Stoicismo greco e antica Roma: contatto tra civiltà

stoicismo

Lo stoicismo greco e l’incontro con il mondo romano all’origine della filosofia del diritto classica

Dopo aver prestato attenzione nel precedente articolo alle riflessioni aristoteliche sul principio dell’equità e sui limiti all’autorità delle leggi (clicca qui), ripercorriamo ora l’anno zero del contatto culturale e filosofico tra stoicismo greco e l’antica Roma.

Sulla dottrina del diritto di Marco Tullio Cicerone”
-N.1
Questo é il primo numero della Rubrica di Area dal titolo “Sulla dottrina del diritto di Marco Tullio Cicerone” appartenente all’Area di Filosofia del Diritto

Lo stoicismo e Zenone Di Cizio: le matrici della giusfilosofia romana

Per giungere, dunque, al mondo romano ed alla teoria filosofico-giuridica di Marco Tullio Cicerone, non posso esimermi dall’analizzare le influenze sul mondo romano da parte della scuola del “portico dipinto” (stoà poikìle), fondata ad Atene dopo il 300 a.C. da Zenone di Cizio.

Quest’ultimo, avendo seguito dapprima l’insegnamento cinico di Cratete, unitamente allo studio di temi platonici, riuscì a lasciare delle tracce nelle sue prime opere ed in altre seguenti, sotto l’influenza di esponenti della scuola megarica, di cui però pressocché nulla ci è pervenuto.

Questa sorte è stata condivisa da tutte le opere della letteratura stoica di età ellenistica. Infatti, per la ricostruzione di questa filosofia è necessario attingere a fonti indirette, ovvero gli autori antichi del passato, tra cui in particolare Marco Tullio Cicerone.

Dello Stoicismo egli ammirava soprattutto l’etica, della quale riprenderà molti elementi nelle sue opere.

La storia della scuola stoica e l’incontro con il mondo romano

È doveroso chiarire, però, che le fonti tendono a parlarci degli stoici come fosse un blocco filosofico e di pensiero monolitico, senza operare distinzioni tra i vari autori stoici. In realtà non sarebbe proprio così.

A Zenone successe nella direzione della scuola Cleante di Asso, a cui successe Crisippo di Soli, che intraprese un’opera di sistematica ricostruzione del pensiero filosofico dell’antica Stoà.

Quest’ultimo compose una lunga serie di scritti, non lasciando indugi sul suo assiduo impegno nella difesa e sistematizzazione delle dottrine stoiche, tanto da essere considerato quasi un secondo fondatore dello Stoicismo.

A lui successe il discepolo Diogene di Babilonia, il quale, nel 155 a.C. avrebbe fatto parte, insieme all’accademico Carneade e al peripatetico Critolao, di una celebre spedizione inviata dagli Ateniesi a Roma.

Questo evento sancirebbe, seppur non con estrema certezza, la data ufficiale del contatto tra la filosofia greca e il mondo romano, il quale, stando alla celebre espressione oraziana («Graecia capta ferum victorem cepit»), da conquistatore fu conquistato dalla cultura filosofica greca e soprattutto dallo Stoicismo.

L’impatto culturale tra i due mondi fu talmente efficace che possiamo ritrovare le tracce dell’insegnamento stoico fino ai primi secoli dell’Impero Romano.

Il rapporto tra virtù e sapere nello stoicismo greco

Il pensiero stoico è caratterizzato dalla stretta congiunzione tra virtù e sapere, riprendendo l’impostazione classica di Socrate e di Platone.

Questo pare rappresentare una notevole fermezza teorica della dottrina, specialmente dopo che le influenze aristoteliche ed epicuree avevano finito per allontanare la virtù in quanto tale dalla sapienza.

Dunque, gli stoici segnano il ritorno della perfetta coincidenza del sapiente con l’uomo virtuoso, infatti l’idea dell’infallibilità del sapiente (e dunque della sua virtuosità) risulta essere un dato ricorrente a partire dal fondatore della Stoà, Zenone di Cizio.

Infatti, secondo Zenone, per l’appunto, il sapiente è perfettamente inserito in un ordine razionale e presenta una regolarità di comportamenti analoga a quella della natura, senza errori né sbilanciamenti.

Dunque, l’infallibilità sapienziale, tipica dell’impostazione stoica, dipende proprio dal fatto che il sapiente, per il suo sapere, si è sottratto definitivamente alla futilità e alla fallacia delle opinioni e delle passioni, nella cui trappola finiscono per cadere la maggior parte degli uomini in società.

