidamente confessi nefandezze e nefandezze nessuno gli crede, tutti ridono e vedono il male in altri soggetti che non sono lui e che nulla hanno commesso.
Forse la più eloquente scena in merito (più per il valore simbolico e narrativo che per il grado di “sordità” dell’ascoltatore) è quando in un club con la musica ad alto volume, Bateman dice alla bar-tender che non gli ha permesso di usare un buono per pagare il drink quali violenze vorrebbe farle, mentre lei di spalle non lo guarda mai, né allo specchio che le permetterebbe di vedere il volto irato di Bateman, né quando lui sorride prendendo i drink.
Il male come scelta: Arancia meccanica
Il mancato riconoscimento del male da parte di chi non sceglie il bene è quindi pressoché scontato. Così scontato, invece, non è la comprensione del male da parte di chi lo perpetra. Siamo abituati a storie su storie di “antagonisti” che scelgono alla fine la via della redenzione, votandosi definitivamente al bene, con uno zelo più profondo di chi fino a quel momento è stato il “buono”. Ma questo non vuol dire che il male sia una scelta di cui pentirsi e che non si possa continuare a perseguirlo.
Lo insegna bene un “classico” quale Arancia meccanica (1971) di Stanley Kubrik. La trama del film è molto complessa e sono numerosissime le letture attraverso i principali approcci critici, i quali portano spesso a significati distanti tra loro.
È anche per questo che ci limitiamo ad un singolo momento: la cura Ludovico.
La cura Ludovico
Il protagonista, Alex DeLarge (Malcolm McDowell), è un giovane votato alla più pura violenza: gode nel rubare, picchiare, abusare e uccidere. Tradito dai suoi amici, di cui è stato despota per anni, viene incarcerato. Con le sue abilità persuasive e un po’ di fortuna, Alex riesce ad accedere ad un progetto che gli permetterà di ridurre la sua pena a poche settimane: la cura Ludovico.
Egli viene legato a una sedia e, con delle pinze oculari che gli impediscono di sbattere le palpebre, è costretto a guardare filmati di sesso e violenza per ore. Il risultato è il rigetto completo di questi.
Attenzione però, Alex non ha eliminato da sé il desiderio di violenza ma ogni qualvolta proverà a dargli atto sarà colpito da nausea e malesseri fisici che gli impediranno di procedere oltre.
Il momento di massima icasticità sta nella critica che il cappellano del carcere propone al fautore della cura Ludovico, il Ministro degli Interni: il ministro non ha in alcun modo curato il male, ha solo impedito il libero arbitrio di un uomo, così che egli sì non causerà male non perché non voglia ma perché non può.
Una conclusione (inevitabilmente parziale) sul male: essere buoni o cattivi?
Proviamo a dare, in conclusione, qualche soluzione valida dalla nostra prospettiva in cui il cinema, quale prodotto della realtà ha inevitabilmente dei momenti di rispecchiamento di questa. D’altra parte se millenni di riflessioni filosofica e religiosa non hanno compreso la natura del male, non possiamo fare diversamente noi.
Il male si sceglie, eccome se sì sceglie. Ogni personaggio, e forse ogni uomo, scelgono il male in maniera del tutto attiva. L’inazione non basta affatto per potersi considerare dei “buoni” (Agostino ricorda la differenza che c’è tra essere buoni e fare del bene) ma non basta neanche perché si possa considerare qualcuno “cattivo”.
Il male, come puro darsi, è una scelta in ogni caso e questo lo rende quanto di più vicino esista al bene.
In fondo, come diceva Jaques Derrida, gli opposti contengono sempre se stessi, solo rigirati di segno.
Salvo Lo Magno per Questione Civile
Bibliografia
Le valutazioni di carattere filosofico, sul male e le concezioni storiche di esso provengono ancora una volta da:
Agostino, Le Confessioni, in qualsiasi edizioni
Hanna Arendt, La banalità del male, 1963, Feltrinelli
Sitografia
Le schede dei film sono consultabili ai rispettivi link di IMDb:
American Psycho: www.imdb.com
Arancia Meccanica: www.imdb.com