Il processo a Gesù: tra ingiusta accusa e soprusi

processo a Gesù

Un’analisi svolta sotto il profilo storico e giuridico del processo a Gesù di Nazareth, detto il Cristo

Il processo a Gesù di Nazareth è uno degli eventi più complessi e analizzati della storia antica. Questo in quanto esso assume un’incredibile importanza storica, teologica e giuridica. Le principali fonti del processo a Gesù sono i quattro Vangeli (Matteo, Marco, Luca e Giovanni). Ma, per meglio comprenderlo, è resa necessaria un’integrazione con fonti esterne, come le altre fonti storiche esistenti, nonché il diritto giudaico e romano.

Contesto storico del processo a Gesù

Agli inizi del I secolo d.C., la Giudea era una prefettura della provincia romana di Siria. Dal 44 d.C. comprese anche la Galilea e la Perea. Dal 135 d.C. prese il nome di Syria Palaestina. Alla morte di Erode il Grande (4 a.C.), il suo regno venne diviso tra quattro dei suoi figli: Erode Archelao, Erode Antipa, Erode Filippo e Lisania. Nel 6 d.C., Erode Archelao, etnarca di Giudea, Samaria e Idumea, venne deposto dai romani, data la sua incapacità di governare. In rappresentanza dell’imperatore, Roma aveva insediato un prefetto, poi procuratore, Ponzio Pilato, che governò tra il 26 e il 36 d.C.

Gli ebrei della Giudea erano legati alla loro fede monoteista in maniera estrema. Il cuore dell’ebraismo era rappresentato dal Tempio di Gerusalemme. Non mancavano inoltre divisioni interne alla religione stessa, dato che la società ebraica era frammentata tra farisei, sadducei, essenî e zeloti.

In tale contesto, così frammentato e complesso, nacque e si sviluppò il movimento di Gesù di Nazareth, che predicava una nuova interpretazione della fede ebraica. Dopo la sua crocifissione (avvenuta tra il 30 d.C. e il 33 d.C.), i suoi discepoli iniziarono a diffondere il cristianesimo.  

Gesù di Nazareth: una breve biografia

Gesù di Nazareth nacque tra il 7 a.C. e l’Anno 0 a Betlemme. Cresciuto a Nazareth, in Galilea, era figlio di Maria e, in base al Nuovo Testamento, di Dio. Il padre putativo, Giuseppe, era un tektòn (termine greco che identifica il mestiere dell’artigiano). Anche Gesù svolse la professione del padre putativo, suggerendo dunque un’origine sociale modesta, ma non per questo indigente.

Il ministero di Cristo iniziò intorno al 27-29 d.C., a seguito del battesimo nel fiume Giordano ad opera di Giovanni Battista. Dopo un periodo di ritiro nel deserto, iniziò la sua predicazione in Galilea e Giudea. La sua attività di predicatore attirò un alto numero di seguaci, ma anche l’attenzione delle autorità religiose e politiche. I suoi insegnamenti e le sue attività portarono a tensioni con le autorità ebraiche prima e romane poi. Fu arrestato, processato e condannato a morte a Gerusalemme, probabilmente tra il 30 e il 33 d.C. Secondo i Vangeli, a seguito della morte venne sepolto in un sepolcro e resuscitato dopo tre giorni, quale manifestazione del trionfo della vita sulla morte. 

I racconti evangelici

Una versione quasi omogenea del processo a Cristo è contenuta nei Vangeli. In modo particolare, gli eventi possono essere suddivisi in tre fasi distinte: arresto, processo giudaico, processo romano.

  • Arresto: a seguito dell’Ultima Cena, Gesù viene arrestato di notte nell’orto del Getsemani. L’azione è condotta da una coorte inviata dal Sinedrio, con la partecipazione di Giuda Iscariota, il quale era uno dei dodici apostoli. Giuda avrebbe permesso l’identificazione di Cristo per mezzo del famoso “bacio”, ancora oggi sinonimo di tradimento.
  • Processo giudaico: i sinottici, in particolare Marco e Matteo, descrivono un interrogatorio informale dinnanzi al consesso ebraico, il Sinedrio. Caifa, il sommo sacerdote, lo presiede; con lui sono presenti gli altri sacerdoti del Tempio di Gerusalemme. L’accusa verso Gesù è di bestemmia, per essersi proclamato Figlio di Dio e Messia.

«Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?» Gesù rispose: «Io lo sono […]». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti e disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? […] Avete udito la bestemmia. Che ve ne pare?»

