La grande convergenza fra verità storica e verità giudiziaria nel processo per la strage di piazza della Loggia
La sentenza di condanna a Carlo Maria Maggi e a Maurizio Tramonte del 2015, confermata nel 2017 dalla Corte di Cassazione, rappresenta la grande convergenza fra verità storica e verità giudiziaria per la storia e la memoria relativa sia alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 che della strategia della tensione.
La grande convergenza: l’importanza del contesto storico
Carlo Ginzburg, nel suo libro Il Giudice e lo Storico, affronta il tema delicato del ruolo del giudice e di quello dello storico. In particolare, di come essi affrontano il contesto, o i contesti, in maniera differente in quanto prendono in esame elementi diversi.
Questa considerazione generale è tendenzialmente sempre valida. Bisogna notare però che nel caso di Piazza Loggia si nota una certa convergenza fra i due ruoli e fra le due verità. Convergenza che inizia ad essere fisicamente visibile con la sentenza della terza istruttoria firmata dal giudice Giampaolo Zorzi.
In questo lavoro compiuto dalla magistratura si individua nel gruppo neofascista veneto di Ordine Nuovo come il più preparato e capace. Strumento perfetto per eseguire una certa strategia stragista. Le sentenze del 2015 e 2017 non si fermano però all’individuazione del gruppo terroristico ma riconoscono l’esistenza di complicità ben più ampie. Esse fanno chiari riferimenti alla presenza di frequentazioni dei neofascisti con le basi Nato e di collaborazioni con la Cia e i servizi segreti italiani[1]. Gli imputati vengono quindi considerati come un ingranaggio di un sistema più ampio.
Il contesto storico diventa quindi l’«insieme» che unisce questi piani differenti, trovando in questa chiave di lettura la grande connessione fra questi elementi disparati. Questa necessità di circoscrivere la realtà storica è diventata prassi anche nei casi simili come Bologna e Milano. Il punto di partenza fondamentale per comprendere le motivazioni che hanno portato a questi eventi.
L’influenza degli storici
L’influenza degli storici a livello di opinione pubblica è, bisogna dire, abbastanza marginale rispetto alla capacità di influenzare l’opinione pubblica. Questo non toglie il significato profondo degli studi storici rispetto alla strage di piazza della Loggia e della strategia della tensione in generale. Fin dagli anni ’80 i testi degli storici Paolo Corsini e Roberto Chiarini avevano già delineato la paternità neofascista e le connessioni internazionali degli stragisti.
L’influenza storica a livello di pubblica opinione rispetto al far emergere la verità storica della strage è marginale. La stessa vediamo come nel tempo però riesce invece a influenzare l’opera della magistratura. Questa influenza si nota già nelle conclusioni del giudice Giampaolo Zorzi rispetto alla terza istruttoria. In essa, infatti, il contesto storico assume un ruolo centrale nella lettura dei fatti criminosi presi in esame. Da questa sentenza, che finirà con una assoluzione generalizzata per mancanza di prove, questa linea di lettura diverrà la base delle successive istruttorie.
La quarta istruttoria vede direttamente uno storico come consulente della magistratura: Aldo Giannuli. Egli è studioso e autore di numerose pubblicazioni sulla strategia della tensione e le stragi di matrice neofascista. La sua collaborazione è preziosa ed aiuta ad ampliare notevolmente il ruolo centrale del contesto storico nell’importanza degli atti stragisti. Questa istruttoria termina ancora con una sentenza di assoluzione. La novità sta nella individuazione in maniera netta e chiara della paternità neofascista e delle connessioni internazionali è ormai una verità storica più che assodata.
Il ruolo dello storico e del giudice sfumati
Come nota Ginzburg, giudice e storico affrontano il contesto o i contesti in maniera differente in quanto prendono in esame elementi diversi. Questa è una considerazione generale che è tendenzialmente valida, però bisogna notare che nel caso di Piazza Loggia e delle ultime istruttorie esiste una certa convergenza. Il contesto storico è infatti un elemento centrale all’interno della sentenza di condanna a Maggi e Tramonte.
