Giosue Carducci da riscoprire: profilo di un ex-vate

Giosue Carducci

Giosue Carducci è uscito dal gruppo

Come Jack Frusciante, anche Giosuè (più correttamente Giosue, come egli si firmava) Carducci, nato nel 1835 e morto nel 1907 con un premio Nobel sulla mensola, è uscito dal gruppo. Da che gruppo? Da quello degli «scrittori che contano». Anche qui urge un «più correttamente»: egli infatti è uscito dal novero degli autori che, venendo antologizzati e proposti allo studio sistematico degli studenti superiori, finiscono per rivestire, nell’immaginario collettivo, una funzione di orientamento e di riferimento all’interno di quella «selva» che è la letteratura e, più latamente, la cultura italiana. 

Insomma il Carducci è uscito dal canone. Retorico, impoetico, banale, troppo «sano» per essere un poeta: tutti questi giudizi gli sono stati ingenerosamente affibbiati. 

Mai uno studioso, o anche solo uno studente «maturato» cento, cinquanta o quarant’anni fa, avrebbe potuto immaginare un sì drastico destino per colui che, programma d’esame liceale del 1925 alla mano, forniva il più oneroso carico di studi fra i poeti «moderni». Oggi, a leggere solamente le introduzioni alle più recenti raccolte poetiche del Carducci, si nota un palpabile imbarazzo dei curatori, che ora cercano di giustificare la loro impresa editoriale ritenuta «futile», ora ridimensionano enormemente il giudizio sulla qualità della poesia di quel ch’era conosciuto come il Vate dell’Italia unita.   

Alla riscoperta del Carducci tragico

Rimane (spero) nell’immaginario collettivo una sola composizione del Carducci: Pianto antico («L’albero a cui tendevi / la pargoletta mano, / il verde melograno…»), stancamente inserita nei programmi di maturità e di terza media e molto spesso banalizzata. Stando così le cose, si partirà da qui. La poesia in questione, notoriamente dedicata al figlioletto di Giosue, Dante, morto a soli tre anni – come, ricordiamo, non era eccezionale negli anni ‘70 del secolo XIX –, contrappone il rigoglio del «verde melograno» che fiorisce nell’orto di casa Carducci al corpo del piccolo Dante, che il sole – o l’amore paterno – è incapace a risvegliare.

La poesia si chiude così: «Sei nella terra fredda / sei nella terra negra, / né il sol più ti rallegra / né ti risveglia amor». In questa «terra» si riverbera l’immagine delle radici del melograno comparso al verso 3; melograno che dalla terra trae le sostanze vitali per rifiorire. 

Ecco dunque la sorte del piccolo, e di ogni uomo, ridotto con spietata lucidità neo-pagana alla pura corporeità – una corporeità però sofferente e sconfitta, tutt’altro che neoclassicamente idealizzata –: alimentare un ciclo cosmico di vita, morte e generazione, senza scopo (ciò che filosoficamente diremmo Necessità); un ciclo che tal essendo mai conduce al Nulla (condizione agognata) né conduce a nulla.

La «vita» del poeta, privata dell’«estremo unico fior» – il figlio, su cui riversare il proprio amore e le proprie speranze; ma per traslato la Speranza stessa in un avvenire migliore – vien definita «inutile». Eppure, proprio su quest’amara constatazione, nel Carducci s’innesta una tensione civile e morale difficilmente riscontrabile nei suoi colleghi coevi. 

Giosue Carducci buon leopardiano

Con parole di Pantaleo Palmieri, vien qui d’obbligo la menzione di Carducci «buon leopardiano»: non già per la pubblica ammirazione che il poeta di Castagneto tributò al recanatese, del cui Zibaldone fu per altro primo editore della storia; quanto piuttosto per un’affinità di vedute e di fare poesia (ovviamente fatta salva l’originalità e l’irripetibilità di ciascuna esperienza poetica). 

Come il Leopardi, anche il Carducci (ben più funestato da tragedie esistenziali del collega morto pochi anni dopo la sua nascita) si affaccia sul baratro del l’insensatezza della vita, della crudele «Divina Indifferenza». Come il Leopardi – il quale, checché ne dicano alcuni prontuari scolastici, non abbandonò mai totalmente il cosiddetto pessimismo storico, il quale piuttosto convisse con quello cosiddetto cosmico  –, pure il Vate meditò poeticamente di storia e filosofia, tracciando un bilancio negativo dell’instaurazione del Cristianesimo, e in ispecie del Cattolicesimo post-tridentino, represso e repressore; un Cattolicesimo ingannatore nel suo offrire posticce consolazioni ai popoli oppressi; un Cattolicesimo avvertito pienamente come «morale degli schiavi», con un anticipo notevole su Nietzsche e con affascinanti consonanze appunto col maestro Leopardi e con il coevo e amato scrittore tedesco Heine. 

