Santa Maria Antiqua: un po’ d’Oriente nel cuore di Roma

Santa Maria Antiqua

Santa Maria Antiqua: correnti stilistiche orientali a cavallo tra VII e VIII secolo

La basilica di Santa Maria Antiqua, ricavata nel VI secolo dai resti della zona del palazzo di Domiziano, seppellita sotto le macerie del terremoto dell’847, tornò alla luce grazie allo scavo archeologico del 1900.

I dipinti murali, che si dispiegano all’interno dell’edificio, sono una testimonianza unica nel mondo per lo studio dell’arte altomedievale e bizantina e, soprattutto, per comprendere la cultura figurativa orientale-ellenizzante in Occidente dal momento che di quell’epoca è rimasto ben poco dopo a causa delle distruzioni iconoclaste e che cancellarono gran parte delle immagini sacre tra il VIII e il IX secolo.
A sottrarla a quel destino fu il terremoto dell’847, che nascose sotto le macerie il suo tesoro e che ora torna ad essere fruibile al pubblico (dal 2016).

La nascita di Santa Maria Antiqua

Nel 552 i Bizantini, una volta conquistata l’Urbe, ripristinarono, oltre a mura e acquedotti, anche i vecchi palazzi imperiali compresa, nel Foro Romano, ai piedi del Palatino, un’aula rettangolare con antistante quadriportico per fondare una specie di “cappella palatina” dedicata alla Madonna.

L’edificio, eretto sulle strutture di un grande complesso architettonico di età domizianea, originariamente fungeva da raccordo tra i palazzi imperiali sul Palatino e il Foro sottostante. Era, in ultima analisi, una basilica, cioè con un’aula rettangolare divisa in tre navate.

Nel muro di fondo venne ricavata una piccola abside, e ai lati del presbiterio, situato alla fine della navata centrale con altare e abside sul fondo, due piccole cappelle. Nel cortile quadrato, che fungeva da vestibolo, si trovano invece i resti di un impluvium dell’epoca di Caligola e lungo le pareti erano dislocate delle nicchie, che accoglievano simulacri di divinità o imperatori. Tutto il complesso venne, infine, chiuso ad oriente da una rampa, la quale conduceva al sovrastante palazzo imperiale.

Per la sua posizione strategica, essa rivestì sempre un ruolo importante di collegamento tra il Foro e il Palazzo imperiale.

Santa Maria Antiqua
Pianta Santa Maria Antiqua

Una corrente ellenizzante in Occidente

Il fenomeno della pittura ellenizzante si rivela a partire dal VI secolo e rientra nel più ampio quadro dell”ellenismo perenne’, che caratterizza l’intero svolgimento dell’arte bizantina[1]

Non del tutto chiaramente definibile nella sua genesi, anche a causa delle distruzioni operate durante la crisi iconoclasta, la pittura ellenizzante – che si esprime con densi impasti di colore intrisi di luce e morbidi trapassi di piani invigoriti da ombre profonde, secondo la più schietta tradizione ellenistica – fu un fattore determinante non solo per le sorti dell’arte bizantina. 

Le sue relativamente frequenti apparizioni in Occidente, a partire dall’Annunciazione sulla parete palinsesto di Santa Maria Antiqua a Roma (565-578), non sono riconducibili a priori sotto tutti gli aspetti a un’unica fonte.

La riscoperta di una corrente ellenistica nel cuore di Roma

Nel 1900 la scoperta della chiesa di Santa Maria Antiqua, nel Foro romano, rivelò per la prima volta l’esistenza di una forte corrente ellenistica nella pittura religiosa dei secoli VII-VIII[2].

L’edificio è uno degli esempi più significativi dell’adattamento e della rifunzionalizzazione di un contesto pagano preesistente. Secondo lo studioso Ernst Kitzinger, fu durante la prima metà del VI d.C. che la chiesa venne edificata all’interno di un edificio del primo periodo imperiale, per essere poi abbandonata alla metà del IX secolo.

Sulle sue pareti si conserva un’eccezionale raccolta di dipinti murali (circa 250 m2), che vanno dal periodo di fondazione fino al secolo IX. Sono testimonianze uniche, a Roma e al mondo, per la conoscenza dello sviluppo dell’arte altomedievale e bizantina. Infatti, quasi la totalità del patrimonio pittorico coevo, esistente nell’Impero Bizantino, andò distrutto durante l’Iconoclastia.

