Il doping nello sport: dalla gloria al profitto

Il doping

Doping: l’origine del termine

La cronaca sportiva racconta spesso casi eclatanti di atleti che fanno uso di medicinali, sostanze stimolanti e pratiche mediche con il fine di migliorare la performance fisica.

Queste pratiche rappresentano tanto un’infrazione dell’etica sportiva quanto di quella medica; la somministrazione di determinate terapie, infatti, è quasi sempre molto pericolosa per la salute di chi ne fa uso.

Da molti anni il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) si dedica alla lotta al doping. Nel 1999 venne istituita la WADA (World Anti-Doping Agency). Esso l’organo di vigilanza che opera per garantire una leale competizione sportiva libera dal doping.

Il termine “doping” viene fatto risalire all’olandese “doop”, vocabolo con il quale si indicava una sorta di salsa densa derivante dalla cottura di sostanze stupefacenti usate, secondo le leggende metropolitane, dai rapinatori per stordire le loro vittime. C’è anche chi fa risalire il termine al “dop”, una bevanda a base alcolica usata dagli sciamani del Sud Africa durante le cerimonie rituali.

Agli inizi del ‘900 si parlava di doping all’interno degli ippodromi indicando con questa espressione la pratica di somministrare sostanze stimolanti agli animali prima delle corse.

L’origine etimologica della parola “doping” appare dunque varia e incerta, ciononostante testimonia il legame esistente tra l’assunzione di determinate sostanze e l’effetto alienante e straniante che queste hanno nei confronti della realtà.

Il doping nell’antichità

L’abuso di sostanze dopanti nelle competizioni sportive è documentato fin dall’antica Grecia.

Nel mondo antico, lo sport era il mezzo attraverso cui gli atleti affermavano il loro valore eroico, dando dimostrazione della propria forza e della propria destrezza in contesti di competizione e di lotta. Aristotele, nella sua opera “Etica Nicomachea” (IV secolo a.C.), sostiene che gli uomini aspirano all’onore per accertarsi del proprio valore.

Affermare il proprio valore era una necessità al punto tale che, durante lo svolgimento dei giochi olimpici, gli atleti non di rado si servivano di mix di funghi, erbe e bevande stimolanti per aumentare l’aggressività e migliorare le prestazioni fisiche.

Ovviamente essere sorpresi in possesso di tali sostanze rappresentava un disonore tale da decretare, nei casi più gravi, la condanna a morte dell’atleta.

Il doping nell’era moderna

Con la diffusione del cristianesimo, togliere tempo alla spiritualità per dedicarlo alla cura del corpo era considerato peccato e le stesse manifestazioni sportive erano descritte dai vescovi come oscene. Durante tutto il medioevo e il rinascimento si ha di conseguenza una perdita della sportività in generale.

Nel 1896 gli investimenti del barone Pierre de Coubertin furono propizi alla rinascita delle Olimpiadi, rimaste indisputate per più di 1500 anni. Tuttavia, contestualmente al rilancio delle Olimpiadi e sull’onda del ritrovato entusiasmo per lo sport professionistico, riprese anche la pratica del doping.

Per tutto il XX secolo i paesi dell’Est e l’Occidente investirono numerose risorse per migliorare le prestazioni degli atleti. Vincere medaglie a ogni costo era infatti un modo per dimostrare al mondo la superiorità della propria cultura.

La scienza del doping trovò in questo contesto un terreno fertile per il proprio sviluppo.

Negli anni Cinquanta comparvero sul mercato gli steroidi anabolizzanti: si tratta di ormoni che promuovono la crescita muscolare e aumentano l’aggressività, la forza e l’energia.

Oltre agli anabolizzanti si diffuse anche l’utilizzo di sostanze e metodiche capaci di aumentare la durata dello sforzo. Queste pratiche, il cui uso è frequente tutt’oggi negli sport di resistenza, intervengono sulla capacità dei globuli rossi di trasportare ossigeno, garantendo un costante apporto di energia ai muscoli e aumentando di conseguenza la resistenza alla fatica.

La nascita dell’antidoping

L’opinione pubblica iniziò ad interessarsi al problema del doping quando l’abuso di tale pratica cominciò a rappresentare un problema per l’incolumità degli atleti.

Nel 1960, durante la celebrazione della XVII edizione delle Olimpiadi moderne, il ciclista danese Knud Enemark Jensen morì durante lo svolgimento della 100km a squadre. L’atleta, colto da un improvviso malore, cade fratturandosi il cranio.

L’autopsia rivelò che il ciclista aveva fatto uso di sostanze dopanti prima di gareggiare.

