Nicolas Winding Refn: i neon e la vaporwave

Nicolas Winding Refn

Nicolas Winding Refn è il protagonista del primo articolo dedicato al cinema espressionista contemporaneo: un regista che ha fatto dell’estetismo “a neon” il suo manifesto stilistico

Il ventunesimo secolo ha portato con sé svariati cambiamenti nelle modalità di espressione delle arti. La cinematografia ha acquistato sempre più fama e clamore, divenendo maggiormente sfaccettata, varia e complessa. In particolare, molti registi contemporanei sentono l’esigenza di rappresentare sul grande schermo concetti, immagini, oggetti, storie che disorientano, sconcertano lo spettatore, non sempre positivamente. Puntare tutto sul senso della vista, il più impressionabile, è ciò che accomuna questi artisti contemporanei: l’immagine, l’estetica dell’immagine, diviene la chiave per lasciare un segno quanto più indelebile possibile. Li si potrebbe definire “romantici”, visto il carattere sublime delle loro pellicole, tanto conturbanti e ripugnanti, quanto ammalianti e seducenti. Il regista danese Nicolas Winding Refn è sicuramente da annoverare tra i maggiori esponenti di questo particolare tipo di estetica. 

In questa rubrica analizzerò alcuni tra i più famosi e acclamati registi che hanno sconvolto il pubblico tramite il loro linguaggio estetico ed espressivo fuori dal comune. Un linguaggio coraggioso e disarmante, sempre soggetto a reazioni e pareri fortemente contrastanti. 

“Nuovo cinema espressionista”
-N.1
Questo è il primo numero della Rubrica di Area dal titolo “Nuovo cinema espressionista”, appartenente alla Macroarea di Lettere e Cinema 
 

Il grande cult di Nicolas Winding Refn: Drive

La tappa decisiva del percorso autoriale di Refn è senza ombra di dubbio il cult “Drive”(2011). Basato sull’omonimo romanzo di James Sallis, la pellicola è valsa al regista il Prix de la mise en scène al Festival di Cannes 2011 e una candidatura agli Oscar. 

Vaporwave e le prime luci della “città di neon”  

È “Drive” a gettare le basi del manifesto stilistico di Refn, a dettare gli stilemi di un linguaggio ibrido che sfugge ad ogni tentativo di catalogazione. Inizia a trasparire un’estetica “a neon”, sfruttata fino alla sua più abbagliante essenza da quello che è diventato il suo più autorevole esponente. La fotografia e le scenografie cominciano ad assumere un significato determinante nell’arte del regista, stregando e ipnotizzando lo spettatore in maniera ben ragionata. Ad aggiungere un tocco di classe e di “modernismo” al tutto, troviamo una colonna sonora all’insegna della vaporwave, che esplode in tutto il suo potere immaginifico: una bellissima “Nightcall” di Kavinsky e “A Real Hero” di Electric Youth.  

Un eroe che non parla, solitario e iperrealista

“Drive” si può definire una fiaba contemporanea, come accenna lo stesso Refn, facendo riferimento alle opere dei fratelli Grimm. Non a caso, possiamo notare una costruzione stereotipica dei personaggi: l’eroe, nonché il driver, motore e fulcro della vicenda, l’antagonista, l’aiutante e l’amata da salvare, tutti aventi caratteristiche fisiche e morali proprie dell’immaginario comune. 

Un’altra impronta registica propria di Refn è la quasi totale assenza di dialoghi. Non a caso, l’eroe e protagonista non parla quasi mai, trasmettendo tutto ciò che vuole esprimere solamente con il linguaggio del corpo, con l’espressività del viso in particolare. Caratteristici sono infatti degli intensi primi piani, che ritroviamo anche nei film successivi di Refn. Quest’ultimo gioca tutto sulla fotografia, da brividi, ben calcolata e perturbante, una caratteristica che accomuna tutti i registi espressionisti del cinema contemporaneo. 

Refn dà al suo eroe possibilità di replica, di azione, che diventa reazione e nella sua forma più istintiva, violenta e feroce. Eppure, nonostante la costruzione fiabesca, il lieto fine non è minimamente contemplato, così come in nessun’altra dimensione e ramificazione della città di neon.  

L’Inferno di Nicolas Winding Refn, suo manifesto per eccellenza: The Neon Demon

Tanto acclamato e condannato dalla critica durante la 69° edizione del Festival di Cannes, “The Neon Demon” (2016) è un altro dei film più caratteristici di Refn. Pur non avendo avuto lo stesso successo di “Drive”, la città di neon di Refn mostra connotati molto più estremizzati, accecanti e horror in questo caso. “The Neon Demon” afferma e sancisce un’impronta stilistica più matura, più consapevole e temeraria, capace anche di veicolare diversi riferimenti simbolici e citazioni all’inferno dantesco. “The Neon Demon” merita un’analisi più approfondita: sviscerando i caratteri più interessanti della pellicola, è possibile captarne la complessità e capire come mai sia stata oggetto di molteplici dibattiti e interpretazioni.

Il mito della perfezione e il peccato di Hybris 

Una costante di questa seconda pellicola, oltre all’utilizzo delle luci a neon portato all’estremo, è l’aspirazione alla bellezza assoluta. Citando le parole di un personaggio del film, nella città di neon “la bellezza non è tutto. La bellezza è l’unica cosa”.

