Palestrina e il mosaico con ambientazione nilotica

Palestrina

La storia e le caratteristiche del raffinato mosaico di Palestrina

Un autentico capolavoro dell’arte tardo-repubblicana si nasconde a Palestrina: stiamo parlando del grande mosaico nilotico. Oltre a essere uno dei mosaici più belli del periodo, è anche un documento importantissimo che aiuta a comprendere alcune fondamentali dinamiche sociali, economiche e artistiche della Roma della fine del II secolo a.C.

In questo articolo cercheremo di analizzare la complessa storia di questa opera, della sua scoperta e le sue caratteristiche artistiche.

L’antica città latina di Palestrina

Palestrina, l’antica Praeneste, è ubicata sulle pendici meridionali dei Monti Prenestini, a controllo di una serie di tracciati del Lazio interno che ne fecero un centro importante già da epoca molto antica. Infatti la sua posizione lungo numerose vie di comunicazione che collegavano Etruria, Lazio e Campania, come le vie Labicana e Latina e la sella tra i Monti Albani e Lepini, la rendevano un punto davvero strategico.

Non sono molte le tracce di frequentazione che risalgono all’VIII secolo a.C. Esse sono comunque utili per comprendere l’antichità dell’insediamento, che prosperò nei secoli VII e VI a.C., quando intrattenne intensi rapporti commerciali con Roma e il mondo italico. Dal V secolo a.C. iniziarono rapporti più stretti con Roma, che di lì a poco sfociarono in diversi scontri militari. Durante i secoli le testimonianze materiali sono numerose e aumentano di consistenza a partire almeno dal IV secolo a.C. I rapporti altalenanti con l’Urbe terminarono dopo la guerra sociale (91-88 a.C.), quando la città ottenne la cittadinanza romana.

È con la fine del II secolo a.C. che la città conosce un momento di grande fervore urbanistico. A questo periodo si datano, infatti, i lavori di costruzione del suggestivo santuario su sette terrazze dedicato alla dea Fortuna Primigenia e la ristrutturazione del foro cittadino, che fu arricchito di numerosi edifici.

L’opera che stiamo per analizzare proviene proprio da uno degli edifici del foro.

Il mosaico: una storia di spostamenti e restauri

Fu rinvenuto nel Seicento in un ambiente del Palazzo Vescovile di Palestrina, che si imposta sulla cosiddetta aula absidata del foro romano. Dopo qualche anno il mosaico fu staccato e trasferito a Roma. Quando, però, la famiglia Barberini divenne proprietaria del feudo di Palestrina il Cardinale Francesco Barberini desiderò che il mosaico ritornasse nel luogo originario.

Così accadde e questo fu ricollocato nel Palazzo Vescovile e lì rimase fino alla metà dell’800, quando ci si rese conto che il luogo non era adatto alla conservazione per le condizioni ambientali. Il mosaico necessitò quindi di un nuovo restauro; fu, allora, tagliato e riportato a Roma, per poi tornare a Palestrina, questa volta nel Palazzo Colonna Barberini. Durante il Secondo Conflitto Mondiale l’opera fu portata nuovamente a Roma per essere custodita in maniera più sicura e tornò a Palestrina, dove tutt’ora è ammirabile nel Museo Archeologico Nazionale che ha sede nel Palazzo Colonna Barberini, solo alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, a seguito di una nuova importante azione di restauro.

La collocazione originaria del mosaico

L’opera è stata a lungo al centro di numerosi dibattiti. La più importante questione che ha contrapposto gli archeologi è quella dell’ambiente in cui era collocato il mosaico stesso. La diatriba nacque a causa delle diverse interpretazioni date di un passo di Plinio. Alcuni studiosi ritenevano che questa opera fosse quella citata dall’autore latino quando parla di un lithostroton, ovvero un mosaico fatto di piccole tessere marmoree di forma cubica, donato da Silla dopo la sua vittoria su Mario al santuario di Fortuna Primigenia. In realtà ormai è acclarato che il mosaico di cui parla Plinio non è questo. In primo luogo perché il termine non è, come vedremo, adatto a indicare un mosaico come quello nilotico; poi perché il luogo di ritrovamento è ormai certamente riconosciuto in un edificio del foro cittadino e non nel santuario.

