Il Tennosei Fashizumu: una nuova forma di nazionalismo?
Con il termine tennosei fashizumu o Nihon fashizumu (日本ファシズム) si intende il fenomeno di iper-nazionalismo che ha colpito il Giappone dall’inizio del 1930 fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Alcuni autori negano l’esistenza di un fascismo giapponese, basandosi su alcuni elementi tipici del fenomeno europeo, uno dei quali la mancanza di un soggetto che incarnasse la figura di dittatore e di un partito unico da lui guidato. Non vi fu una scalata al potere come avvenne in Italia con la marcia su Roma o in Germania con l’incendio del Reichstag. Altri invece sostengono il contrario, affermando che la figura del dittatore in Giappone non fosse necessaria, poiché questa poteva essere sostituita in parte dall’Imperatore.
La teoria di Maruyama Masao
Lo studio condotto dal politologo Maruyama Masao sul Tennosei Fashizumu fece emergere la differenza tra “fascismo dal basso” (movimento), rappresentato dal colpo di stato del 1936, e “fascismo dall’alto” (regime), affermatosi durante il secondo conflitto mondiale.
Murayama individuò tre elementi caratterizzanti il fascismo giapponese: il familismo, il ruralismo e il panasiatismo [1]. Il primo di questi elementi si basa sul concetto di società familiare: tutta la comunità giapponese era legata da un vincolo familiare il cui ramo principale era costituito dalla famiglia imperiale. L’imperatore avrebbe assunto la figura di un padre amorevole che avrebbe dovuto guidare i sudditi verso la retta via. Il ruralismo, strettamente collegato al familismo, consisteva nella teoria che poneva al centro della società la comunità agricola; la società si sarebbe dovuta autogovernare al fine di raggiungere e mantenere l’armonia tipica del pensiero confuciano. Il panasiatismo, invece, consisteva nell’unire tutti i popoli asiatici sotto la guida del Giappone, pensiero, peraltro, condiviso da Kita Ikki.
Il padre del Tennosei Fashizumu: Kita Ikki
Una delle prime opere, considerata la più importante, contenente il germe del fashizumu è il Nippon kaizo hoan taiko di Kita Ikki [2]. Secondo l’autore sarebbe stata necessaria una riorganizzazione totale degli organi di governo, che sarebbe iniziata tramite la sospensione per tre anni della Costituzione, alla quale sarebbero seguite diverse riforme di matrice nazionalista che avrebbero dovuto demolire “i vecchi costumi del passato”, come ad esempio “la sospensione della Camera dei Pari che sarebbe stata sostituita da una camera composta da cinquanta uomini probi” [3]. La riorganizzazione degli organi di Stato si sarebbe concretizzata con l’approvazione da parte della “nuova” Dieta di un nuovo testo costituzionale.
Alcuni diritti sarebbero stati soppressi, come ad esempio il diritto di sciopero, considerato uno degli strumenti di dissenso politico. Inoltre, Kita riteneva fondamentali per instaurare il nuovo regime “il culto dell’Imperatore quale emblema dello Stato ma non quale autorità trascendente, la nazionalizzazione di imprese chiave, e stretti limiti alla proprietà privata e al capitale individuale” [4]. La rinnovazione proposta da Kita non si sarebbe fermata solamente ai confini nazionali ma si sarebbe espansa anche nella politica internazionale, tramite l’alleanza con gli Stati Uniti d’America.
Questa politica avrebbe consentito al Giappone di espandersi fino all’India, al fine di creare una “federazione” asiatica con Tokyo al comando. Inoltre“la Corea non doveva essere più considerata una colonia imperiale ma parte integrante dell’Impero, Kita sosteneva l’applicazione delle leggi vigenti in Giappone, compreso il diritto di voto per tutti gli uomini” [5].
Anche se le idee di Kita Ikki, considerate troppo estremiste e pericolose, furono bandite, ispirarono alcuni giapponesi fino a concretizzassi con il celeberrimo colpo di stato noto come “l’incidente del 2-26” o Nigatsu nijuurokuni no jiko [6]. In seguito alla soppressione del golpe Kita Ikki venne arrestati e giustiziato un anno della tragica vicenda dopo.
