La libertà religiosa in Giappone: comparazione tra Costituzioni

La libertà religiosa

La libertà religiosa nella Costituzione Meiji

La costituzione Meiji riconobbe la libertà religiosa. La religione shintoista durante il periodo Meiji era considerata, dato lo stretto legame con l’Imperatore, la religione di Stato seppur non vi fosse un articolo nella Costituzione che le attribuisse tale ruolo. Nel 1871 venne approvato un decreto che rendeva le cerimonie presso i reliquiari shintoisti affare pubblico, eliminando la vecchia concezione di cerimonie private, le intenzioni dei riformatori erano quelle di elevare lo shintoismo e di usarlo come mezzo di propaganda politica sottoponendo la vita religiosa al controllo dello Stato.

Con la costituzione Meiji venne riconosciuta la libertà religiosa. Questo riconoscimento, però, fu solo formale in quanto

i sudditi giapponesi hanno libertà di religione, nei limiti entro cui non turbino la sicurezza e l’ordine, e non vengano meno ai loro doveri” (art.28 Cost. Meiji)

In concreto, i sudditi erano obbligati a professare lo Shintoismo come espressione massima di asservimento all’Imperatore. Tale asservimento si poté raggiungere solo tramite la privazione del carattere religioso dello Shintoismo[1], conferendo a tutte le cerimonie shintoiste il ruolo di una pratica pubblica e non più strettamente religiosa.

Lo shintoismo come affare pubblico

Uno dei casi più eclatanti che bisogna citare è il caso “dell’Università di Sophia” ( Jōchi Daigaku). Alcuni studenti di questa università si rifiutarono di inchinarsi davanti al reliquiario Yasakuni per “motivi religiosi[2]”. Il Ministro dell’Istruzione scrisse una missiva all’alto sacerdote di Tokyo, nella quale emerge e si conferma la privazione del carattere religioso dei reliquiari Shintoisti:“L’obbligo degli studenti di inchinarsi davanti al reliquiario non è motivato da motivi di religione (confermando la privazione del carattere religioso dello Shintoismo), ma è segno di fedeltà e di amore verso la patria[3].

La religione utilizzata per fini propagandistici militari facilitò di molto le mire espansionistiche del Giappone verso l’Asia continentale. Le forze americane, dopo l’occupazione, notando come lo shintoismo fosse uno dei mezzi politici e civici con cui si fomentavano i giapponesi alla belligeranza e all’espansionismo, decisero di smantellarlo. Non si voleva colpire la religione, ma il mezzo con cui si trasmettevano ideologie politiche, suprematiste e militari; questa forma di espressione religiosa potrebbe essere definita shintoismo politico[4].

La nuova concezione di libertà religiosa: la demolizione dello Shinto politico

Nel 1945 venne adottato un documento denominato Direttiva Shintō, con il quale si voleva iniziare la fase di demolizione della religione politicizzata. Con questo documento si ordinava la chiusura di tutte le istituzioni statali dedicate alla formazione religiosa, si vietò ogni forma di propaganda nazionalistica tramite l’utilizzo dello Shintoismo e si vietò l’insegnamento religioso e la formazione religiosa all’interno delle istituzioni scolastiche.

Il contenuto della direttiva è stato recepito all’interno della Costituzione nell’articolo 20[5].  Questo articolo stabilisce che la libertà religiosa è garantita a tutti i cittadini, nessun tipo di organizzazione religiosa può ottenere privilegi né dallo Stato né potrà esercitare attività politiche; la seconda parte del primo punto dell’articolo non è altro che una riconferma della direttiva del 1945, in cui si cercò di far cessare ogni influenza politica nella religione. Il secondo punto dell’articolo invece stabilisce che a nessun individuo sarà imposta la partecipazione ad atti, celebrazioni, riti o qualsiasi pratica religiosa.

Questo è certamente un’espressione massima della libertà religiosa in cui si riconosce il diritto a non essere obbligati a professare alcuna religione incluso lo Shintoismo, distaccandosi di fatto dall’obbligo morale dei sudditi in epoca Meiji. Infine, venne vietato allo Stato, inclusi i suoi organi, di imporre un insegnamento religioso ai cittadini, di svolgere di attività religiose e soprattutto il divieto di finanziare, tramite denaro pubblico o beni appartenenti alla proprietà dello Stato qualsiasi ente, associazione e istituzione religiosa che non sia sotto il controllo dello Stato[6]. Come il contenuto della direttiva questi divieti sono stati elaborati per evitare ogni tipo di commistione tra Stato e religione, e che si finisse a usare la religione come mezzo per inoculare nella mente del popolo ideologie nazionaliste o militariste.

Il Caso di “Tsu”: la separazione tra Stato e religione

Una delle sentenze più importanti per comprendere il divieto di commistione tra Stato e religione è il “Tsu City Grounbreaking Ceremony Case[7]”.