Ciò che è interessante notare, rispetto ai dipinti murali, è il ductus pittorico che pervade tali riquadri votivi: «un audace stile impressionista, memore degli affreschi pompeiani»[3].

La parete a destra dell’abside, famosa come parete del palinsesto, presenta la stratigrafia più ricca di tutta la chiesa.

Santa Maria Antiqua
Santa Maria Antiqua, Roma, Parete palinsesto

Sono presenti quattro strati sovrapposti dipinti: il primo strato è il frammento con Maria Regina in trono, adorata da un angelo alla sua destra. Il dipinto, in stile severo, tardo-antico, è datato al VI secolo ed è stato eseguito prima dell’apertura dell’abside. Questo è indicato dal fatto che il riquadro doveva originariamente estendersi verso sinistra, con Maria Regina al centro di una composizione simmetrica, fiancheggiata da due angeli adoranti. È l’unico frammento di questa fase pittorica nella chiesa.

Il secondo strato consiste nei due frammenti con il viso della Madonna e quello del cosiddetto Angelo Bello che costituisce un‘Annunciazione. Questa fase pittorica, con datazione alla prima metà del VII secolo è caratterizzata da uno stile fortemente impressionistico, legato alla tradizione ellenistica (segnata dal ritorno alle tecniche compendiarie e impressionistiche e agli effetti illusionistici di profondità spaziale).

Prime attestazioni cristiane

La prima presenza cristiana è documentata dall’af­fresco di Maria Regina con Bambino e Angelo (prima metà del VI sec.), ovvero lo strato dipinto più antico della cosiddetta parete palinsesto.

La pittura celebra la Madonna Regina affiancata da angeli e risale probabilmente a una data anteriore alla trasformazione in chiesa dell’ambiente, allora pertinente al corpo di guardia alla residenza imperiale, divenuta sede del rappresentante bizantino nella città. 

Il pannello, decurtato nella parte sinistra dalla successiva apertura dell’abside, sembrerebbe richiamare nella ieraticità della composizione e nelle sontuose vesti della Vergine il cerimoniale di corte, ma la rigida frontalità e la matrice fortemente astrattizzante dell’insieme rendono complessa la ricerca di riscontri nella produzione orientale e la definizione cronologica, che potrebbe oscillare tra il 536 e i 545 periodo della prima conquista bizantina della città, o poco dopo il 550, quando avvenne la conquista definitiva. La sua maniera con contorni incisivi e tinte luminose richiama analoghe composizioni forse di importazione ravennate. 

L’opera presenta una stilizzazione lineare e tratti fisionomici di una eleganza impeccabile e allo stesso tempo un accostamento di tinte piatte che genera una diffusa luminosità; sapiente trattazione del colore che fa dell’affresco un prodotto di alta qualità.

Si tratta del tipo iconografico della Vergine in maestà assistita da angeli che ricorda analoghe rappresentazioni come quella di S. Apollinare Nuovo e di Parenzo, ma la variante di grande rilievo è la corona che traduce figurativamente il tipo di Maria Regina nata a seguito del principio dottrinario accolto dal concilio di Efeso, tipico soprattutto dell’Occidente dove ritorna di frequente specialmente a Roma; si tratta proprio della prima immagine nota della iconografia della Vergine Regina. 

Alla notevole e allo stesso tempo rigorosa qualità pittorica fa riscontro un’altissima quanto distaccata intuizione della visione di maestà, solenne e ieratica, che l’acconciatura superba e gemmata trasferisce in una realtà favolosa e sacrale. 

Le stratificazioni: l’Annunciazione, Ss. Giovanni Crisostomo e Basilio, S. Gregorio Nazianzeno

L’Annunciazione è, invece, dipinta sul secondo intonaco. La datazione suggerita da Kitzinger è relativa alla consacrazione dell’aula. La qualità dei brani superstiti, tra cui il famoso ‘angelo bello’, denota una notevole attitudine alla morbidezza del tratto, una spiccata sensibilità cromatica, correttezza delle proporzioni e i volti tondeggianti alimentando il dibattito sul momento in cui questa apertura in senso ellenistico si sia manifestata a Roma e a Costantinopoli e inducendo Lazarev[4] e Kitzinger[5] a posticiparne l’esecuzione all’inizio del VII secolo.

