Il sistema dopaminergico: dal Parkinson alla schizofrenia

sistema dopaminergico

Che cos’è il sistema dopaminergico? Quali sono le sue funzioni? Alla scoperta del centro del movimento e della volontà

Per sistema dopaminergico ci si riferisce al complesso di circuiti nervosi composti da neuroni dopaminergici, cioè contenenti dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore appartenente alle catecolamine, insieme all’adrenalina e alla noradrenalina.

I neuroni dopaminergici sono localizzati prevalentemente nel mesencefalo, in due strutture chiamate: sostanza nera e area tegmentale ventrale. Le loro funzioni sono ancora oggetto di studio, ma sappiamo che svolgono un importante ruolo nella programmazione e nella coordinazione dei movimenti volontari, così come anche in processi cognitivi più raffinati, come la motivazione e la dipendenza.

Il sistema dopaminergico

La sostanza nera è localizzata nel mesencefalo, la porzione più craniale del tronco encefalico. Questa struttura anatomica è in comunicazione reciproca con i gangli della base, nuclei di sostanza grigia alla base del telencefalo. Queste connessioni sono responsabili del controllo dei movimenti volontari, permettendoci di eseguirli con estrema precisione.

L’area tegmentale ventrale, invece, proietta le sue terminazioni nervose al nucleo accumbens septi e alla corteccia prefrontale, nella sua parte dorsolaterale e in quella ventromediale. Queste proiezioni sono più legate all’elaborazione del processo motivazionale.

È bene ricordare che questo è solo un modello semplificativo del sistema dopaminergico umano e che la suddivisione funzionale movimento-motivazione è didattica. Nella realtà le due funzioni si compenetrano.

La perdita di neuroni dopaminergici porta al Parkinson

Il morbo di Parkinson è una delle malattie neurodegenerative più diffuse nella popolazione adulta. Sebbene esistano delle forme familiari, ad esordio precoce, la maggioranza dei casi sono delle forme sporadiche che si verificano in età avanzata. Il morbo di Parkinson è, come quello di Alzheimer, caratterizzato dalla perdita di neuroni come conseguenza dell’accumulo intracellulare di proteine aberranti.

Nel caso del Parkinson, la proteina anomala è l’α-sinucleina. Tralasciando gli aspetti più tecnici, possiamo immaginare che il problema sia derivato dalla perdita di neuroni della sostanza nera del mesencefalo, causata dall’accumulo di tali proteine all’interno delle cellule.

La riduzione della quantità di dopamina a livello dei gangli della base (vd. prima) ne altera il funzionamento, determinando le due principali manifestazioni sintomatologiche del Parkinson:

  1. Riduzione dell’iniziativa motoria: il paziente impiega più tempo del normale ad iniziare l’azione;
  2. Riduzione del controllo dei movimenti involontari: il paziente presenta fini tremori a riposo che si interrompono quando decide di compiere un movimento volontario.

Da un punto di vista anatomopatologico la perdita di neuroni dopaminergici nel paziente con Parkinson si manifesta con una perdita della pigmentazione della Substantia Nigra; mentre dal punto di vista funzionale, a conferma del ruolo fondamentale del sistema dopaminergico nella patogenesi di questa malattia, c’è il fatto che il trattamento con levo-dopa, un precursore della dopamina, determini un miglioramento clinico significativo del paziente, per almeno i primi due anni dall’esordio.

La dopamina: il neurotrasmettitore del piacere?

Negli anni ’60 Olds e Milner condussero degli esperimenti inserendo degli elettrodi nel cervello dei ratti. Stimolando una parte dell’ipotalamo, gli animali tendevano a tornare sempre nel punto della gabbia dove avevano ricevuto la prima stimolazione; così i ricercatori decisero di collegare l’attivazione dell’elettrodo con l’abbassamento di una leva, ed incredibilmente i ratti iniziarono ad autostimolarsi numerose volte, abbassando la leva. Ovviamente quella stimolazione elettrica funzionava da rinforzo per il movimento del ratto (abbassare la leva) e di conseguenza aumentava la frequenza del movimento, per tale motivo si pensò di aver scoperto i centri del piacere.

Nell’ipotalamo laterale decorre il Medial Forebrain Bundle (MFB), in cui ci sono fibre sia dopaminergiche che noradrenergiche. Gli studi si sono concentrati soprattutto sulle fibre dopaminergiche e si è visto che riducendo l’attività di tali fibre si produceva afagia e perdita di motivazione. Il ratto da laboratorio diventa disinteressato ai normali stimoli gratificanti, quali mangiare, bere e accoppiarsi.

Sembrerebbe, quindi, esserci una correlazione tra l’esecuzione di un comportamento gratificante e il rilascio di dopamina. C’è tuttavia da chiedersi quale sia la natura di questa correlazione: il rilascio di dopamina determina l’esecuzione del comportamento o lo segue?

Ci sono tre ipotesi principali:

1) La dopamina codifica il piacere che si prova in presenza di uno stimolo gratificante, tale ipotesi proposta da Roy Wise è stata smentita da varie evidenze sperimentali.

2) La dopamina funziona come meccanismo di apprendimento: il cosiddetto ‘prediction error signals’;

3) Terza l’ipotesi è quella della ‘salienza incentivante’: la dopamina codifica il desiderio, il fatto che l’animale voglia qualcosa a prescindere dal fatto che ciò che desira causi piacere o meno.

