Nobel: Svante Pääbo, il premio per l’archeologo del DNA

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Le domande di un premio Nobel sull’evoluzione dell’uomo

Lo scorso 3 ottobre è stato assegnato il Nobel per la medicina e la fisiologia al biologo svedese Svante Pääbo: per le sue scoperte sul genoma degli ominidi estinti e sull’evoluzione della specie umana. È, infatti, considerato il padre della paleogenomica, perché ha avuto la felice intuizione di applicare le moderne tecnologie per il sequenziamento del genoma umano su ossa vecchie di migliaia di anni.

Biografia

Svante è un figlio d’arte, nato a Stoccolma nel 1955 dalla relazione extraconiugale tra Sune Bergström, premio Nobel per la medicina nel 1982 per i suoi studi sulle prostaglandine, e la chimica estone Karin Pääbo, da cui ha preso il cognome.

Ha studiato all’Università di Uppsala, prima nella Faculty of Humanities, poi nella School of Medicine, conseguendo il PhD nel 1986. È stato postdoc alle università di Zurigo e Berkeley, quindi professore all’Università di Monaco. Dal 1997 co-dirige il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, nella cui Università è Professore di Genetica e Biologia Evoluzionistica. Si è appassionato alla biologia molecolare, iniziando ad interessarsi all’analisi del genoma delle mummie, prima, e poi di un uomo preistorico, miracolosamente preservato nel ghiacciaio del Tirolo.

Si interessa quindi a due campi estremamente fertili della biologia: la genomica e l’evoluzionismo, provando a comprendere meglio, con lo studio dei nostri antenati preistorici, la biologia dell’uomo moderno. Da dove veniamo? Sembra questa la domanda che Pääbo si stesse facendo quando aveva inaugurato i suoi studi. Apparentemente potrebbe sembrare una domanda nata da una pura curiosità intellettuale, ma le ricadute delle sue scoperte sulla comprensione del genoma dell’uomo moderno sono notevoli e ancora forse non abbiamo compreso tutte le loro potenzialità.

La carriera di un Nobel

All’inizio della sua carriera, Svante Pääbo intuì l’affascinante possibilità di studiare il DNA Neanderthal con metodi genetici moderni, ma ne capì anche l’estrema difficoltà. Con il tempo il DNA si modifica e si degrada, si riduce in piccoli frammenti e contaminandosi con il materiale genetico di altri organismi – dai batteri agli uomini moderni. Sotto la guida di Allan Wilson, pioniere degli studi di biologia evolutiva, l’allora post-doc Svante Pääbo iniziò a studiare metodi specifici per sequenziare il DNA dei Neanderthal, sfidando il tempo.

Poi nel 2007, dopo appena 6 anni dalla conclusione del progetto genoma umano che ha consentito di mappare tutto il genoma dell’Uomo moderno, Pääbo fece una dichiarazione che ebbe dell’incredibile: di lì a poco avrebbe sequenziato tutto il genoma dell’uomo di Neanderthal! Il solo ambiziosissimo progetto gli valse l’onore di essere annoverato tra i 100 uomini più influenti del 2007 secondo il TIME

In solo due anni riuscì a realizzare il proprio pioneristico progetto. Ma quale fu la domanda che accese il suo interesse per il genoma degli ominidi del passato? Per capirlo dobbiamo fare un piccolo accenno su quanto fino ad allora si conoscesse della storia dei primi uomini. Si sapeva che l’Homo sapiens fosse apparso per la prima volta in Africa circa 300.000 anni fa e che i Neanderthal, i nostri più vicini parenti estinti, si fossero diffusi in Europa e Asia occidentale a partire da 400.000 anni fa, fino alla loro definitiva estinzione, 30.000 anni fa. Circa 70.000 anni fa, alcuni gruppi di sapiens migrarono fuori dall’Africa verso il Medio Oriente prima di spargersi nel resto del mondo. Sapiens e Neanderthal sono quindi coesistiti in Eurasia per decine di migliaia di anni. Ma in che modo interagirono?

L’intuizione di un Nobel: dai mitocondri ai nuclei

Nel 1990 Pääbo, appena divenuto Professore all’Università di Monaco, decise di analizzare il DNA dei mitocondri dei Neanderthal. I mitocondri sono degli organelli contenuti nelle cellule eucariote che potremmo semplicisticamente paragonare alla centrale energetica della cellula. Sono anche gli unici organelli che, insieme al nucleo, contengono DNA. Il DNA mitocondriale è organizzato però in piccole molecole circolari, presenti in innumerevoli copie e sono proprio le piccole dimensioni e la loro relativa abbondanza a renderli un target perfetto per le ricerche di Pääbo. Così facendo riuscì a sequenziare una parte del genoma mitocondriale dall’osso di un Neanderthal vissuto 40.000 anni fa!