Mc 14,61-64

  • Processo romano: dopo essere stato incarcerato per una notte, Gesù venne condotto dinanzi a Ponzio Pilato, il governatore romano. All’epoca, il Sinedrio non aveva autorità per infliggere la pena capitale (ius gladiis), e questo spiega la presentazione di Cristo all’autorità imperiale. L’accusa, per poter ottenere una condanna, tuttavia, deve cambiare: non più religiosa, ma politica. In particolare, il Nazareno viene descritto come un pericoloso sedizioso che si proclama “re dei Giudei”. Roma era particolarmente sensibile ai tumulti e alle rivolte; ogni accusa di sedizione veniva presa in considerazione molto seriamente.

È importante rilevare come in Luca, Pilato rifiuti in un primo momento di giudicare Gesù, inviandolo ad Erode Antipa. Anche quest’ultimo, però, non assume alcuna decisione in merito. L’imputato torna dinanzi all’autorità imperiale per essere definitivamente giudicato. Giovanni, invece, descrive Pilato come un giudice esitante, il quale interroga più volte Gesù per meglio comprendere di cosa sia accusato. Inoltre, Pilato tenta di liberarlo, appellandosi alla consuetudine popolare della liberazione pasquale di un prigioniero. Ma dinanzi alla scelta tra Gesù e Barabba (ebre zelota arrestato per la sua ribellione verso i romani), la folla sceglie di liberare quest’ultimo.

Fonti storiche extrabibliche

Oltre a quanto narrato dagli evangelisti, anche altri autori antichi non cristiani menzionano Gesù, il suo processo e la sua condanna.

Tacito, storico romano, scrive intorno al 115 d.C. (Annales, XV, 44):

Cristo, dal quale il nome [cristiani] ha origine,

subì la pena di morte durante il regno di Tiberio

per sentenza del procuratore Ponzio Pilato.

Tacito è una fonte attendibile, in quanto ostile ai cristiani. Il suo passo mostra che a inizio del II secolo d.C. si fosse a conoscenza che Pilato avesse condannato Gesù alla crocifissione.

Giuseppe Flavio, storico ebreo de I secolo d.C., scrive (Antichità giudaiche, XVIII, 63-64):

In quel tempo visse Gesù, uomo saggio […].

Fu condannato alla croce da Pilato, su accusa dei nostri capi.

Conosciuta come Testimonium Flavianum, questa testimonianza è però oggetto di dibattito per possibili interpolazioni cristiane. Tuttavia, molti studiosi ritengono autentica almeno la parte in cui Pilato viene menzionato come magistrato che condannò a morte il Cristo.

Infine, Plinio il Giovane e Svetonio citano i cristiani come perseguitati dal potere imperiale. Ma essi non si soffermano sul processo, nonostante la figura Cristo era nota e oggetto di culto già pochi decenni dopo i fatti. 

Il diritto romano e il processo a Gesù

Il procedimento romano del I secolo d.C. seguiva – almeno parzialmente – le procedure della cognitio extra ordinem. Il sistema tradizionale dei giudizi popolari, dunque, era stato progressivamente sostituito con una procedura più semplice e gestita da un solo giudice.  In questo caso Pilato, in qualità di magistrato, era titolare di un potere discrezionale. In particolare, il processo romano seguiva un iter specifico:

  1. Il magistrato riceveva una denuncia o un’accusa;
  2. L’imputato veniva condotto dinanzi al magistrato per l’interrogatorio;
  3. Le prove raccolte venivano valutate in modo flessibile (non era necessaria la presenza di una giuria);
  4. Il magistrato, al termine dell’esame delle prove, poteva emettere subito la propria sentenza.

Nel caso di specie, Pilato riceve l’accusa dal Sinedrio: Gesù si proclama re dei Giudei, quindi quale soggetto in contrasto con il potere imperiale. Il Cristo venne presentato come un sedizioso pronto a dare vita ad una rivolta con l’intento di rovesciare il potere imperiale nella Giudea. Il procuratore, dopo l’interrogatorio, non trova colpa («non trovo in lui nessuna colpa» Gv 18,38). Tuttavia, Pilato vive una profonda pressione politica e, temendo disordini e una denuncia a Roma, cede alla richiesta della folla e condanna Gesù alla crocifissione.

I sacerdoti riescono quindi a pilotare il processo, minacciando Pilato («Se lo liberi, non sei amico di Cesare» Gv 19,12). La pena della crocifissione era la pena che i romani riservavano ai ribelli e agli schiavi. Essa viene ricordata come una delle pene capitali più tremende da infliggere pubblicamente, intesa quale monito per chi vi avrebbe assistito. L’accusa (titulus) veniva affissa sulla croce. In questo caso essa recita Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (Gesù il Nazareno Re dei Giudei) (Gv 19,19).

Pilato, dunque, emette una condanna a morte del tutto discrezionale, data l’assenza di prove concrete da usarsi contro l’imputato. Un dettaglio emerge in modo particolare: Pilato sembra tentare di delegare più volte la propria responsabilità. In un primo momento, ad Erode Antipa, poi alla folla e, in extremis lavandosi le mani (gesto del tutto simbolico, non legato alla procedura romana). 