A uno strato successivo appartengono le figure dei Santi Giovanni Crisostomo e Basilio che recano i cartigli con i testi citati nel concilio lateranense del 649[6], fornendo un prezioso termine post quem alla serie dei Padri della Chiesa orientale completata sul lato opposto dell’arco, che dovrebbe dunque risalire al pontificato di Martino I (649-655).

L’ultima, e più tarda, fase sovrapposta sulla parete è rappresentata da un San Gregorio Nazianzeno ricondotto al pontificato di Giovanni VII, quando la decorazione della zona presbiteriale venne diffusamente aggiornata[7].

Le sette icone di Santa Maria Antiqua

In Santa Maria Antiqua vi sono una serie di icone dipinte ed esposte nel presbiterio, ad eccezione di un riquadro votivo comprendente Sant’Anna con la piccola Maria in grembo, raffigurata nella parete ovest, accanto alla cappella dei Santi Medici.

In questo sistema di occupazione degli spazi, per le icone presidio imprescindibile sono i pilastri: i dipinti si trovano, ove possibile, ad altezza uomo.

Le icone sono sette:

  • Vergine con il Bambino in trono fra angeli (pilastro sud/ovest);
  • San Demetrio;
  • Annunciazione (parete sud/est);
  • Deesis (pilastro sud/est);
  • Solomone e i Maccabei (pilastro sud/ovest);
  • Santa Barbara (pilastro sud/ovest);
  • Sant’Anna con la piccola Maria (parete ovest)

L’idea è che questo popolo di immagini iconiche sia frutto di una progressiva colonizzazione delle superfici da parte dei committenti/donatori, i quali rimangono anonimi, eccezion fatta per il laico raffigurato accanto la Vergine nei pannelli della Deesis e della Vergine in trono.

L’analisi dei pannelli, da un punto di vista stilistico, iconografico e compositivo, chiarisce che ogni dipinto è a sé. Anche se i riquadri posseggono, com’è evidente, una certa ‘familiarità’ stilistica, ogni icona venne realizzata da mani differenti. 

Esse ci appaiono simili a causa della loro temperie ellenizzante. Proprio sullo stile orientale si fondano gli studi del Kitzinger, il quale sottolineò come, secondo lui, l’acme di tale stile si raggiunga proprio nel riquadro con Solomone e i Maccabei.

Solomone e i Maccabei

Il dipinto raffigura Solomone, madre de Maccabei, con i suoi sette figli e il loro tutore Eleazaro, i quali durante l’alto medioevo erano venerati come martiri[8]. La pittura, con molta probabilità, risale ai decenni immediatamente precedenti al 650 d.C.

Santa Maria Antiqua
Santa Maria Antiqua, Roma, Solomone e i Maccabei

Nella scelta di un tema inconsueto, come quello di Salomone, Bertelli[9] ha colto un riferimento alla persecuzione di Martino I e un’allusione alla Chiesa come madre di martiri, una lettura che rinforzerebbe la datazione di poco successiva alla metà del secolo.

Al di là del dibattito sulla cronologia, vanno rilevate le straordinarie qualità formali del testo pittorico, il quale alla ripresa di tecniche compendiarie coniuga una sensibilità coloristica, una volumetria e un ritmo dei panneggi che lo indicano come prodotto di genuina cultura ellenistica.

Eleazaro e i sette giovani sono raffigurati in positure sciolte e naturali, mentre la madre, la quale si erge ritta en face, è rappresentata attraverso un marcato asse verticale. Solomone, raffigurata con una veste violacea animata da colpi di biacca che danno l’idea di seta lucida, vede la sua verticalità amplificarsi attraverso un panneggio piuttosto rigido animato da pieghe incavate.

Sullo sfondo, appena schizzato, compare un cielo azzurro schematicamente diviso in due sezioni: la marcatura tra le due zone rappresenta l’asse orizzontale che fa da contrappeso alla verticalità della protagonista. Al di sotto del cielo vi è un magma di ombreggiature indistinte che virano dal grigio al marrone: esse rappresentano il terreno su cui poggiano i nostri protagonisti; lo si potrebbe interpretare come un’atmosfera, un pulviscolo, ove si dissolvono i contorni degli astanti.

L’effetto finale è quello dell’evanescenza: i tratti del volto di Solomone sono stati solo vagamente schizzati con dei tratti indistinti.