Il sistema dopaminergico e il prediction error signals

La seconda ipotesi, quella dell’apprendimento, fu proposta da Wolfram Schultz ed è basata sul prediction error signals. Negli esperimenti si posizionano degli elettrodi nel cervello delle scimmie e si misura l’attività di alcuni neuroni rilevanti per il sistema dopaminergico.

Se la scimmia mangia qualcosa di dolce (es. succo di mela) questo sarà uno stimolo incondizionato (US), cioè non dipendente dall’apprendimento. La scimmia dopo questo stimolo avrà un aumento dell’attività dopaminergica.

Invece nel caso dello stimolo condizionato (CS), la scimmia avrà un aumento della dopamina in seguito ad uno stimolo neutro (es. suono di una campanella) perché è stata istruita ad aspettarsi qualcosa di dolce dopo tale stimolo neutro. Il valore predittivo P, indica il numero di volte che presentiamo lo stimolo neutro prima della somministrazione del succo di mela. Aumentando il valore predittivo, fino al valore di 0.50 (50%), l’aumento di trasmissione dopaminergica si sposta dallo stimolo incondizionato allo stimolo condizionato. Se lo stimolo predice al 100% (P=1) l’arrivo del succo di mela, l’attivazione dopaminergica si avrà quando ci sarà lo stimolo condizionato (suono della campanella). Ovviamente se dopo lo stimolo condizionato non si somministra il succo di mela, la quantità di dopamina diminuisce.

La celebre teoria del condizionamento pavloviano ha così trovato una base neurofisiologica.

Sistema dopaminergico e salienza incentivante

L’ultima ipotesi è stata proposta da Kent Berridge e Terry Robinson, i quali hanno sviluppato un modello simile al modello già esistente dello psicologo Brinda. In tale modello si afferma che c’è un’area del cervello che raccoglie tutto ciò che può dare gratificazione, a prescindere dal fatto che possa essere associato ad uno stimolo condizionato o meno, e che l’attivazione di questo circuito produca sia una sensazione soggettiva del piacere che il desiderio di ottenere quella cosa.

In altri termini in questo modello, oggi il più accreditato tra le teorie neurofisiologiche della motivazione, suggerisce l’esistenza di due circuiti indipendenti tra loro: quello del volere (wanting) e quello del piacere (liking). Il sistema dopaminergico, secondo questa teoria, attribuisce a uno stimolo, indipendentemente se condizionato o incondizionato e quindi indipendentemente se questo possa o meno arrecare piacere al soggetto che lo possiede, una salienza incentivante.

Provando a comprendere meglio il significato di questa espressione: il cervello attribuisce salienza – cioè importanza, attenzione – a uno stimolo tanto da incentivare – incentivante – il soggetto a un’azione.

Questa teoria riesce a spiegare molto bene il meccanismo alla base del disturbo paranoide proprio dei pazienti schizofrenici: in questi soggetti, il sistema dopaminergico è iperattivo e l’eccesso di dopamina determina l’attribuzione aberrante di salienza incentivante a uno stimolo neutro, come ad esempio un passante che cammina su un marciapiede con un impermeabile.

La parte conscia del paziente genera quindi una narrazione paranoide per giustificare l’inappropriata attribuzione di salienza a quello stimolo.

Schizofrenia, psicosi e sostanze d’abuso

La schizofrenia è un disturbo psichiatrico tra i meno prevalenti nella popolazione generale – prevalenza di circa l’1% – ma anche tra i più drammatici che conosciamo.

I tratti distintivi della patologia sono allucinazioni (più spesso uditive, ma anche visive, olfattive, tattili) e disturbo paranoide. In questo caso il sistema dopaminergico del paziente sarà portato ad attribuire salienza incentivante all’allucinazione, sviluppando una narrazione paranoide e un atteggiamento psicotico.

A sostegno della teoria che alla base di questa patologia ci sarebbe un eccesso di dopamina ci sarebbe proprio il fatto che utilizzando dei farmaci anti-dopaminergici, sia possibile far regredire la sintomatologia del paziente. L’allucinazione, originata spesso da un disturbo organico congenito, non verrà abolita, ma la riduzione dei livelli di dopamina permetteranno al paziente di non concentrare più la sua attenzione su di essa, riuscendo a superare lo stato psicotico e a vivere una vita quasi normale.

Un’altra prova indiretta della validità di questo modello viene dalle sostanze d’abuso come la cocaina e l’anfetamina che, determinando l’aumento dei livelli di alcuni neurotrasmettitori a livello sinaptico, tra cui la dopamina, possono indurre stati psicotici che generalmente regrediscono quando gli effetti della sostanza si esauriscono. In altri casi, più sfortunati, l’uso di sostanze d’abuso può slatentizzare un disturbo schizofrenico per il quale il paziente aveva una predisposizione genetica, pur non avendolo mai sviluppato in modo evidente.

Francesco Lodoli per Questione Civile

Bibliografia

Neuroanatomy: Text and Atlas, 5e, John H. Martin

Harrison’s Principles of Internal Medicine, 21e Joseph Loscalzo, Anthony Fauci, Dennis Kasper, Stephen Hauser, Dan Longo, J. Larry Jameson

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1 commento su “Il sistema dopaminergico: dal Parkinson alla schizofrenia

  1. Gaetano Giovedi Rispondi

    Interessantissimo, soprattutto per capire l’equilibrio necessario per fare una prosecuziione di vita non alterata dai farmaci anti parkinson. Per me quest’articolo sarà molto utile per quest’ultimo fine. Cioè se nei miei comportamenti o sensazioni sarò IO o il mio cervello.

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