Uno Stato “teocentrico”: la sacralità dell’Imperatore alla base della ideologia nazionalista?
Come scritto sopra il concetto di tennosei fashizumu ruota attorno alla figura dell’Imperatore. Il dovere di difendere lo Stato e la fede cieca verso il dio-leader conferiva una forza superiore a quella degli altri eserciti. Da non dimenticare, infatti, che il Giappone durante il secondo conflitto mondiale utilizzò delle forze armate speciali, drogate di ideali “imperocentrici”, il cui scopo era quello di annichilire gli eserciti nemici tramite il sacrificio di soldati (kamikaze). Tutto questo trova fondamento nella strumentalizzazione della religione e del suo portavoce, l’Imperatore.
Tennosei Fashizumu: la religione come mezzo di propaganda
L’ asservimento delle masse si poté raggiungere solo tramite la privazione del carattere religioso dello Shintoismo[7]: tutte le cerimonie shintoiste assumevano il ruolo di una pratica pubblica e non più strettamente religiosa. La religione, durante gli anni successivi, divenne un mezzo di propaganda e assunse sempre di più i connotati di un culto sulla persona dell’Imperatore.
La natura divina e infallibile dell’Imperatore[8] venne consolidata e rafforzata anche grazie al testo Kokutai no Hongi, “la Bibbia del sistema imperiale (tennosei)”[9]. Il documento commissionato dal Ministero dell’Istruzione e pubblicato nel marzo del 1937, conteneva un insieme di concetti di natura religiosa, mitologica e folkloristica. “Il documento faceva appello alle emozioni, non all’intelletto. Era pieno di incongruenze, e il linguaggio volutamente pomposo si dilungava in un’analisi tanto dettagliata quanto incomprensibile alla maggioranza dei lettori”[10], afferma Kenneth Hanshall. Da questa analisi si può comprendere come solo una parte dei giapponesi, quella più colta, avrebbe potuto capire appieno il significato del testo e si sarebbe fatta portavoce dell’evangelizzazione di tutto il popolo “ignorante”, per fare un’analogia questo fenomeno risulta molto simile a quanto accadde con l’evangelizzazione dei paesi barbari del Nord Europa. La cosa che stupisce è che l’indottrinamento plagiò, oltre il popolino, anche molte persone dotte.
Nel documento viene, inoltre, esaltata la figura dell’Imperatore, considerato “l’incarnazione di una divinità che discende da Amaterasu”. I contenuti del Kojiki e del Nihonshoki vengono più volte trattati quasi politicizzando il loro contenuto sacro. “La vera armonia”, tanto cercata dai giapponesi, afferma Kennet Hanshall, “è quella fra imperatore e suddito, e raggiunge l’apice con il sacrificio di un suddito per l’Imperatore”[11]. Questa definizione permette di comprendere perché i giapponesi avrebbero compiuto l’impossibile per il sovrano (anche la morte come nel caso dei kamikaze), confortati da un possibile collegamento con la dimensione “sacra e divina” dell’Imperatore.
Il fascismo imperiale: conclusioni
Il fascismo giapponese, quindi, trova una sua dimensione in quel rapporto, quasi morboso, che i giapponesi avevano nei confronti del Dio Imperatore e con la religione shintoista.
Una delle idee che continua a ritornare nella realtà giapponese è la creazione di un mondo scevro delle cattive influenze e dalla corruzione, “negli ultimi tempi, l’individualismo e il razionalismo occidentale hanno portato alla corruzione, dobbiamo liberarci dalla corruzione dello spirito e dall’offuscamento della conoscenza che derivano… dall’essere troppo concentrati sul proprio io, e dobbiamo tornare ad avere un animo limpido e puro. Questo non gioverà solo al Giappone ma a tutto il mondo: ciò deve essere fatto solo per il bene della nostra nazione, ma per tutta la razza umana, che sta lottando per trovare una via d’uscita dal punto morto alla quale l’ha condotta l’individualismo”[12], e questo, come si può comprendere da quanto scritto sopra, si sarebbe potuto raggiungere solamente con una politica espansionistica, volta alla creazione di un nuovo ordine con il Giappone al comando.
