La Uno bianca: cronaca di una violenza cieca

Uno bianca

La storia della banda della Uno bianca

Una macchina che diventa simbolo di violenza, odio e sangue sparso. Una storia con dei risvolti inquietanti in un paese che si stava riprendendo dal terrorismo ovvero quella della banda della Uno bianca.

Italia criminale”
– N. 4
Questo è il quarto numero della Rubrica di Area dal titolo Italia criminale, appartenente all’Area di Storia Moderna e Contemporanea.

La Uno bianca: una macchina diventa simbolo del crimine

Nella lista delle automobili più vendute al mondo, l’ottavo posto lo occupa un’italiana.
Si tratta della Fiat uno, che ha debuttato a inizio anni ‘80, invadendo le strade del Belpaese e non solo.
Una macchina come tante, che ha avuto presa e fortuna, che è piaciuta ed è stata funzionale a cavallo di vecchio e nuovo millennio.

Un’automobile che in Italia, pochi anni dopo l’inizio della sua diffusione, ha cominciato a far paura, soprattutto nella sua versione bianca. La Uno bianca divenne presto il simbolo di una stagione di terrore per l’Emilia-Romagna, quasi un decennio di rapine e omicidi.

Una macchina che, come un fantasma, girava per le strade pronta a colpire, a ferire e uccidere per i soldi e il potere. Una storia italiana con un risvolto inquietante, di quelle che, ancora oggi, fanno dubitare dell’esistenza di un vero confine comprensibile tra bene e male.

I primi colpi della banda della Uno Bianca

La macchina che trasporta i criminali verso il loro primo colpo non è ancora una Uno. Si tratta sempre di una Fiat del 1983, una Regata per la precisione, destinata ad avere vita più breve sul mercato.

Giugno 1987, Pesaro. Sono anni di passaggio, un periodo in cui il terrorismo non uccide più e le stragi di mafia stanno iniziando. L’Italia sembra poter tornare a respirare. O forse no. Il casello autostradale della città marchigiana è la vittima designata. Un colpo liscio per una squadra che è all’inizio ma sembra già sapersi muovere nel migliore dei modi.
Il bottino non è dei migliori; un milione e trecentomila lire.

L’estate deve ancora iniziare nella bollente pianura padana, e si prepara ad essere segnata dalla violenza.
Sulle autostrade pronte ad accogliere i turisti in direzione mar Adriatico il male serpeggia, si muove di notte, agisce violento.

Sono undici le rapine ai caselli autostradali che segnano l’estate padana del 1987. A queste va aggiunto un dodicesimo colpo, il 24 luglio, messo a segno in un ufficio postale. Saranno i successivi obiettivi di elezione di una banda che non intende fermarsi. La fine dell’estate porta il primo ferito per mano della Uno bianca, all’altezza di San Lazzaro il 31 agosto.


Con l’autunno i caselli vengono sostituiti dalle poste e dai supermercati Coop, molto diffusi nella zona. Ottobre porta con sé un nuovo salto di qualità, il tentativo di estorsione ai danni di un concessionario riminese. La vittima chiede aiuto alle forze dell’ordine, e all’incontro con i criminali si presenta accompagnato. Ne risulta un conflitto a fuoco che porta al ferimento di tre poliziotti, uno dei quali morirà meno di un anno dopo.
Bisognerà attendere la fine della storia per comprendere la portata di quella notte sulla A14.

1988: la Uno Bianca spara per uccidere

Il 1988 segna un cambio di passo nella storia della Uno Bianca. Se fino a quel momento gli scontri a fuoco e i feriti erano stati quasi incidentali adesso si spara per uccidere.
Inizia tutto alla fine di gennaio, con una rapina a un portavalori davanti a un supermercato Coop. Siamo a Rimini, sempre sulla linea di fuoco che accompagnerà tutta la storia della banda. Due sono gli uomini alla guida del mezzo contro cui i banditi sparano.

Uno muore, l’altro rimane ferito e non sarà l’unico. Sono sette le persone colpite a vario titolo nella fuga, priva di bottino, della banda. Il mezzo usato è ancora la Fiat Regata, e non sembra esserci legame coi furti dell’estate ai caselli. Intanto però si è superata una linea, quella dell’omicidio, da cui sarà difficile tornare indietro. Se per rapinare si deve uccidere allora lo si fa, il messaggio sembra chiaro.

I furti nei supermercati Coop e ai portavalori proseguono e continuano a lasciare dietro sé sangue e dolore.
Febbraio, aprile, gli inquirenti iniziano a cercare risposte e le prime piste si muovono verso la criminalità comune. Vengono richieste ispezioni, effettuati sequestri, posti in essere i primi fermi.