Il sapiente stoico e l’equiparazione divina

In questa prospettiva, è inevitabile finire per equiparare la virtù degli dei e degli uomini e, nel caso del sapiente stoico, il dislivello rispetto alla divinità sembra perfino scomparso.

A tal proposito l’equiparazione tra vita del sapiente e vita divina diventa una potente affermazione del primato dell’attività filosofica su tutti gli altri tipi di vita condotti dagli uomini, elemento questo che verrà ripreso e sviluppato nell’Etica Nicomachea di Aristotele.

Quest’ultimo indica, infatti, come fine ultimo dell’esistenza umana la dedizione alla vita contemplativa dei massimi sistemi dell’universo e alla ricerca delle risposte ai quesiti concernenti l’esistenza umana, stabilendo il primato dell’attività filosofico-pagana.

Riflessione ripresa e successivamente sviluppata da Tommaso d’Aquino, il cui lavoro di commistione tra aristotelismo e cristianesimo lo portò a finalizzare l’esistenza degli uomini alla ricerca contemplativa di Dio nell’esistenza e nelle sue stesse creature che abitano il mondo, in particolare l’uomo, stabilendo così il primato dell’attività teologica.

L’utopia dell’infallibilità sapienziale dello stoicismo

Tuttavia, il sapiente è una figura del tutto immaginaria e, talvolta, utopica.

In altre parole, gli stoici sono consapevoli dell’inesistenza di questa figura nella vita reale degli uomini o quantomeno, nel migliore dei casi, che sia esistito pochissime volte nella storia dell’umanità.

Ma che esista o meno, esso rappresenta un modello che gli stoici intendono presentare ai destinatari del loro insegnamento, proprio per la sua condivisibilità nella globalità e per la sua capacità di offrire un orientamento nuovo e privo di indugi sull’esistente, di fronte al quale né le condizioni fisiche, politiche o sociali, né tantomeno la sorte ed i contesti storici hanno potere alcuno.

I tre insegnamenti delle teorie stoiche

L’insegnamento stoico parte dalla concezione fortemente unitaria e sistematica della filosofia, che ricalca la tripartizione peculiare dell’età ellenistica di cui sono i diretti eredi.

Questa tripartizione consiste, in ordine di struttura, nella logica, nella fisica e nell’etica.

Dunque, tra queste tre parti della filosofia non esiste una gerarchia.

Indubbiamente, però, rispetto al fine del vivere bene, la logica e la fisica appaiono subordinate rispetto all’etica (aspetto tipico della filosofia ellenistica), ma in vista del benessere, occorre essere sapienti e quindi possedere pienamente anche la conoscenza della logica e della fisica.

Lo stoicismo e la logica

Il termine “logica” deriva da lògos, che significa sia “ragione”, sia “discorso”.

Per gli stoici essa non è, come per Aristotele, un organon, ovvero uno strumento della scienza empirica, ma una parte specifica del razionale sapere filosofico, ma la logica stoica ha per oggetto i discorsi ed è articolata in retorica (scienza dei discorsi lunghi) e dialettica (scienza delle cose significate e significanti).

Per gli stoici, gli esseri umani, a differenza degli animali, che emettono soltanto suoni, possono formulare le loro conoscenze in un linguaggio articolato, consistente di proposizioni che stabiliscono connessi corrispondenti a stati di cose o eventi della realtà sensibile.

Infatti, gli stoici diedero significativi contributi allo sviluppo della grammatica, costruendo una terminologia che rimase in vigore per indicare, ad esempio, i tempi dei verbi o i casi dei nomi e degli aggettivi.

Le tre fasi di sviluppo dello stoicismo

È innegabile che la scuola stoica abbia goduto di una grande fortuna, tant’è che si possono a ragione elaborare tre fasi distinte del suo sviluppo speculativo, succedutesi nell’arco di ben sei secoli.

Dapprima l’“antica Stoà” di Zenone di Cizio, Cleante di Asso e Crisippo di Soli.

In seguito, si svilupperà la “media Stoà” di Panezio di Rodi e Posidonio, maestro di Cicerone, il quale, levigando gli spigoli teoretici dello stoicismo, ha facilitato la compatibilità dottrinale con il mondo romano.

Infine, possiamo assistere alla cosiddetta “nuova Stoà” di cui furono grandi ambasciatori Lucio Anneo Seneca, Epitteto e l’imperatore Marco Aurelio.

L’estensione oltre il mondo romano

Ma l’estensione della fortuna dello stoicismo non si limita soltanto al mondo romano, ma è riuscito ad essere considerato anche nell’età medievale e moderna.