Profili di illegittimità del processo giudaico e del processo romano  

Nel corso dei secoli, studiosi, storici, teologici e giuristi hanno evidenziato quelle che possono essere pacificamente considerate delle irregolarità nei processi instaurati contro Gesù. Per quanto riguarda il processo giudaico, esso presentò molteplici irregolarità:

  • Il processo si svolse di notte, cosa espressamente vietata dalla legge, in quanto il Sinedrio non poteva riunirsi di notte;
  • Per infliggere una condanna a morte era richiesto un periodo di riflessione di almeno un giorno;
  • I processi non potevano svolgersi durante le festività, come la Pasqua;
  • Doveva essere garantita la difesa all’imputato;
  • Doveva essere presente un numero concordato di testimoni.

Stabilito dal Sinedrio che Gesù doveva essere condannato a morte, questo venne condotto dinnanzi a Pilato. Anche il processo di fronte all’autorità imperiale presentò irregolarità procedurali, in particolare:

  • Il capo d’accusa venne mutato, passando da bestemmia a sedizione. Questo avvenne in quanto la bestemmia non era contemplata dai romani quale reato;
  • Mancata applicazione del principio del non liquet (dubbio a favore dell’imputato);

Le principali violazioni al diritto romano furono dovute alla pressione politica del Sinedrio. Questo suggerisce un uso distorto della legge e il configurarsi di un processo farsa. Gesù venne presentato a Pilato come un sovversivo politico e un usurpatore del titolo regale, come uno che sobillava il popolo dichiarandosi Re dei Giudei. Questa accusa configurava il reato di crimen maiestatis (lesa maestà), secondo la Lex Iulia Maiestatis introdotta da Augusto nel I secolo a.C.

Il diritto diventa strumento del potere

Sorge dunque una domanda spontanea: il processo a Gesù può definirsi una farsa? La risposta è sì.

Il procedimento, in questo caso, si trasforma in una mera simulazione della legalità. Il sistema di diritto viene palesemente piegato a quella che non è la sete di giustizia, ma un’impellente necessità politica. E in quello che diviene un vero e proprio pubblico comizio ritroviamo un alto funzionario sotto pressione, costretto a cedere all’altrui ingerenza. Il ricatto dei sacerdoti è bello e pronto: o tu ci offrirai la testa di Cristo, o noi offriremo la tua all’imperatore. La folla, dal canto suo, contribuisce al complicarsi delle vicenda, sobillata dai suoi capi religiosi.

Conclusione

Il processo a Gesù di Nazareth è classificabile come uno degli eventi più complessi della storia umana. Esso unisce inesorabilmente e in maniera drammatica la dimensione religiosa, la dimensione giuridica e la dimensione politica. I Vangeli ci offrono un resoconto storico della vicenda, mentre il diritto giudaico e romano dipingono i tratti processuali della vicenda. In particolare, dal punto di vista del diritto romano, il processo si presenta come un giudizio sommario. Il suo esito, infatti, è il frutto della necessità di mantenere l’ordine pubblico, più che dare rigorosa applicazione della legge.

L’evento analizzato fa emergere alcuni punti rilevanti:

  • Il diritto diviene uno strumento di conservazione del potere e di sedazione di potenziali disordini e rivolte;
  • L’imputato viene riconosciuto innocente, ma questo non ne impedisce la condanna a morte;
  • La sovranità dell’imperatore romano è superiore a ogni altra giurisdizione (anche divina). Il titolo di “re” non poteva essere usurpato senza che ciò non implicasse alcuna conseguenza.

Il processo a Gesù è qualcosa che va ben oltre il suo significato religioso. Esso fu profondamente ingiusto, in quanto rapido, irregolare, dominato da paure popolari e pressioni politiche. Quanto venne meno fu infatti la volontà di una reale ricerca della verità dei fatti. Cristo venne accusato senza che vi fosse un solido impianto accusatorio e condannato sotto l’influenza religiosa e sociale.

Ancora oggi, a distanza di 2000 anni, tale vicenda è incredibilmente attuale. Ciò in quanto essa narra dinamiche che si ripetono. Processi mediatici, ingiustizie pilotate, condanne già decise, potere giudiziario che si piega alla pressione della massa o agli interessi di parte. In molte parti del mondo, il diritto e la verità processuale continuano ad essere sacrificati nel nome della convenienza politica o sociale, ora come allora.  

Saverio Francesco Frega per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

AA.VV., La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato, 1995

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P.B. Bollone, Gli ultimi giorni di Gesù, Mondadori, Milano, 1999

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C. Cohn, Processo e morte di Gesù. Un punto di vista ebraico, Einaudi, Torino, 2000

G. Flavio, Antichità giudaiche, Utet, Torino, 2018

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Tacito, Gli annali. Libro XV, Editrice Ciranna, Palermo, 1995

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