Non a caso, tutto l’universo di “The Neon Demon” è composto in funzione della bellezza fisica, di un estetismo estremo e agghiacciante: ne sono testimoni le scene ambientate nella passerella, nella sala trucco, nei set fotografici, al primo provino della protagonista e così via. Tuttavia, ciò che più trasporta lo spettatore all’interno dell’universo dominato dalla ricerca spasmodica della perfezione fisica, sono due delle tre antagoniste, Gigi e Sarah. Le due ragazze possono essere definite sia personaggi romantici in piena regola, poiché portavoce di uno slancio vitale destinato a terminare drammaticamente; sia peccatrici di Hybris, a causa del loro implicito patto con il demonio, grazie al quale guadagnano la loro bellezza. 

Il culto del candore e la profezia del veltro 

La città di neon sembra risvegliarsi all’arrivo della protagonista, la bella e genuina Jesse. Simbolo della purezza e del tanto ambito candore, Jesse possiede la dote più rara di qualsiasi altra all’interno dell’inferno creato da Refn. La ragazza in questione è diversa dalle bambole di porcellana che popolano la Los Angeles della pellicola. Non a caso, la sua figura porta alla luce una cieca necessità, sintomo di una realtà tragica, svelata da una seconda citazione, proprio in riferimento a Jesse: 

“Niente di artificiale, niente di falso. Un diamante in un mare di vetro.”

Il mondo tutto al femminile che ci presenta Refn, è popolato di anime macchiate, dall’aspetto finto, artificiale.L’ossessione che porta le antagoniste ad uccidere la protagonista, l’unica ad avere il dono dell’autenticità, scaturisce dalla ricerca della dote perduta, dell’ignoto e del singolare. Tutti fattori che le porteranno all’antropofagia: la venerazione del candore raggiunge livelli tali da spingerle a cibarsi di Jesse, per ottenere ciò che il mondo agogna e di cui loro sono prive.

Un’altra interpretazione rende le tre antagoniste associabili alle figure note delle fiere della “Divina Commedia” di Dante, e la protagonista al veltro della profezia. Il film sarebbe quindi un capovolgimento della morale trasmessa nel famoso poema: il bene non è destinato a trionfare sui peccati peggiori dell’uomo.

L’immagine speculare e la doppiezza 

Il principio strutturale di “The Neon Demon” è quello dell’ambiguità e della doppiezza. La superficie apparentemente regolare dello schermo riflettente può essere osservata da una parte e dall’altra: l’avventura dell’ingenua Jesse puòconvertirsi, in virtù del ribaltamento dello specchio, nell’intrusione maligna di un personaggio che infetta l’universo in cui approda come corpo estraneo. Grazie al rovesciamento di prospettiva, chi guarda diventa chi è guardato, chi corrompe diviene chi è corrotto. 

Lo stesso titolo “The Neon Demon” ha duplice valenza: “il demone del neon” o “il neon del demone”. Nel primo caso è attribuibile al mondo della moda, pregno di arrivismo e voracità; mentre, nella seconda interpretazione, è associabile alla luminosità del diamante, nonché della stessa Jesse. Nel primo caso la luce dei fari che illumina i set fotografici e le sfilate pulsa, intossica e imbambola, mentre, nel secondo, a irradiarsi è la fluorescenza che sprigiona la protagonista, una luce che strega tutti. Lo stesso si può dire del triangolo luminoso che scandisce geometricamente la narrazione, tratto distintivo dell’intero film, una figura trina che è essenza stessa della reversibilità: può essere divinità, trascendenza, organo femminile o occhio superiore.

Nicolas Winding Refn, un artista in grado di giocare con la monumentalità 

“Ogni uomo ha dentro di sé una ragazza di sedici anni” dichiara Refn.

Più volte il regista ha esplicitato la sua ossessione per il corpo femminile inteso come apparato riproduttivo. In una delle sue dichiarazioni dice che “ogni uomo vuole tornare dentro l’utero materno”. Refn tenta di penetrare il mistero della donna, del suo interno, del meccanismo biologico che ne fa una creatura portentosa: il ciclo mestruale. “The Neon Demon”, non a caso, è un’opera sulle mestruazioni, il vero dono raro di Jesse. Molte modelle soffrono di amenorrea, l’interruzione del ciclo mestruale, a causa delle diete drastiche. Proprio per tale motivo, la protagonista non è tanto oggetto sessuale, quanto oggetto sessuato, la cui femminilità è negli organi, nei fluidi. 

In conclusione, non sono persone, i personaggi delineati da Refn. Il regista non permette allo spettatore di mettersi comodo, ragion per cui i suoi film andrebbero guardati come ci si rapporta a un’opera d’arte concettuale. I suoi personaggi sono simboli archetipici aggiornati alle forme del consumo occidentale, tensioni istintive e primitive. Non esiste il tutto tondo, bensì solo superficie elettrica: sagome, neon, musica svuotata, antirealistica, inquadrature che hanno un che di monumentale e sacrale. Refn non cerca un punto di vista sulle cose, bensì una visione che deformi. Lavora su un immaginario e su una cultura manipolabile da una forma audiovisiva che va oltre la superficie del reale: gioca tutto sui movimenti, dei corpi, delle luci, dei suoni. Le sue opere sono surrealiste, gore, fiabesche, oniriche, paradossali, anaffettive, ermetiche. 

Refn gioca con l’ingenuità dello spettatore, che crede di trovarsi davanti ad un film vacuo, insignificante, che trova la sua nemesi nel personaggio che crede di dominare l’immagine, finendone schiacciato. Come un demone, i suoi film si fingono ingenui per esistere tramite i corpi e per legittimazione dell’occhio che guarda. 

Alice Gaglio per Questione Civile

Bibliografia

Nicolas Winding Refn, Drive, Marc Platt Productions, 2011.

Nicolas Winding Refn, The Neon Demon, Amazon Studios, 2016. 

Sitografia

THE NEON DEMON

https://www.cinematographe.it/recensioni/drive-recensione/

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