Il mosaico nilotico di Palestrina: questioni tecniche

Il mosaico di 5×5 m, è composto con la tecnica dell’opus vermiculatum, ovvero con tessere minutissime di differenti colori e di forme non tutte uguali (per quanto riguarda la tecnica di messa in opera dei mosaici si veda all’articolo sui Mosaici di Spello). La differenza cromatica e delle tessere permetteva ai mosaicisti di ottenere sfumature di colore molto raffinate. L’opera deve essere stata realizzata da artigiani di probabile provenienza da Alessandria d’Egitto; molti studiosi ritengono addirittura che gli artisti siano gli stessi che hanno realizzato il mosaico della battaglia fra Alessandro e Dario della Casa del Fauno di Pompei.

Le botteghe di ambiente alessandrino erano molto ricercate dalle grandi committenze dell’Italia centrale di età tardo-repubblicana, che affidavano loro decorazioni e opere di grande raffinatezza, proprio come il mosaico di Palestrina che riproduce anche, come vedremo, l’ambiente del Nilo.

La composizione utilizza espedienti presenti anche in altre forme artistiche del mondo romano contemporaneo, soprattutto dei rilievi, uno è quello di porre più in alto nella rappresentazione ciò che era concepito per essere più lontano dal punto di vista prospettico. In passato questo espediente era stato ritenuto da R. Bianchi Bandinelli un connotato tipico dell’arte plebea, però questa opera, così come altre che utilizzano la stessa tecnica, ovviamente non è assolutamente un opera plebea, quindi questa concezione è da ritenersi superata.

Il mondo culturale dietro il bestiario delle scene del mosaico di Palestrina

Il vero protagonista del mosaico è il maestoso fiume Nilo, rappresentato lungo il suo corso dal porto di Alessandria. Nel suo risalire verso la sorgente il paesaggio diventa sempre più selvaggio, abitato non più da uomini e animali, ma soprattutto da questi ultimi. Di ogni animale è riportato in greco il nome che lo identifica, come un’enciclopedia della fauna che popolava le sponde del Nilo.

Molti animali sono stati a lungo ritenuti di fantasia o mitologici. Tuttavia, studi recenti hanno mostrato che tutti sono riconducibili a esemplari realmente esistenti, alcuni noti ai Greci sin dal V secolo a.C., altri dal momento della conquista di Alessandro, quando le esplorazioni verso terre fino ad allora poco note ampliarono le conoscenze degli antichi Greci anche in questo campo. L’attribuzione mitologica di alcuni animali è piuttosto da ricondursi al fatto che alcune di queste specie erano ignote agli studiosi europei fino al XX secolo. Si ritiene che dietro questo tipo di rappresentazione paesistica ci siano manoscritti, testi geografici che riportano i nomi degli animali (un esempio può essere il Papiro di Artemidoro). Ciò che testimonia una volta di più come l’artista che ha creato la composizione fosse legato all’ambiente colto, tanto che sono riportati anche animali molto rari.

La rappresentazione di un così ampio quadro paesaggistico e geografico serve anche da sfondo a numerose scenette leggibili singolarmente. In una si vedono diversi tipi di imbarcazioni che sono già attraccate al porto di Alessandria o lo stanno per fare; in un’altra scena alcuni soldati officiano un rito davanti a un edificio colonnato, probabilmente un tempio. O ancora persone che si intrattengono in un banchetto all’ombra di una pergola, contadini al lavoro e infine rappresentazioni di edifici che possono essere identificati con costruzioni realmente presenti lungo il corso del fiume e così via.

Il mosaico nilotico e la pittura paesaggistica romana

Il mosaico è un’opera originale, nel senso che non sembra riprodurre, come spesso accade nel mondo artistico di epoca ellenistica, un originale famoso; piuttosto dovrebbe essere una scena creata utilizzando e mescolando tra loro diversi quadretti, ovvero scene intese a sé stanti, su un grande sfondo geografico.

L’ambito artistico della pittura paesaggistica, nella quale l’opera rientra nasce in ambiente alessandrino agli inizi del II secolo a.C. e diviene subito molto popolare a Roma, cosa testimoniata tanto dalle fonti quanto dai ritrovamenti archeologici.

Carmine De Mizio per Questione Civile

Bibliografia

Bejor G., Castoldi M., Lambrugo C., Arte greca. Dal decimo al primo secolo a.C., 2008.

Ghini G. (a cura di), Guida agli antichi templi e santuari dei Castelli romani e prenestini, 2008.Salari L., Aristotele, il mosaico nilotico di Palestrina e il choiropithecos, in Atti 8° Convegno Nazionale di Archeozoologia 2015, pp. 193-199.

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