Disturbi alimentari nel mondo cinematografico

disturbi alimentari

Come i disturbi alimentari sono rappresentati nel cinema contemporaneo

Il cinema odierno ha preso diverse direzioni per quanto riguarda il complesso tema dei disturbi alimentari, una certezza è che se ne sta parlando sempre più.

Le diverse declinazioni

Contrariamente al pensiero di tanti, i disturbi alimentari sono un tema complesso, intricato e non ancora del tutto sviscerato, in quanto presentano declinazioni, cause ed effetti molti differenti.

Una tematica tanto vasta e inevitabilmente affascinante, specie per chi ne sa molto poco, ha ispirato i registi contemporanei, i quali l’hanno trattata in modalità varie. Di seguito esamineremo tre film contemporanei che analizzano i disturbi alimentati in un’ottica originale e creativa.

I disturbi alimentari in “Swallow”: alienazione sociale e perdita dell’Io

“Swallow”(2020) di Carlo Mirabella-Davis, presentato al Tribeca Film Festival, si colloca nella cerchia dei body horror. I body horror utilizzano la metafora del mutamento o della deformazione fisica operata sui personaggi come specchio del deterioramento mentale e/o sociale.

Le storia si presta a diverse chiavi di lettura, la prima e più immediata è la descrizione di uno dei disturbi realmente esistenti: il picacismo, infatti, è una condizione mentale nella quale il soggetto sente la necessità di ingoiare sostanze non commestibili, elemento che fornisce il sottotesto orrorifico che muove la vicenda. La condizione ci riporta immediatamente alla fase neonatale, un particolare periodo della vita in cui attraverso la bocca attuiamo la scoperta del mondo circostante, la fase orale che Freud descrive nelle sue opere. Fase neonatale che svolse un ruolo fondamentale nel suo essere traumatico, per l’insorgenza del disturbo.

Un nuovo livello di lettura si dispiega ai nostri occhi: rimpossessarsi di se stessi, del diritto di scelta e della propria individualità. Difatti, la voglia di ingoiare oggetti delle più disparate forme e dimensioni nasce come una cieca necessità di riappropriarsi del proprio diritto di scelta e della propria indipendenza. La protagonista, Hunter, colleziona ed espone in bella mostra gli oggetti che ha precedentemente ingoiato, testimonianza della sua libertà, simbolo di fuga da una realtà che non le appartiene.

Ed è qui che si setta l’ultima cifra di lettura, nonché la critica sociale al sogno americano, alla scalata sociale cha appare più opprimente e alienante di quanto la si immagini. Hunter vive in un ambiente estraneo, sempre giudicata e tacciata, considerata solo come moglie e, successivamente, madre. L’unica forma possibile di disubbidienza per lei passa dal di dentro. Hunter, attraverso il dolore, pretende di recuperare il contatto con un corpo altrimenti solo agìto, abitato distrattamente.

I disturbi alimentari in “To the Bone”: un’autobiografia che sottolinea la centralità dell’accudimento materno

“To the Bone”(2017) di Marti Noxon è un film parzialmente autobiografico (l’attrice protagonista Lily Collins ha infatti sofferto di disturbi alimentari in giovinezza), ma che non assume mai una piega completamente documentaristica.

L’ossessività e l’attaccamento morboso alla malattia si evincono da episodi in cui la protagonista è sul letto a stringersi il braccio tra indice e pollice per controllare che non stia ingrassando. Oppure al ristorante, in cui mastica il boccone e lo risputa nel tovagliolo, gettando lo spettatore nel più completo disagio. La protagonista, Ellen, fa un lungo percorso in cui inizialmente è strettamente legata alla malattia e all’ossessività, alla parte di sé che le permette di avere tutto sotto controllo. Nonchè tutto ciò che non ha: la madre che non si prende cura di lei, il padre assente.

Nel percorso, Ellen lotta contro le regole della casa, lotta con Luke che si innamora di lei, lotta col cibo che non ingoia o che sminuzza, fino a che un drammatico evento la conduce al collasso. Non esiste speranza e l’unico modo per uscirne è abbandonarsi, non lottare più e lasciarsi morire. Quando scappa e tocca il fondo, questo toccare la terra prematuramente la ricongiungerà non alla vita, ma alla speranza e all’amore di meritare anche lei la sua vita.

Nel climax del film, Ellen scappa e torna dalla vera madre, che la accoglie e comprende che ha smesso di lottare. Nel dialogo fra le due, la madre dice che accetta la malattia della figlia, accetta che non voglia più combattere, accetta Ellen per quella che è. La simbologia prende forma nella richiesta di poterla nutrire come se fosse appena nata. La madre la culla e la nutre, e la figlia ritrova finalmente l’antica relazione perduta.

Una scena di “To the Bone” (2017)

I disturbi alimentari in “Club Zero”: manipolazione sociologica di un mondo schiavo di mode e consumismo

“Club Zero”(2023) di Jessica Hausner è un’opera recentissima, che racconta un apparato visivo che si salda al racconto di una società chiusa in sé stessa. Il cibo diventa l’archetipo che si pone come metafora degli stigmi, dei traumi e delle rimozioni di una società privilegiata. D’altronde, l’alimentazione e tutto ciò che le sta intorno in termini di salute, agire sociale e sensibilità ecologica, è un problema tipico ed esclusivo del primo mondo.

Ecco perché per mezzo del cibo la regista trova il modo di mostrare riflessioni più ampie: quella sul rapporto fra genitori e figli e su quello fra questi ultimi e l’educazione scolastica, riducendo tutto a un gioco fra manipolazione, indottrinamento e relazioni tossiche. O come quella della fede, trasformando l’essenza di qualcosa di plastico come il cibo in pura trascendenza, elemento invisibile in cui si può o meno credere. Per questo poco prima del finale la regista inserisce un episodio estremamente disturbante, che rende la visione insopportabile. Così sfida lo spettatore a scendere a patti con un tema universale come quello del rapporto con il cibo, a negoziare con l’immagine, trovando dentro essa uno spazio emotivo.

“Club Zero” porta a galla i danni della manipolazione psicologica operata dalle sette, dalle mode, che ogni giorno contaminano la nostra realtà mietendo vittime fragili. La fede in qualcosa li fa sentire un gruppo e il sentimento di sacrificarsi insieme per una giusta causa ravviva la loro volontà, sebbene la devozione li porti a farsi del male. L’urgenza sociale denunciata attraverso l’esperienza di un gruppo di fanatici che vivono una loro realtà, lancia un grido di allarme dal grande schermo. Disturbi alimentari e non come l’anoressia, la bulimia, la mania del controllo, la sottomissione, sono mali del nostro tempo e non sempre causati da una famiglia disfunzionale o genitori assenti.

Alice Gaglio per Questione Civile

Sitografia

www.cinefacts.it

www.glipsicologi.info

www.elle.com

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