Siamo ancora in tempo? Sostenibilità e Tecnologia

“Sviluppo Sostenibile e Tecnologia”

-N.4

Questo articolo è il quarto numero della Rubrica Archivistica di Sociologia dal titolo “Sviluppo Sostenibile e Tecnologia“

Siamo ancora in tempo ? Proseguendo con l’analisi del Rapporto della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (per saperne di più, clicca qui), oggi ci interroghiamo, assieme allo stesso Istituto, su questa domanda.

Siamo ancora in tempo?

Siamo ancora in tempo ? questa è la domanda che spesso ci si pone quando si parla di trasformazione sostenibile. Ad oggi, stiamo vivendo un momento di transizione cruciale per il futuro del nostro pianeta, tanto è vero che scienziati, professionisti e legislatori concordano sul fatto che, per riportare la nostra economia, la nostra società e l’ambiente all’interno del solco della sostenibilità, è necessaria un’ondata coordinata e ambiziosa di riforme.

Raccogliere la sfida che noi stessi abbiamo creato è un’impresa urgente quanto delicata: complessità, fattori interdipendenti, difficoltà a creare sinergie d’azione su ampia scala e congiunture politiche sfavorevoli hanno fatto insorgere in alcuni commentatori un certo sconforto circa le reali possibilità di attuare un cambio di rotta verso un futuro più sostenibile. Al contempo, dal campo della ricerca scientifica e delle scoperte tecnologiche giungono promesse di apertura di nuove frontiere, che lascerebbero intravedere un nuovo ventaglio di opzioni per salvare il pianeta e con esso l’intera umanità. Sono, inoltre, sempre più forti le pressioni esercitate dalle nuove generazioni sui leaders mondiali, perché cambino rotta e adottino azioni prima che sia troppo tardi.

La biodiversità e i cambiamenti climatici. Siamo ancora in tempo?

 In alcuni recenti rapporti pubblicati dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite e in un rapporto della Piattaforma intergovernativa scienza-politica per la biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES), è stata denunciata l’estrema urgenza della situazione, mettendo in evidenza al contempo la stretta interdipendenza tra cambiamenti climatici e biodiversità. Dal rapporto dell’IPBES (2019), compilato negli ultimi tre anni da 145 esperti di 50 Paesi, emerge l’avvertimento che “la salute degli ecosistemi da cui noi stessi e tutte le altre specie dipendiamo si sta deteriorando sempre più rapidamente”, e che “stiamo distruggendo le fondamenta stesse su cui si basano le nostre economie, i nostri mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita in tutto il mondo”.

Dallo stesso rapporto è emerso che sono circa un milione le specie animali e vegetali a rischio di estinzione, un numero mai raggiunto prima nella storia dell’umanità; parallelamente, le emissioni di gas serra (GES) sono raddoppiate rispetto al 1980, causando un aumento della temperatura media del pianeta di almeno 0,7 gradi Celsius. Utilizzando la definizione di temperatura media superficiale del pianeta dell’Organizzazione meteorologica mondiale e prendendo come riferimento la fine del XIX secolo per rappresentare il livello preindustriale, si nota che la soglia di aumento delle temperature di 1 °C è stata da poco superata e che il riscaldamento sta aumentando di 0,2 °C per decennio, con il rischio di un incremento delle temperature di 1,5 °C intorno al 2040.

In un rapporto dell’IPCC, pubblicato alla fine del 2018, era stato individuato in non più di 12 anni il tempo massimo entro cui tentare di invertire la tendenza per non scivolare nel caos: si trattava però, evidentemente, solo di una stima e i principali effetti negativi sul clima sono già più che evidenti in molte regioni.

L’impatto sociale ed economico dei cambiamenti climatici.

Il continuo deteriorarsi delle condizioni ambientali e la perdita sempre più grave di biodiversità non sono però solo interconnessi, ma anche strettamente correlati a impatti sociali ed economici. I cambiamenti climatici si stanno manifestando in modo sproporzionato proprio nelle regioni più povere, causando fame, disordini sociali e flussi migratori (BCFN e Macrogeo, 2017). Non a caso le aree urbane sono più che raddoppiate dal 1992; secondo dati recenti, lo scioglimento dei ghiacci nella regione artica starebbe causando, oltre a danni costieri, drastiche diminuzioni delle precipitazioni monsoniche nell’Africa occidentale e conseguenti perdite di produzione nelle aree agricole, con il rischio di innescare flussi migratori di milioni di persone nei prossimi decenni.

Tutti questi recenti rapporti si trovano inoltre concordi sul fatto che “le attuali tendenze negative nel campo della biodiversità e degli ecosistemi comprometteranno i progressi verso il raggiungimento di 35 dei 44 obiettivi valutati degli SDGs, relativi a povertà, fame, salute, acqua, città, clima, oceani e mari ed ecosistema terrestre (SDGs 1, 2, 3, 6, 11, 13, 14 e 15). Risulta quindi evidente come la perdita di biodiversità non sia solo un problema ambientale, ma investa anche sviluppo, economia, sicurezza, società ed etica” (IPBES 2019).

Le politiche globali a che punto sono?

Osservando le tendenze attuali, infatti, la convergenza di intenti raggiunta nel settembre 2015 da 193 Paesi sugli SDGs sembra appartenere a un’epoca ormai lontanissima della storia dell’umanità. Da allora molto è cambiato, con gli Stati Uniti che hanno raggiunto il minimo storico di impegno nei confronti degli SDGs, il Brasile che è entrato in una nuova era di governo populista e la Cina che fatica a mostrare la propria leadership in materia ambientale e soprattutto sociale.

Il fallimento delle recenti conferenze sull’ambiente, come la COP24 di Katowice, e le prove allarmanti di un’ondata di de-regolamentazione che sta portando all’abrogazione di diverse norme in materia di salute, sicurezza e ambiente, per esempio negli Stati Uniti e in Brasile, contribuiscono a rendere ancora più preoccupante l’attuale contesto.

Tuttavia, grazie alla recente iniziativa spontanea delle giovani generazioni in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sembra che il periodo di stallo sia in procinto di lasciare il passo a una fase di maggiore consapevolezza e attenzione. In assenza però di uno sforzo importante per trasformare gli attuali modelli di business e di consumo, lo slancio attuale dell’opinione pubblica non potrà tradursi in azioni politiche concrete.

La maggior parte della responsabilità di guidare il mondo verso la sostenibilità cade sulle spalle dell’Unione europea, dove un Green New Deal è stato recentemente annunciato dal nuovo Presidente designato della Commissione. Siamo ancora in tempo ?

Alessandro De Bari per Questione Civile

Fonte: Rapporto della Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition

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