Xavier Dolan e il suo teatro logorroico

Xavier Dolan

Le caratteristiche del teatro di Xavier Dolan

Il quarto articolo sul cinema espressionista contemporaneo è dedicato al regista e attore canadese Xavier Dolan: teatralità realistica, la complessità dei rapporti umani in una catartica narrazione logorroica.

Cenni biografici su Xavier Dolan

Xavier Dolan, regista, sceneggiatore, attore e produttore principalmente, è nato a Montréal, nel Québec, il 20 marzo del 1989. Nel 2014 si è aggiudicato il Premio della giuria alla 67ª edizione del Festival di Cannes per il film Mommy; mentre nel 2016 ha vinto il Grand Prix alla 69ª edizione del Festival di Cannes con È solo la fine del mondo.

Xavier Dolan inizia la sua carriera da giovanissimo. La sua cifra stilistica si distingue immediatamente nel panorama cinematografico del suo tempo, manifestando una creatività teatrale, brillante e intensamente introspettiva. Nel seguente articolo analizzeremo i suoi più noti e amati capolavori.

“Nuovo cinema espressionista”
-N. 4
Questo è il quarto numero della Rubrica di Area dal titolo “Nuovo cinema espressionista”, appartenente alla Macroarea di Lettere e Cinema

La potente autobiografia di Xavier Dolan : J’ai tué ma mère

Nel 2008, a diciannove anni, Dolan inizia la produzione del suo primo lungometraggio da regista, J’ai tué ma mère, basato su una sua sceneggiatura semi-autobiografica, scritta quando aveva sedici anni. Nell’aprile 2009, il film viene selezionato per la “Quinzaine des Réalisateurs” al Festival di Cannes del 2009, in cui vince tre premi: Premio Art Cinéma, Premio SACD e Premio Regards Jeunes.

Per comprendere l’arte di Xavier Dolan è necessario guardare J’ai tué ma mère. La prima opera del regista è un prodotto “di pancia”, istintivo, un diario adolescenziale intimo, passionale, violento e sconvolgente. C’è una potenza rara nel suo gesto registico, un disordine, un’interiorità denudata, ma anche furbizia e conoscenza del linguaggio d’espressione. Il suo è cinema consapevole e spontaneo allo stesso tempo.

Un’autobiografia romanzata sul rapporto contrastato con la madre, un melodramma sperimentale che getterà le basi per una tematica tanto amata dal regista, quella del rapporto tra madre e figlio. J’ai tué ma mère è un’epopea drammatica sulla precocità e i suoi dolori, sul cammino sofferto verso l’autonomia, sul travagliato distacco dal mondo familiare. Un esordio a dir poco impressionante, per la maturità della scrittura e dell’approccio visivo, per come riesce a delineare un mondo poetico perfettamente definito.

Il rifiuto di ogni etichetta e la necessità di affermarsi come individuo, l’inesistenza di un modo giusto di organizzare l’esistenza, saranno temi che torneranno spessissimo nell’arte del regista canadese. Continuerà a porre l’esperienza soggettiva al centro della scena, senza elevarla a esempio di nulla e senza agganciarla a schemi culturali predefiniti.

È proprio da questo primo film che si afferma il tratto più caratteristico e amato di Dolan: la comunicazione estremamente logorroica degli eccentrici protagonisti, che si parlano sopra a più non posso, non rispettando gli spazi altrui, sono specchio di un terrore mai esorcizzato.

Dolan e il rapporto madre-figlio: Mommy

Uno dei capolavori più longevi, apprezzati e impattanti, considerato una pietra miliare della cinematografia contemporanea di nicchia, è certamente Mommy (2014). La pellicolaè un manifesto, un urlo di sfogo o un messaggio scritto a caratteri cubitali, un’estensione di J’ai tué ma mère ma più strutturato, struggente e “mainstream”.