Per fare degli esempi concreti, noto è l’abbandono allo Stoicismo, quantomeno nella sua fase iniziale, di Michel de Montaigne, nel XVI secolo, ed altrettanto si può dire per tutto l’umanesimo.

Ma la ripresa delle dottrine stoiche non sono rintracciabili solo nel mondo filosofico e letterario, come ad esempio Calvino o come gli scolastici spagnoli, ma è rintracciabile altresì nel mondo della scienza giuridica, come Jean Bodin, nella sua definizione di diritto, come Ugo Grozio, che riprende interamente la teoresi stoica, ed altri.

Per ultimo, possiamo affermare con estrema certezza che la maggior parte dei filosofi moralisti dell’età moderna rimase influenzata profondamente dalla dottrina stoica.

La vera base dottrinale della filosofia giuridica classica

È importante chiarire che, ai fini della completezza della presente indagine che si propone di rintracciare i primi riferimenti giuridici nell’antica dottrina stoica, non bisogna fare riferimento alla nuova Stoà, poiché le opere di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio ci inducono all’errore, in quanto riflettono uno Stoicismo incompleto legato meramente al sostrato morale-letterario.

Ma non bisogna fare riferimento neanche agli insegnamenti dell’antica e media Stoà di Posidonio e Panezio di Rodi, i quali appaiono inutili alla nostra indagine sulla dottrina del diritto e della giustizia, poiché, gli antichi e i medi stoici non hanno minimamente affrontato il tema del diritto, della natura e della giustizia in chiave filosofico-giuridica.

Ma, a ragione, possiamo considerare come la vera base dottrinale, parimenti alle teorie platoniche ed aristoteliche, che ha sancito la nascita sia della scienza del diritto in quanto tale che della filosofia del diritto, come vere e proprie discipline di ricerca e applicazione speculativa, le teorie di Marco Tullio Cicerone.

Queste ci permettono di conoscere e comprendere quale sia stata la filosofia del diritto romana nell’epoca pagana dell’antica Roma, imprescindibile per comprendere ed interpretare con giusto criterio e con ampia visione dottrinale il problema del diritto nella contemporaneità e tentare di offrire un quadro risolutivo alternativo alle comuni teorie accreditate.

L’eredità greca nel mondo romano

Grazie all’incontro tra media Stoà di Panezio e Posidonio con il mondo romano, più precisamente con i grandi giuristi e oratori romani, è stato possibile tradurre molte opere greche in latino.

Inoltre, grazie alla grammatica ed alla retorica romana trovarono una veloce diffusione le nozioni filosofiche di diritto di natura, di equità, di legge in senso più ampio, che valicasse i confini soffocanti dell’approccio giuspositivista tipico del diritto romano fino a quel momento.

Infine, la scienza giuridica romana potrebbe apparire come un mero prodotto dell’influenza greca, ma ciò non deve essere.

In primo luogo, perché per “cultura greca” ci si può riferire all’origine geografica di alcuni filoni di pensiero, poiché le dottrine al suo interno erano variegate ed in alcuni casi anche opposte, tali per cui sarebbe un errore banale considerare la “cultura greca” come un blocco monolitico e unitario salpato da Atene e sbarcato nel mondo romano.

In secondo luogo, perché i giuristi romani si ispirarono alle filosofie greche in maniera del tutto libera da condizionamenti, per cui alcuni ripresero certe dottrine, altri ne ripresero altre di matrice speculativa del tutto opposta.

Le innovazioni dei filosofi romani

A tal proposito, infatti, è giusto ribadire che i romani si sono riferiti non solo alle opere stoiche, ma anche alle opere platoniche e aristoteliche, da cui, in particolare, il diritto romano ha ripreso nel periodo classico i suoi principi costitutivi ed il suo ineccepibile valore gius-filosofico.

Per cui, i romani non hanno soltanto ereditato delle nozioni e delle teorie dal mondo greco, bensì sono andati oltre, nello sviluppo e nella speculazione giuridica e filosofica sul diritto e sulla giustizia.

Alessio Costanzo Fedele per Questione Civile

Bibliografia

Parte degli articoli pubblicati nel presente archivio sono estratti del mio lavoro sperimentale dal titolo “Lo Stoicismo giuridico di M. T. Cicerone”, che rientra nell’area scientifico-disciplinare della filosofia del diritto, completata il 20 marzo 2020.
Uno dei principali testi che ho adottato per la ricerca, lo studio e la stesura del lavoro è “La formazione del pensiero giuridico moderno” (1986, Editoriale Jaca Book spa, Milano) di M. Villey.

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