Una constatazione dichiarata in maniera netta dalla corte d’appello come riportato da Andrea Vigani parlando di «humus» dove tali accadimenti hanno trovato «origine e sviluppo». La Corte individua nel gruppo veneto di Ordine Nuovo come il più preparato e capace ad eseguire una certa strategia stragista. Una sentenza che riconosce anche le complicità ben più ampie ponendo chiari riferimenti a collaborazioni con la Nato e la Cia e altri servizi segreti. Gli imputati sono quindi visti come un ingranaggio di un sistema ben più ampio e complesso con ramificazioni profonde.
Negli ultimi filoni processuali che riguardano le stragi, come nel caso del 2 agosto, emerge una necessità di dover circoscrivere il contesto storico. Questo è diventato il punto di partenza fondamentale per comprendere le motivazioni che hanno portato a questi eventi. Interessante è la puntuale ricostruzione storica delle origini e sviluppi di Ordine Nuovo e delle sue connessioni internazionali.
Questo punto di osservazione mostra la comprensione di eventi non isolati dal proprio contesto storico-politico nel quale si inseriscono. In questa visione e capacità di analisi il ruolo del giudice e dello storico si confondono e si influenzano a vicenda. In questo modo si crea una collaborazione che ha permesso la tanto agognata convergenza fra verità storica e verità giudiziaria.
La grande convergenza: la maturazione storica attraverso le sentenze
Le affermazioni di carattere storico contenute nella sentenza riconoscono una certa acquisizione ed influenza dell’attività degli storici, ma aggiungerei anche delle associazioni dei famigliari. Le tracce si vedono proprio in questa cura e attenzione che difficilmente si possono riscontrare in altri processi sulle stragi. Questa peculiarità è dovuta alla stessa storia giudiziaria delle istruttorie che nel tempo hanno scavato e saputo cogliere gli elementi utili alla ricostruzione della vicenda. I magistrati nel tempo hanno saputo considerare i saperi prodotti sia all’interno degli iter processuali che all’interno della società stessa.
Vigani afferma che la sentenza ha il merito di aver rotto la coltre dell’impunità che pareva impenetrabile. Il giornalista ascrive il merito alla sentenza che viene descritta come un passaggio storico cruciale nella storia della strategia della tensione e delle stragi annesse. Un evento che rende i ruoli del giudice e dello storico in un rapporto più sfumato e meno definito. Come affermato poc’anzi l’elemento storico ha radici relativamente lontane, ovvero nel lavoro compiuto dal giudice Zorzi durante la terza istruttoria del 1993.
In essa egli aveva già colto molti elementi connessi al contesto storico torbido dove era maturata la volontà stragista. La sentenza pone difatti legami con i «gelidi venti di golpe» e la Loggia Massonica P2 oltre che il gen. Palumbo dei Carabinieri della Pastrengo. Un piano sostanziale che conferma l’esistenza di azioni di depistaggio profonde e su più livelli al fine di evitare che gli esecutori finissero indagati.
I depistaggi e le attività dei servizi hanno pregiudicato il cammino verso la giustizia lasciando, secondo Vigani, una certa amarezza in tutto questo quadro descritto. Un sentimento che nel tempo ha alimentato le posizioni più radicali e critiche rispetto allo Stato, oltre le tesi del «complotto» o dei «misteri italiani».
L’importanza della sentenza del 2015
L’avv. Pietro Garbarino afferma che la sentenza del 2015 ha contribuito a delimitare l’ambiente politico in cui la strage di Brescia è maturata. In tal modo si è iscritta in calce la responsabilità politica e materiale di Ordine Nero, proseguo diretto di Ordine Nuovo. Questa per lo storico avvocato di parte civile rappresenta l’importanza storica cruciale di questo atto. Dal punto di vista storico non possiamo parlare di novità sostanziali ma l’eccezionalità sta nel fatto che l’apparato giudiziario conferma e ammette queste responsabilità.
Il 2015 ha dato vita ad un altro filone che sta circoscrivendo responsabilità individuali e materiali. Un aspetto forse che va più nel giudicare l’operato dei singoli e che interessa maggiormente all’apparato giudiziario. Una prospettiva che può contribuire ad approfondire i collegamenti fra individuo, gruppo e movimento politico. Queste connessioni possono quindi aiutare le considerazioni e le interpretazioni per far luce sui punti oscuri che ancora persistono.