Non era però sufficiente per capire la genetica degli ominidi del passato. Il materiale contenuto nei mitocondri, infatti, non è assolutamente rappresentativo del patrimonio genetico dell’organismo cui i mitocondri appartengono. Questi ultimi, infatti, probabilmente derivano da antichi batteri (procarioti) che vissero all’interno delle cellule eucariote, più evolute, in una relazione simbiontica. Con il tempo alcuni geni cellulari sono stati veicolati e custoditi all’interno dei mitocondri, per permettere loro di sintetizzare direttamente le proteine necessarie per la produzione di ATP, il combustibile della maggior parte delle reazioni chimiche endoergoniche che avvengono in un organismo. Il materiale genetico davvero significativo e rappresentativo di tutta la complessità biologica di un essere vivente è contenuto nel nucleo cellulare, ma è anche più labile e meno abbondante.

Una tecnica da Nobel per estrarre il DNA nucleare

Pääbo, nel frattempo approdato al Max Planck Institute di Lipsia (Germania) e circondato da esperti collaboratori, continuò a migliorare i metodi per isolarlo dai resti di ossa rinvenuti da archeologi e paleontologi. Fino al 2010, quando riuscì a pubblicare la prima sequenza genetica di Neanderthal: confrontandola con la nostra si vide che il più recente antenato comune tra sapiens e Neanderthal era vissuto circa 800.000 anni fa.

Confrontando il DNA dei Neanderthal con quello dell’Homo Sapiens ci si è accorti dell’esistenza di più affinità tra quelli rinvenuti nel continente euroasiatico piuttosto che in quello africano. In altri termini, ciò sta a significare che in Eurasia Neantherdal e homo sapiens non solo hanno convissuto ma si sono anche incrociati e che l’uomo moderno ha nel suo DNA dall’1 al 4 % del genoma dei Neanderthal.

Un nuovo ominide

 Nel 2008 nella grotta di Denisova, nel sud della Siberia, fu ritrovato il frammento di un osso di un dito contente DNA in un eccellente stato di conservazione. Pääbo non perse tempo e si mise a sequenziarlo, arrivando a una scoperta epocale: quel DNA non somigliava né a quello dell’uomo moderno né a quello Neanderthal. Si trattava del codice genetico di una nuova specie di ominide, che venne chiamata Uomo di Denisova. Anch’esso ci ha lasciato in eredità una parte di geni. Le popolazioni della Melanesia e di altre parti del sudest Asiatico ospitano fino al 6% di DNA denisoviano.

Ma le scoperte di Pääbo sono rilevanti anche per la comprensione della fisiologia dell’uomo moderno. Un esempio? La versione denisoviana del gene EPAS1, comune nelle odierne popolazioni tibetane, conferisce un vantaggio di sopravvivenza alle altitudini elevate. Questo gene codifica per un fattore di trascrizione inducibile dall’ipossia, cioè una macchina molecolare che ha la possibilità di attivare l’espressione di alcuni geni coinvolti nell’adattamento dell’organismo alla sopravvivenza ad alte quote, dove l’atmosfera è più rarefatta e, con essa, anche l’ossigeno.

Conclusioni

Studiare il genoma umano nelle sue innumerevoli componenti, assemblare il puzzle che è l’essere umano è il grande e ambizioso progetto della biologia evoluzionistica e della genomica. Comprendere da dove vengono i nostri geni nasconde in sé l’affascinante possibilità di comprendere noi stessi e di avere nuovi strumenti per conoscere e combattere i mali che affliggono l’Umanità.

Ogni male fisico e mentale dell’Uomo è già scritto nel suo codice genetico, e anche se forse non saremo mai in grado di cancellare dalle nostre vite sofferenze e malattie, imparando più sul nostro di DNA, grazie a Svante Pääbo possiamo ambire a combatterle e a comprenderle meglio.

Francesco Lodoli per Questione Civile

Sitografia

https://www.geopop.it/chi-e-svante-paabo-il-padre-della-paleogenomica-che-ha-vinto-il-nobel-per-la-medicina-2022/

https://www.unife.it/it/notizie/2022/scienza-cultura-e-ricerca/nobel-medicina-svante-paabo

https://www.focus.it/temi/svante-p%C3%A4%C3%A4bo

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