 Un consigliere comunale intentò una causa legale in cui lamentava che l’incarico attribuito dal sindaco della cittadina di Tsu a dei sacerdoti shintoisti di celebrare un rituale per benedire un nuovo edificio scolastico fosse incostituzionale in violazione degli articoli 20 e 89[8]. La questione, risalendo tutti i gradi di giudizio, arrivò alla Corte Suprema. La Corte nella sua analisi affermava che per attività religiosa in violazione del contenuto della costituzione non dovrebbero intendersi tutte le attività dello Stato e dei suoi organi in contatto con la religione, ma solo quelle che superano i limiti del principio di ragionevolezza, ovvero che hanno uno scopo religiosamente significativo e il cui effetto è quello di promuovere e sostenere una specifica religione o culto oppure quello di interferire o sopprimere le altre religioni.

Un esempio che viene usato dalla Corte è quello sanzionato sia dall’articolo 20 della Costituzione che dalla Direttiva Shintō, ovvero la propaganda religiosa per fini politici o la diffusione della religione tramite l’educazione religiosa. Secondo la Corte esiste una contaminazione fisiologica tra le istituzioni civili e quelle religiose, la vicinanza risulta però tollerabile solo se non si viola il principio di ragionevolezza, il quale deve essere determinato da circostanze concrete e specifiche per ogni caso[9].

Questa sentenza risulta di una particolare importanza perché la Corte per la prima volta stabilisce i parametri per definire la condotta degli organi pubblici contraria alle disposizioni contenute nella Carta costituzionale.

Gerardo Coppola per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

  • Colin P.A. Jones (Edited By), The Annotated Consitution Of Japan: A Handbook
  • Mauro Mazza, I sistemi del lontano Oriente, CEDAM
  • Introduzione al diritto giapponese, G Giappichelli editore
  • Hirdaki Kobayashi, Appartenenza multi- religiosità e libertà di religione in Giappone, Rivista di Studi Politici e Internazionali, 2002
  • Dal mito del Cielo alla Legge dello Stato di Federico Lorenzo Ramaioli
  • Matsui, S. (2010). The Constitution of Japan: A Contextual Analysis. Bloomsbury Publishing
  • www.dircost.unito.it
  • www.japan.kantei.go.jp

Note


[1] Non era più considerato una religione nel senso tradizionale. Hirdaki Kobayashi, Appartenenza multi- religiosità e libertà di religione in Giappone, Rivista di Studi Politici e Internazionali, 2002, p.292 Inizialmente questa privazione si ebbe nello Shintoismo dei reliquiari. Questo Shintoismo, in un secondo momento venne collegato allo Shintoismo della Casa Imperiale.

[2] L’Università di Sophia è una delle più prestigiose università di Tokyo. I Gesuiti la fondarono nel 1913. È facile intuire che gli studenti si rifiutarono di inchinarsi davanti al reliquiario poiché non professavano la religione shintoista.

[3] Hirdaki Kobayashi, Appartenenza multi-religiosità e libertà di religione in Giappone, Rivista di Studi Politici e Internazionali, 2002, p.292

[4] Per un’analisi più approfondita si invita a leggere il saggio Dal mito del Cielo alla Legge dello Stato di Federico Lorenzo Ramaioli. Lo Shintoismo politico o di Stato è stato creato a seguito della Restaurazione Meiji come strumento volto a aumentare e rafforzare il potere dell’Imperatore. Questa forma di Shintoismo venne utilizzato, degenerando, come strumento del nazionalismo giapponese.

Note

[5] Articolo 20: La libertà di religione è garantita a tutti. Nessuna organizzazione religiosa riceverà qualsiasi privilegio dallo Stato, né eserciterà né qualsiasi potere politico. Nessuna persona sarà obbligata a partecipare a qualsiasi atto, celebrazione, rito o pratica religiosa. Lo Stato ed i suoi organi si asterranno dall’istruzione religiosa o da qualsiasi altra attività religiosa.

[6] Il divieto di finanziamento è contenuto nell’articolo 89 della Costituzione: Nessuna parte del denaro o della proprietà pubblica può essere destinata per il beneficio o il mantenimento di una qualsiasi istituzione o associazione religiosa, o per qualsiasi scopo educativo, caritativo o di beneficenza che non sia sotto il controllo dello Stato.

[7] Colin P.A. Jones (Edited By), The Annotated Consitution Of Japan: A Handbook

[8] Mauro Mazza, I sistemi del lontano Oriente, CEDAM, pp. 270-271.

[9] Nel 1997 la Corte dichiarò per la prima volta la violazione dell’art.20. Nel caso specifico venne dichiarato incostituzionale l’utilizzo di fondi pubblici per l’offerta ad una divinità di un rametto di un albero sacro. Jun Ashida-Toshiyasu Takahashi, Introduzione al diritto giapponese, G Giappichelli editore.

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