Il Tarantismo: manifestazione di un male senza nome

Il Tarantismo

L’espressione del disagio psichico attraverso il tarantismo

Il tarantismo è un fenomeno folkloristico pugliese che si incentra su un rituale coreutico musicale deputato alla guarigione del morso di taranta. Questo processo di guarigione si configura come una pratica collettiva e socialmente condivisa per esprimere un male di vivere altrimenti taciuto. Il tarantismo vede il suo centro di diffusione massima negli anni ‘50 in un villaggio salentino, Galatina, ma ha radici storiche molto antiche. Questo culto simbolico, infatti, prende le mosse da riti dionisiaci della Magna Grecia che si sono integrati ai culti cristiani della festa di San Paolo. Secondo la tradizione religiosa galatina, San Paolo è l’unico santo che può liberare dalla possessione della taranta. Inoltre, questa pratica si ritrova anche in altri paesi europei e presso alcune tribù africane.

Il tarantismo come sindrome psicosomatica

La condizione di tarantato si fa risalire ad un morso di ragno: la taranta. La “taranta” è l’espressione gergale che indica un particolare tipo di tarantola, la Lycosa tarentula o il Latrodecuts tredecimguttatus. La taranta attaccherebbe, in particolar modo, le donne che raccolgono tabacco durante i mesi estivi e in prossimità della festa di San Paolo. In seguito al morso del ragno, la tarantata avverte un forte malessere fisico e cade in uno stato di depressione. Il malessere si può manifestare con palpitazioni, dolori diffusi, stati catalettici o frenetici. I tarantati urlano, si muovono in modo scomposto, corrono o saltano, arcuano la schiena o imitano le movenze di un ragno. Secondo il culto la vittima si trova, quindi, in uno stato di possessione in seguito al morso e solo l’intervento dei musici può liberarla da questa condizione.

I musici sono esperti suonatori di una forma arcaica di tarantella pugliese, la pizzica, che si caratterizza per un ritmo incalzante e vorticoso. Essi si recano a casa della vittima ed iniziano a suonare fino ad individuare il ritmo musicale che la tarantata riconosce come proprio. Infatti, in virtù della taranta che l’ha morsa e che la possiede, la tarantata preferirà un ritmo piuttosto che un altro. La tarantata viene stimolata anche visivamente con fazzoletti colorati. Essa reagirà, infatti, a particolari colori piuttosto che ad altri. Quando la tarantata trova finalmente la sua musica dà inizio ad una danza spasmodica che può durare per ore o giorni. In questo ballo frenetico, la tarantata combatte contro la possessione del ragno, simbolo dell’oscurità, fino alla completa liberazione salvifica da esso. Solo nel momento in cui la vittima cesserà sfinita di danzare, sarà guarita dal morso del ragno.

Ernesto De Martino, il pioniere del tarantismo

Nel 1959 l’antropologo Ernesto De Martino intraprende lo studio del tarantismo col supporto dell’etnomusicologo Diego Carpitella e di un’equipe multidisciplinare formata da medici, storici, psicologi e psichiatri. Gli studiosi vengono accolti talvolta con ostilità e diffidenza, altre volte con la speranza che possano denunciare una realtà precaria nell’attesa di un cambiamento. Attraverso l’osservazione partecipante del rituale, De Martino e la sua equipe si calano nel quotidiano della gente di Galatina e si recano a casa dei tarantati. Il viaggio culturale dell’antropologo lo porta alla pubblicazione del saggio La terra del rimorso, opera conosciuta a livello nazionale ed internazionale.

Dopo essersi immerso nel folklore della gente di Galatina, De Martino arriva a concludere che il tarantismo non è scatenato dal morso del ragno ma rappresenta l’espressione condivisa di un malessere esistenziale in una società intrisa da valori morali rigidi. Infatti, nella maggioranza dei casi, le vittime sono donne in condizioni di vita precaria e assoggettate al controllo di nuclei familiari patriarcali. Le abitazioni delle tarantate sono spesso povere, senza acqua né luce e, talvolta, senza servizi igienici. De Martino e la sua equipe, giunti a Galatina, approdano in una locanda e vengono accompagnati all’abitazione di una giovane tarantata: Maria di Nardò.

Maria di Nardò: un caso emblematico

Maria di Nardò è una giovane donna che viene abbandonata dal suo amato perché i genitori del ragazzo sono contrari al matrimonio. In seguito alla rottura, Maria cade nella disperazione e nello sconforto. Una domenica mattina la donna viene morsa dalla taranta, dando inizio alla sua catarsi coreutico musicale fino alla guarigione. Dopo qualche tempo, una donna chiede ripetutamente a Maria di sposare suo figlio disoccupato e dalla salute cagionevole. Maria cede all’insistenza del pretendente e va a vivere con lui in attesa delle nozze. La convivenza si rivela triste e frustrante per la giovane donna che deve soccombere agli ordini dell’uomo. La povera Maria viene anche costretta a sposare il pretendente per evitare lo scandalo della convivenza ormai avvenuta. La donna, ormai esasperata, un giorno fugge di casa e trascorre diverse ore a vagare per i campi.

In questa occasione, viene morsa dal ragno e ha inizio per lei una nuova e inesorabile danza liberatoria.

Come in questo caso, spesso le donne che cadono vittima del ragno vivono amori preclusi, sentono l’oppressione di situazioni familiari gravose e di un’esistenza poco gratificante. Il rituale diviene così un processo per dare sfogo a frustrazioni altrimenti inespresse della comunità contadina. Gli effetti del morso della taranta si ripresentano ciclicamente per Maria come per molti altri tarantatati. Ogni anno, generalmente nella stagione estiva, ricompare infatti il malessere che viene nuovamente placato attraverso il rituale liberatorio. La ricorrenza durante la bella stagione si spiega per la prossimità alla festa di San Paolo salvatore, ma anche per la durezza del lavoro nei campi assolati del Salento. La possessione, quindi, appare il mezzo di persone invisibili per dare voce al proprio male esistenziale.

Fabiana Navarro per Questione Civile

Bibliografia

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