Chi?

La domanda sorge spontanea: chi erano, allora, i maestri in grado di impiegare una tecnica siffatta nel VII secolo?

Secondo Kitzinger, che si è occupato di tali pitture, appare scontato che si tratti di una bottega proveniente dall’oriente greco[10]. Effettivamente, prendendo in considerazione le testimonianze artistiche coeve alla Solomone, si può affermare che uno stile del genere non compariva da secoli a Roma. Ciò è confermato anche dal fatto che all’interno della stessa chiesa tale stile venne subito replicato in altri riquadri votivi: evidentemente piacque molto alla bottega romana che lavorava, gomito a gomito, allo stesso cantiere.

Influenza dello stile ellenizzante all’interno di Santa Maria Antiqua

La lezione fu immediatamente raccolta come un innesto vivificante e rielaborata nelle figure di Sant’ Anna e di Santa Barbara, rispettivamente sulla parete destra del presbiterio e su un pilastro della navata, nonché nell’effigie dai panni ispessiti di San Demetrio, e propagata in una versione irrigidita nei Tre giovani nella fornace, nella Déesis.

La crescente importanza dell’edificio in questi anni è attestata dalla continua opera di aggiornamento della decorazione, esemplificabile nelle due scene di Annunciazione sovrapposte in rapida successione su di un pilastro della navata centrale, la più antica delle quali conferma, per la composizione salda e il panneggio fluido dell’angelo, la comprensione della maniera dei Maccabei, con cui sembrerebbe coincidere cronologicamente. La stesura successiva – le cui proposte di datazione si scalano tra gli ultimi decenni del sec. VII e gli inizi del successivo – tradisce invece nella monumentalità dell’angelo l’adozione di uno stile veloce e saldo al tempo stesso, non privo di consapevolezza della pittura antica.

Santa Maria Antiqua, Roma, Deesis

Greta Cingolani per Questione Civile


[1] Weitzmann, 1976, p.86.

[2] Romanelli, Nordhagen, 1964, p.125.

[3] Kitzinger, 1977, p.115

[4] Lazarev, 1967, p.70

[5] Kitinger, 1977, p.131

[6] Nordhagen, 1978

[7] Materia di questo articolo è l’attestazione della pittura ellenizzante a Roma, perciò si sono prese in considerazione soprattutto le icone di VII dC. Per un approfondimento sui restanti dipinti e, in particolare, sulla parete palinsesto vedi Santa Maria Antiqua scrigno della pittura medievale – Questione Civile a cura di Ilaria Arcangeli.

[8] Nordhagen, 1978, p.76.

[9] Bertelli, 1994, p.210

[10] Kitzinger, p.116.

Bibliografia essenziale

  • P. Romanelli, P.J. Norrdhagen, Santa Maria Antiqua, Roma 1964;
  • E. Kitzinger, Byzantine Art in the Period between Justinian and Iconoclasm, in IX Internationaler Byzantinisten-Kongress, VI, 1, Monaco 1958;
  • E. Kitinger, Alle origini dell’arte bizantina. Correnti stilistiche nel mondo mediterraneo dal III al VII secolo, Milano 1977;
  • K. Weitzmann, The Monastery of St Catherine at Mount Sinai. The Icons, I, Princeton 1976;
  • K. Schefold, Pompejanische Malerei, Basilea 1952;
  • G.  Matthiae, Pittura romana del medioevo: secoli IV-X, I, Roma 1987;
  • G. Mattiae, Mosaici medioevali delle chiese di Roma, Roma 1990;
  • E. H. Gombrich, Meditations on a Hobby Horse and other Essays on the Theory of Art, Greenwich 1963;
  • L. Matzulewitssch, Byzantinische Antike, Berlino 1929;
  • M. Andaloro, G. Bordi, G. Morganti (a cura di), Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio, Electa, 2016;
  • Giuseppe Lugli, Foro Romano e Palatino, Bardi ed., Roma, 1966;
  • Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Arnoldo Mondadori Editore, Verona 1984;
  • Otto Demus, L’arte bizantina e l’Occidente, Einaudi, 2008.
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1 commento su “Santa Maria Antiqua: un po’ d’Oriente nel cuore di Roma

  1. Fausto Carratú Rispondi

    quale ditta ha curato il sistema di riproduzione delle immagini integrali si dipinti murali?

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