Il trauma relazionale e il suo impatto sulla crescita identitaria

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Trauma e personalità: quale legame

Il concetto di trauma assume oggi connotazioni diverse rispetto alla classica concezione freudiana del termine e assume una natura variegata e complessa che difficilmente può essere ridotta ad una definizione unica. Allan Schore definisce il trauma come una disfunzione precoce della relazione di attaccamento che lega il caregiver e il bambino (early relation trauma). Masud Khan, invece, si sofferma sul carattere continuativo di situazioni traumatiche che si ripetono nel tempo. Bessel van del Kolk, ancora, fa riferimento a ciò che definisce come “atmosfera traumatica” per indicare un clima relazionale quotidiano di carattere lesivo. Infine, Lenore Terr fa una distinzione tra il trauma di I Tipo e quello di II Tipo: il primo sarebbe causato da esperienze isolata di carattere traumatico, mentre il secondo si protrae nel tempo.

Il trauma: un quadro generale

L’esperienza del trauma relazionale si può realizzare sin dalle più precoci interazioni e non necessariamente assume forme di abuso o negligenza ma si può anche configurare come una serie di vissuti reiterati caratterizzati da scarsa sintonizzazione emotiva tra caregiver e bambino. Infatti, l’ambiente in cui un individuo cresce e la qualità delle relazioni che vive costruiscono sia lo stile di attaccamento ( vedi La genitorialità e il suo valore evolutivo) sia modalità di attribuzione di significato a vissuti interni ed esperienze esterne. Soprattutto nello stile di attaccamento organizzato, il bambino futuro adulto riesce ad integrare in maniera coerente le diverse esperienze grazie all’interpretazione che il proprio caregiver ne fa e grazie alla possibilità di apprendere capacità di regolazione affettiva ed emotiva in un ambiente sicuro.

In questo quadro, inoltre, l’impatto di un trauma è sicuramente meno pervasivo perché il bambino ha acquisito degli strumenti adeguati ad elaborare ed integrare l’esperienza potenzialmente traumatica così da farvi fronte in maniera efficace. La capacità di fronteggiare un vissuto traumatico può essere, quindi, il frutto di una serie di fattori sia innati (predisposizione biologica, resilienza…) sia socio ambientali. Quando il bambino non ha a disposizione risorse sufficienti per affrontare queste esperienze, potrebbe essere necessario adottare delle strategie diverse che anziché assimilarle. Tali strategie tendono spesso ad impoverire la personalità allontanando da essa particolari vissuti e impedendo che questi facciano parte della narrazione della propria vita.

Tipologie di trauma relazionale primario

Quando il trauma relazionale infantile è il risultato di uno scarso grado di sintonizzazione tra il caregiver e il bambino si parla di trauma di primo livello. In molti casi, purtroppo, il bambino si trova a vivere esperienze di abuso psicologico, fisico e/o sessuale, maltrattamenti e/o gravi condizioni di trascuratezza: in quest’ultimo caso, ci si trova di fronte ad un trauma di secondo livello. Infine, viene definito di terzo livello il trauma causato da guerre e genocidi, fenomeno questo non preso in esame nel presente articolo (vedi Trauma da guerra: il fenomeno dello shell shock). I traumi di primo livello ed i traumi di secondo livello vanno ad impattare sul processo evolutivo del bambino aumentando il rischio di sviluppo di disturbi psicologici in età infantile e in età adulta.

La dissociazione come difesa

Il termine dissociazione ha diverse valenze, è un concetto trasversale a molti quadri psicopatologici e può assumere forme e livelli di gravità disparati non sempre di rilevanza clinica. Il denominatore comune dei diversi fenomeni raggruppati sotto questa espressione è un’alterazione della coscienza che va ad intaccare la percezione di continuità della propria identità. In questa sede, si prenderà in considerazione solo uno dei fenomeni che rientrano nella dissociazione. Dunque, la dissociazione qui approfondita è un meccanismo di difesa che separa un contenuto mentale scomodo dalla coscienza sempre facilmente accessibile. Il contenuto mentale si isola dalla coscienza sia nella sua componente emotiva sia in quella cognitiva. La difesa dissociativa, quindi, permette di mettere dei confini tra quegli stati del sé che riescono a funzionare bene nella vita quotidiana e quelli che invece conservano le tracce del trauma.

Quando la dissociazione si utilizza in maniera rigida e pervasiva per evitare il contatto con la sofferenza e con la frustrazione sentite come poco tollerabili, essa assume una certa rilevanza clinica. È evidente che se le esperienze emotive del bambino vengono comprese ed accolte dal caregiver, esse possono essere facilmente integrate in un senso di identità coerente, ma se alcuni aspetti della sua personalità non vengono condivisi ed accettati, anzi, vengono trattati come se non esistessero affatto, tali aspetti vengono disconfermati e pertanto si dissociano dal Sé. Le esperienze dissociate restano in memoria ma la loro riattivazione consapevole è difficile ed esse vengono svuotate dal loro contenuto emozionale che resta nella memoria implicita influenzando il vissuto presente.

Disturbo borderline di personalità

In generale, il disturbo di personalità si configura come una modalità rigida e pervasiva di relazionarsi, di interpretare la realtà e di muoversi all’interno di tale realtà. La personalità di ciascun individuo nasce dall’interazione di fattori di origine biologica, psicologica ed ambientale e le prime interazioni con il caregiver sono in parte responsabili dello sviluppo del sé. Infatti, l’adulto funge da regolatore socio emotivo influenzando la formazione dei circuiti emozionali e relazionali e delle memorie implicite. Le memorie implicite sono costituite da tutti quei ricordi non verbalizzati che formano le rappresentazioni mentali inconsce del sé e dell’altro dando forma all’autostima e ai comportamenti. Dunque, le informazioni acquisite durante l’infanzia restano attive in età adulta anche se le loro origini sembrano perdersi in un passato non rintracciabile.

Il particolare, il disturbo borderline di personalità appare spesso il risultato di vissuti traumatici gravi o dell’accumulo distruttivo del trauma ripetuto dovuto ad un attaccamento disfunzionale che può derivare da innumerevoli fattori (madre depressa, madre ansiosa e iperprotettiva). Nel disturbo borderline la dissociazione è un meccanismo difensivo molto presente e gli stati mentali separati tendono ad alternarsi senza continuità, rendendo difficile anche entrare in contatto con emozioni, pensieri e percezioni. Ad esempio, un bambino che viene punito ogniqualvolta manifesti la sua rabbia, imparerà a celare (dissociare) questa emozione. Il futuro adulto avrà difficoltà ad integrarla con il resto della personalità, alternando ora la repressione ora l’esplosione della rabbia, dal momento che la sua mancata integrazione non ne permette la gestione e la modulazione.

Fabiana Navarro per Questione Civile

Bibliografia

Cionini, L., & Mantovani, I. (2016). Leggere la dissociazione dell’esperienza del trauma relazionale: la psicoterapia nell’ottica costruttivista intersoggettiva. Costruttivismi, 3, 40-62.

Ciulla, S., & Caretti, V. (2012). Trauma, dissociazione, disregolazione, dipendenza. Psichiatria e psicoterapia, 31(2).

Galli, M. (2019). Famiglia e trauma. La notte stellata. Rivista di psicologia e psicoterapia, 1, 23.

Mosquera, D., & González-Vázquez, A. (2012). Disturbo borderline di personalità, trauma e EMDR. Rivista di Psichiatria, 47(2), 26-32.

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