L’opera racconta di un rapporto madre-figlio, un amore fusionale, totale e melodrammatico, tra un ragazzo problematico e una donna vedova, single e nevrotica. I due vanno a vivere insieme in un piccolo quartiere, specchio delle esigue possibilità economiche che hanno. Il film si apre con una scritta in sovraimpressione, in cui si dice che siamo in un futuro prossimo, di un Canada dove è possibile affidare (o internare) figli problematici in ospedali psichiatrici appositi.

Che farne di questo figlio impossibile da gestire, dunque? Un violento, scontroso, iperattivo quindicenne (interpretato da un Antoine-Olivier Pilon mostruosamente bravo), da cui si può solo rimanere soggiogati, in un modo o nell’altro. La madre lo ama alla follia e lui ricambia, un complesso edipico quasi esagerato. I due si insultano e si abbracciano, litigano furiosamente per poi giurarsi amore eterno, come una qualsiasi coppia di madre e figlio adolescente.

In Mommy regna un’estetica ammaliante, iperemotiva, pregna di suoni sporchi, di rumori invadenti, di vita di strada che mischia realismo e teatralità in maniera catartica e originalissima. E di nuovo tornano i perni dell’estetica emotiva di Xavier Dolan: le bellissime musiche iper-pop e i dialoghi gridati, mai parlati, tutti sovrapposti. Di nuovo, torna l’incapacità di stare fermi, di rilassarsi, il terrore di non essere ascoltati, di non essere capiti. Un terrore frutto di una società odierna frenetica, menefreghista e sovrastante, che obbliga ad urlare pur di far sentire la propria voce.

Come già accennato, nel 2014 Mommy ha vinto il Premio della giuria al Festival di Cannes.

Xavier Dolan e il linguaggio libero dalle etichette: Laurence Anyways

Laurence Anyways è in assoluto l’opera più teatrale di Xavier Dolan, e già dalla trama ciò appare evidente a chi conosce l’impronta dell’artista: Laurence decide di liberarsi dalla menzogna e confida alla sua compagna di vita di voler diventare una donna.

Con questa pellicola, il regista alza la posta in gioco: come Laurence, Xavier Dolan non accetta un’identità precostituita, volendo rimanere aperto e duttile. Con quasi tre ore di durata, Laurence Anyways è un film indubbiamente ambizioso, che non conosce mediazioni, in cui non si trattiene nulla. Drammaticamente e meravigliosamente teatrale, straripante, con un’urgenza espressiva che afferma la sua unicità proprio in quel dilagare, in quel trascinare tutto.

È il film in cui Dolan mette in scena un’autobiografia sublimata, tramite una narrazione che, senza far ricorso a espedienti psicologistici, rende il dramma dei personaggi nelle forme della visione. Laurence, lo dice, sta per morire: sta per morire in quell’identità in cui non si riconosce.

La sua non è una scelta, è un bisogno vitale. Il cambiamento radicale investe Fred, la compagna, e per entrambi si manifesta la necessità di reinterpretare qualsiasi cosa, il passato, il presente e l’idea di futuro. Tanto profondo il sentimento, tanto tormentato il cammino, la ricerca di un nuovo terreno comune, poiché il cambio d’identità di Laurence porta la stessa Fred a mettere in discussione la propria.

Il film diventa quindi un viaggio esistenziale di dieci anni, che condurrà i due amanti al cambiamento e alla coscienza delle conseguenze delle loro azioni. E ancora una volta, come nei due esempi precedenti, è centrale il rapporto con la madre; mentre, di nuovo, la figura del padre è inesistente, di nessun peso. Emblematica è la citazione più famosa della protagonista Lawrence:

«Cerco una persona che comprenda la mia lingua… e che la parli. Una persona che senza essere un paria, non si interessi solo e semplicemente del valore e dei diritti degli emarginati, ma dei diritti e del valore di coloro che si considerano normali»

Alice Gaglio per Questione Civile

Bibliografia

Xavier Dolan, J’ai tué ma mère, Mifilifilms, 2009.

Xavier Dolan, Mommy, Metafilms, 2014.

Xavier Dolan, Laurence Anyways, Lyla Films, MK2 Productions, 2012.

Sitografia

www.criticaleye.it

www.internazionale.it

www.spietati.it

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