In conclusione, seppur in Giappone mancasse un dittatore come in Occidente, il fascismo ha trovato la sua strada, attaccandosi come un simbionte ai principi nazionalistici, alle tradizioni religiose e all’affetto che i cittadini giapponesi provavano per il loro sovrano; questo fenomeno ha partorito una versione di fascismo molto forte, che terrorizzò pure i regimi occidentali.
Gerardo Coppola per Questione Civile
Bibliografia e sitografia
Federico Lorenzo Ramaioli, Dal mito del cielo alla legge dello Stato, Kokutai e ordinamento giuridico in Giappone. Giappichelli Editore
KOKUTAI NO HONGI Federico Lorenzo Ramaioli
Kenneth G.Henshall, Storia del Giappone, Mondadori
Andrea Revelant, Il Giappone moderno, dall’800 al 1945, Einaudi
Hirdaki Kobayashi, Appartenenza multireligiosità e libertà di religione in Giappone, Rivista di Studi Politici e Internazionali
Kokutai no Hongi (1949/1974)
www.colorado.edu
Kita Ikki: www.treccani.it
Il fascismo giapponese, L’ideologia fascista in Giappone negli anni Trenta del secolo scorso, Alessandro Lo Piccolo. www.storico.org
Fascismo in Giappone di Giorgio Tosi.
www.storiaxxisecolo.it
Note
[1] Per scrivere questa parte del testo è stato utilizzato principalmente il testo Rosa Caroli, Francesco Gatti. Storia del Giappone, editori Laterza (pp. 203-204).
[2] Pensatore giapponese (Sado 1883-Tokyo 1937). Fu il principale ideologo del nazionalismo radicale giapponese della prima metà del Novecento. Treccani, www.treccani.it.
[3] Rosa Caroli, Francesco Gatti, Storia del Giappone, Editori Laterza, p.197
[4] Federico Lorenzo Ramaioli, Dal mito del cielo alla legge dello Stato, Kokutai e ordinamento giuridico in Giappone. Giappichelli Editore, p.88
[5] Andrea Revelant, Il Giappone moderno, dall’800 al 1945, Einaudi, p.31
[6] La ribellione venne organizzata da un gruppo di giovani ufficiali del primo e del terzo reggimento, sostenitori del kodo-ha, animati da un senso di rabbia e insofferenza: l’obiettivo di questo complotto era quello di rovesciare il governo corrotto per poi sostituirlo con un governo militare giusto, obbiettivo raggiungibile attraverso l’omicidio di alcune delle alte cariche di governo e militari ritenute “corrotte”.
[7] Non era più considerato una religione nel senso tradizionale. Hirdaki Kobayashi, Appartenenza multi- religiosità e libertà di religione in Giappone, Rivista di Studi Politici e Internazionali, 2002, p.292
Inizialmente questa privazione si ebbe nello Shintoismo dei reliquiari. Questo Shintoismo, in un secondo momento venne collegato allo Shintoismo della Casa Imperiale
[8] L’Imperatore aveva “l’obbligo” di tutelare gli interessi di tutti i sudditi giapponesi e il benessere dell’intera Nazione.
[9] Kenneth G.Henshall, Storia del Giappone, Mondadori, p.207
[10] Kenneth G.Henshall, Storia del Giappone, Mondadori, p.207
[11] Kenneth G.Henshall, Storia del Giappone, Mondadori, p.208
[12] Kenneth G.Henshall, Storia del Giappone, Mondadori, p.208,209. Il professor Hanshall offre una sua interpretazione del contenuto del Kokutai no Hongi. Per questo si rimanda anche al testo Kokutai no Hongi (1949/1974), in particolare alle pagine: 55,66, 71,67,78,80,81,82,93 e 100.
Inoltre, per comprendere meglio il testo si rimanda al libro KOKUTAI NO HONGI Federico Lorenzo Ramaioli.
ho letto tutto il testo di quest’ articolo, e devo affermare che è scritto bene e molto comprensibile tanto da lasciare una buona conoscenza su un argomento nuovo a me sconosciuto.