Dal diavolo al Papa

Ciò che più detestava il Carducci di questa religione posticcia non era certo il culto di Cristo o della Madonna, cui per altro egli nelle sue poesie tributò notevole rispetto; era bensì la volontà d’imporre un’unica Verità, che da religiosa si faceva pure politica. 

Non dimentichiamo che il Nostro scrisse negli anni a cavallo della presa di Porta Pia (1870); anni durante i quali un megalomane papa-re, Pio IX, si autodefiniva infallibile, rinchiudeva – ultimo in Europa di quella stagione – gli Ebrei nei ghetti e scomunicava tutti i partiti politici italiani. 

Ma se il primo Carducci fu poeta roboante e «satanico» (all’angelo caduto egli scrisse un Inno, invero dedicato al progresso e alla libertà di pensiero), indignato per la mortale «stretta di mano» fra «Cesare» (il potere temporale) e (il successore di San) «Pietro», sempre foriera di spargimenti di «sangue umano» (Via Ugo Bassi), con il tempo le cose parzialmente cambiarono. 

Una volta che Roma fu annessa allo Stato italiano, Carducci comprese la necessità di una pacificazione personale (ma soprattutto delle istituzioni statali) con il mondo cattolico, in Italia prevalente. Così egli, nell’ultimo componimento della sua raccolta Giambi ed epodi, arrivò ad invitare il «cittadino Mastai» (Pio IX) a «bere un bicchiere» in compagnia, mostrandosi poi vieppiù conciliante.

Giosue Carducci padre d’Italia

Quello che muoveva Carducci infatti, al netto di una riflessione filosofica che virilmente rifiutava la postura tremolante e pavida del cattolico ortodosso, era un forte spirito di conciliazione intriso di patriottismo: le sue poesie post-1870 possono leggersi come un appassionato appello all’Unità della nazione: Unità, si badi, non come valore astratto, bensì come prassi da coltivare nelle diversità che animano la nostra penisola e che anzi l’arricchiscono.

E Carducci le diversità, più che ogni altro poeta, seppe cantare. Lo fece soprattutto nelle Odi barbare, ove glorificò con le sue attenzioni poetiche le più disparate e remote parti della Penisola (da Roma a Courmayeur; dal meridione grecizzante all’Umbria tutta intrisa di spirito cristiano medievale), così come le più diverse tradizioni popolari (dalle leggende montane a quelle marinaresche) e i più diversi tipi umani del passato e del presente (dagli eroi romani ai coevi patrioti agli studenti universitari; dalle principesse alle villanelle). 

La poesia di Carducci, dunque, si sforzò mirabilmente (pur con certi scivoloni) di farsi viatico alla civiltà per un’Italia culturalmente arretrata e scolasticamente ingabbiata nel paternalismo manzoniano che invitava alla rassegnazione sociale.

Così, pur senza mai cedere all’ottimismo troppo facile; senza mai dimenticare la tragicità della condizione umana (tanto che la Morte e la figura di un dio tirannico sempre aleggiano nelle poesie post-unitarie del Nostro, conferendovi un fascino e un respiro unico), Carducci tentò di offrire alla nascente nazione una lezione politica e poetica di concordia sociale, di rigore civile e morale, di apertura mentale e soprattutto di amore per il bello. Una lezione che fu ahinoi assai disattesa e che, in tempi di forte crisi come i nostri, sarebbe bene riscoprire. 

Andrea Monti per Questione Civile 

Bibliografia:

Un qualsiasi volume di poesie di Carducci (innumerevoli e molto varie per prezzi e destinatario le edizioni in commercio o reperibili in biblioteca)

C. Caruso, F. Casari, Come lavorava Carducci, Carocci, Roma, 2020

B. Croce, Giosuè Carducci. Studio critico, Laterza, 1946 (e altre edd.)

Sitografia:

Pantaleo Palmieri, Carducci buon leopardiano (conferenza presso la Rubiconia accademia dei Filopatridi) – www.YouTube.com

Luca Serianni, Alla (ri)scoperta di un poeta: Giosue Carducci – www.YouTube.com 

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