Bisogna ammettere che la verità non è ancora completamente emersa dalla sentenza del 2015 e difficilmente lo faranno anche i processi attualmente in atto. Per quanto questi ultimi senza dubbio contribuiranno a rendere la situazione più chiara. Interessante è però notare come questi elementi vengano sempre più messi all’angolo ponendo due visioni opposte. La prima che parla di una sentenza risolutrice che caccia via le ombre dell’impunità.
La seconda, purtroppo sostenuta da taluni esponenti politici (tendenzialmente dell’estrema destra governativa), che nonostante le sentenze parla ancora di «mano ignota». Una modalità di approccio che contribuisce a far permanere il discorso nell’opinione pubblica in una coltre di mistero e di complotto. Credo che in questo senso il ruolo della scuola, e non solo, sia di rompere questi pregiudizi e stabilire che una verità, talvolta scomoda, esista.
Conclusione
Il caso storico e giudiziario della strage di piazza della Loggia legittima il ruolo del giudice come strumento di produzione e conferma delle interpretazioni storiche. Il ruolo dello storico quando si tratta di eventi tragici e traumatizzanti assume, d’altro canto, quello di chi ha le capacità di circoscrivere una verità. Questo ruolo risulta però monco e incompleto. La completezza può essere raggiunta nelle aule tribunale nella conferma, se non degli esecutori, almeno delle circostanze storiche e dei mandanti politici di quei fatti.
La storia di piazza della Loggia credo debba essere vista ed interpretata con le parole del teologo Giuseppe Canobbio. Egli afferma la necessità di superare la volontà di dominio sulla storia poiché solo in questo modo possiamo superare i traumi di quella stagione politica.
Vorrei, però, in conclusione fare un breve accenno alla necessità di tenere l’ambito del giudice e quello dello storico separati. Come afferma Ginzburg bisogna evitare di rendere uno quello che non è poiché ridurre uno storico a giudice e viceversa impoverisce le corrispettive attività. Il rischio che si prospetta è quello di cadere nel baratro di una storia che si muove a giudizi e condanne. Un ruolo che è utile solo a creare mostri e apre all’uso politico della Storia. Quello che si rischia di perdere è la parte sana, ovvero, la possibilità di comprendere il passato per capire meglio il presente.
Flavio Ferri per Questione Civile
Bibliografia
- Giuseppe Canobbio, Appunti per un’apologia della memoria, in Carlo Simoni (a cura di), Memoria della strage. Piazza Loggia1974-1994, Grafo Editore, Brescia, 1994.
- Roberto Chiarini, Paolo Corsini, Da Salò a Piazza della Loggia. Blocco d’ordine, neofascismo, radicalismo di destra a Brescia (1945-1974), Franco Angeli, Milano, 1983.
- Roberto Chiarini, Paolo Corsini (a cura di), La città ferita. Testimonianze, riflessioni, documenti sulla strage di piazza della Loggia, Centro Bresciano dell’Antifascismo e della Resistenza, Brescia 1985.
- Pietro Garbarino, Saverio Ferrari, Piazza della Loggia cinquant’anni dopo. Dall’azione eversiva all’ombra della Nato delle organizzazioni neofasciste all’attuale disegno di affossamento della Costituzione: il filo nero delle stragi in un paese a sovranità limitata, Red Star Press, Roma, 2024.
- Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri, Quodlibet, Macerata, 2020 [1a ed. 1991].
- Gianfranco Porta, La memoria difficile percorsi e testimonianze, in Carlo Simoni (a cura di), Memoria della strage. Piazza Loggia1974-1994, Grafo Editore, Brescia, 1994.
- Carlo Simoni, Ricordare, commemorare, celebrare: cronache del 28 maggio, in Carlo Simoni (a cura di), Memoria della strage. Piazza Loggia1974-1994, Grafo Editore, Brescia, 1994.
- Andrea Vigani (a cura di), Un lampo di verità. La sentenza sulla strage di piazza Loggia, Liberedizioni, Brescia, 2018.
Sitografia
- aldogiannuli.it
[1] I riferimenti sono al Sid (Servizio Informazioni Difesa) e al Uar (Ufficio Affari Riservati). Il primo è stato il servizio segreto militare dello Stato Italiano fino al 1977. Il secondo è stato il servizio di informazioni del Ministero dell’Interno sciolto definitivamente nel 1974.