A seguito della tragedia, molte morti che fino ad allora erano state attribuite a cause naturali o accidentali cominciarono a essere imputate all’abuso di sostanze dopanti.

Fu così che il CIO prese posizione e istituì una commissione medica per garantire regolari controlli antidoping sugli atleti.

Seguendo questa linea, le autorità politiche mondiali nel 1999 crearono la WADA (World Antidoping Agency), l’agenzia deputata alla prevenzione del doping che stilò il “Codice mondiale anti doping”.

Lo sport commercio del XXI secolo

Nel XXI secolo lo sport è diventato un fenomeno di estrema rilevanza sociale ed economica.

In Italia circa 6 milioni di persone (dati ISTAT 2017) lavorano nel settore sportivo e il valore della produzione direttamente o indirettamente attivata dallo sport sfiora la cifra esorbitante di oltre 10 miliardi di euro l’anno.

Le stesse società sportive sono delle vere e proprie aziende, con tutto ciò che ne consegue.

Intorno agli atleti, ai quali vengono riservati contratti da milioni di euro, ruotano molte figure: allenatori, dirigenti sportivi, personale medico, sponsor, mass media. Esse sono tutte figure portatrici di molti interessi legati al successo dei club sportivi stessi.

Nella politica consumista e capitalista delle aziende sportive, l’immagine di un atleta popolare, in salute e performante, in grado di portare risultati e titoli, rappresenta una desideratissima fonte di guadagno.

Le prospettive di profitto fanno sì che troppo frequentemente la salute, la sicurezza e l’integrità morale degli atleti passi in secondo piano per garantire una permanenza ai vertici dello sport commercio il più a lungo possibile.

È proprio nel perseguire questa corsa al profitto che le società sportive, prima ancora degli stessi atleti, spesso ricorrono ad escamotage come il doping. Questo per garantire una sempre maggiore spettacolarità delle azioni dei propri atleti e mantenerne alta la competitività.

Come i mass media influenzano il mondo dello sport

La società moderna è stata investita dalla rivoluzione tecnologica. Quello plasmato dai mass media e dai social network è un mondo senza barriere.

In questa nuova cultura virtuale si assiste a una sovraesposizione del corpo, che ha dei risvolti di proporzioni gigantesche nel mondo dello sport. I confini tra prestazione e spettacolo sono sempre più sfumati e la performance dell’atleta merita attenzione solo se eccezionale.

La competizione sportiva perde molto del suo antico significato. Al suo posto irrompe violentemente la continua ricerca del risultato, che diventa l’unico modo per affermare la propria personalità.

In questa spirale di iper-competizione, l’atleta è ridotto alla prestazione che riesce a produrre.

Sebbene queste considerazioni sembrino rivolte alla limitata platea degli sportivi professionisti, non è da trascurare il fatto che i modelli proposti dai social media rappresentano spesso l’archetipo ideale che molti sportivi amatoriali e agonisti tendono ad emulare.

Questo atteggiamento potrebbe avere dei risvolti positivi, qualora proponesse degli stili di vita sani e costruttivi. Troppo spesso, però, quello che si osserva è l’instaurarsi di un pericoloso circolo vizioso fatto di frustrazione e insoddisfazione.

Il doping: un’alternativa pericolosa

Nella società del “tutto e subito” molti non sono in grado di capire quanto tempo e quanti sacrifici siano necessari per perseguire determinati risultati (sempre più esasperati e spettacolarizzati).

Così, si capisce come il doping diventi un’alternativa estremamente attraente per coloro che, per ignoranza o per noncuranza nei confronti della propria incolumità, sono pronti a barattare la propria integrità morale e la propria salute (perché di doping si muore) per conquistare l’effimero momento della vittoria.

Tuttavia, la promessa di onnipotenza del doping di smaterializzare i limiti del corpo è una promessa vana: si tolgono le catene che la genetica ci ha imposto e le si rimpiazzano con le catene di una dipendenza che con l’inganno cerca di rendere l’eccezionale accessibile all’ordinario.

Marco Manzoni per Questione Civile

Bibliografia e sitografia

  • Togni Fabio, “Competenza personale e competizione sportiva”, La Scuola editore, 2014;
  • Nielsen, “Sports Market overview: new trends”, novembre 2019;
  • Daniele Del Moro, “Doping, emergenza nello sport amatoriale”, GreenPlanetnews.it, luglio 2018;
  • www.omceo.me.it, “il doping e la sua storia”;
  • www.salute.gov.it, “Che cos’è il doping”, gennaio 2006.
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