Ci si domanda se possa esserci una connessione con i sodalizi criminali del sud; potrebbero essere delegati al nord della mafia questi malavitosi che da quasi un anno delinquono tra Emilia-Romagna e Marche?

Tutte le piste seguite in questa fase, si scoprirà in seguito, sono capaci solo a portare in cella degli innocenti.  C’è qualcosa di losco nella storia che si para davanti a chi conduce le indagini. Lo sanno, lo capiscono ma non ci sono riscontri. Sarebbe impossibile riuscire ad immaginare cosa sia quel che si cela dietro al sangue sulle strade. Serve tempo, servirà altro dolore per arrivare alla svolta.

Il 1990 della Uno Bianca

L’ultimo decennio del secolo si apre con la banda ancora nel pieno delle sue attività; i bersagli sono sempre quelli ovvero le Coop, i portavalori e gli uffici postali.
Uno di questi, in via Emilia Levante a Bologna, risulta particolarmente violento. L’anno è appena iniziato, è il 15 gennaio 1990 e l’ufficio è pieno perché è la giornata delle pensioni.

Uomini e donne sono in fila, l’attesa ordinata che ogni mese si ripete come un rito pagano; fuori è una fredda mattina d’inverno. Una calma apparente interrotta da spari, grida e due bombe alla dinamite. Quando il caos si placa, quando i rumori che restano sono pianti, strazio e sirene in lontananza, per terra si trovano quarantasei feriti. Di questi tre sono molto gravi. Uno morirà un anno più tardi, una lunga agonia che culminerà con il decesso per i traumi riportati. 
Ancora una volta il sangue scorre in Emilia.

Il 1990 prosegue come è iniziato.
Dopo due anni di attività la banda si sente al culmine della propria invincibilità. Non c’è il rischio, secondo i malviventi, di venir scoperti, fermati. La banda opera, rapina, ferisce e uccide indisturbata, mentre il terrore si diffonde lungo le strade della pianura padana.
Proseguono le indagini di magistratura e forze dell’ordine, ma la partita è impari. Sembra quasi che la banda riesca a essere sempre un passo avanti rispetto alle indagini. Arriva prima, sparisce nel nulla. E anche quando gli investigatori raccolgono prove qualcosa manca costantemente.

Dall’altro lato c’è la violenza, che non si placa mai, che per tutto il 1990 lascia sangue sulle strade.

Il culmine arriva a dicembre, mentre ci si prepara per il Natale.
Questa volta il bersaglio cambia, le vittime non sono causali. Si tratta degli stranieri della zona, gli attacchi hanno chiara matrice razzista.

Gli attacchi razzisti nel dicembre 1990

La violenza del dicembre 1990 è diversa da quella che si è vista fino a quel momento; non si tratta di rapine, di furti e di omicidi conseguenti: non c’è denaro né bottino di altro genere a seguito dei colpi esplosi tra il 10 e il 27 dicembre, prima e a cavallo del Natale.
Questa volta la scelta è precisa, chirurgica, e le vittime sono colpevoli solo delle loro origini straniere, Rom soprattutto.
Il 10 dicembre 1990 cominciano gli attacchi contro i campi. Il primo preso di mira è a Bologna, in via Santa Caterina di Quarto.

Sono le 19.30, è buio. Gli spari lasciano a terra nove persone ferite. Non ci sono vittime, ma è solo l’inizio.
Il 22 dicembre è il turno di due lavavetri, nel parcheggio dell’ Ipercoop di Bologna. Anche questa volta niente vittime, ma l’anno di violenza deve ancora terminare.

Non passa neanche un giorno, il 23 dicembre un altro campo nomadi è oggetto di aggressione, sempre a Bologna, questa volta in via Gobetti; i killer arrivano e sparano.

Sono da poco passate le otto del mattino e questa volta sulla strada restano due corpi senza vita, quelli di Rodolfo Bellinati e Letizia della Santina, morti così, a due giorni dal Natale.
Una Uno bianca corre via veloce dal luogo dell’assalto. Il 27 dicembre un furto a un benzinaio di Castelmaggiore, fuori Bologna, provoca una vittima e un ferito. Poche ore più tardi un uomo si avvicina all’auto parcheggiata e aperta dei malviventi. Il sospetto e la curiosità per quella visione insolita gli costano la vita.
Sarà l’ultima vittima del 1990.

Mancano ancora quattro anni al momento di svolta, e il 1991 si aprirà presto con altro sangue versato. 

Francesca Romana Moretti per Questione Civile

Sitografia

www.poliziapenitenziaria.it
www.wumingfoundation.com
sitmappe.comune.bologna.it
www.misteriditalia.it

www.youtube.com

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